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Non prendere mai alla leggera l'amore. La verità è che la maggior parte della gente non ha mai avuto la fortuna di amar qualcuno; che duri solo oggi e una parte di domani, o duri tutta una lunga vita è la cosa più importante che può capitare ad un essere umano. Ci saranno sempre persone che diranno che non esiste perché non possono averlo. Ma io ti dico che è vero, che tu lo possiedi e che sei fortunato anche se domani morrai.
Ernest Hemingway, Per chi suona la campana-
Bellissimo brano sull'amore di Maria e l'Ingles
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lullabyblue0 e odessa1920 ha aggiunto una reazione
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Nasce il giorno qua davanti.
Non è necessario che sia un giorno uguale a ieri.
È possibile che qualcosa di nuovo si sia insinuato nella logica delle cose.
Lo avverto come una sorta di urgenza dentro di me.
Dentro questo rettangolo consapevole che è la coscienza.
Dentro il nucleo caldo di ciò che chiamo “Io”.
E intendo rispondere, fermandomi un po’ e facendomi di nuovo le vecchie, care, domande: Dove voglio andare? Cosa sto facendo? Sono soddisfatta? Cosa posso fare?
Voglio rimettere in fila le cose.
Non per riallinearmi al passato, ma per aprire una strada verso il futuro.
Ho bisogno di ridisegnare la mappa.
L’orizzonte. La visione.
E di farlo da ferma, non di corsa. -
Non che creda che i miei pensieri salveranno il mondo. Hanno però una funzione importante per la vitalità della mia esistenza, degli umori, dell’atteggiamento nei confronti della vita, delle situazioni. Mi aiutano a chiarire i miei desideri veri, a orientarmi nelle situazioni, a intravedere delle vie percorribili. Mi sono affezionata ai processi di pensiero. Li godo, li gusto. Ho diversi modi di pensare. Con le parole, le mappe mentali, le macchie, le fotografie e anche con la musica.Mi nutro con piacere dei libri che contengono molti spunti di processi creativi. Incontro in questo modo personaggi vivaci, brillanti, gioiosi, da cui rubo a piene mani spunti, procedure, esercizi, stimoli. I pensieri che coltivo e i processi con cui penso hanno un ruolo importante nel mantenere accesa dentro di me la gioia di vivere. Di sicuro questo non ha un gran peso per la salvezza del mondo, ma per quel pezzettino di mondo rappresentato dalla mia vita, beh, ce l’ha eccome.
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che leggi?
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odessa1920 ha aggiunto una reazione
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lettura impegnativa?
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Le fotografie e i quadri fermano l'istante perché lo possiamo vedere e introiettare, oserei dire, masticare e digerire. Tutto scorre sempre, la vita è questo. Ma anche fermarsi e masticare le cose fa parte della vita. Anzi è funzionale a scorrere e scattare al momento opportuno. Fermandosi a guardare le immagini SI PENSA!
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l'ultima foto mi ha colpito molto!
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odessa1920 ha aggiunto una reazione
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A che serve andare in altalena? Sento un forte richiamo a impiegare il mio tempo in cose che non hanno a che fare con l’utilità, con un obiettivo, con l’esecuzione di un progetto. Avere l’agenda sgombra e il tempo tutto mio. Per fare quello che mi salta in testa, o lasciarmi sedurre dagli eventi casuali, degli incontri inaspettati. Lasciare che sia il cavallo a decidere il sentiero.
È certo una reazione, un tentativo di riscatto rispetto a ciò che vivere per un obiettivo mi ha fatto perdere del viaggio. Ovviamente adoro avere un’avventura, una direzione di marcia, un sogno da realizzare. E mi piace essere operosa e utile. Ma c’è una misura migliore che mi chiama, migliore di quella che ho mantenuto nel passato. E prima di morire voglio realizzarla. Voglio vivere i miei obiettivi dando molto più spazio a ciò che nutre il cuore e la mente e il corpo. -
Avevi quel tuo modo di entrare nelle giornate, fin dal risveglio, felice di aprire gli occhi e di vedere il mondo. Muovevi il corpo come vivendo un miracolo.
Saltavi tra i pensieri che il vento ti portava come una ragazzina che ha visto l'altalena in giardino. Eri la magia che apre le porte del tempo e ne rivela il segreto. Partendo, hai lasciato dietro di te un'ombra profumata. L'ho raccolta e adagiata sul foglio.-
questo dinamisco mi fa impazzire! così emotivo
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odessa1920 ha aggiunto una reazione
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Seduta al bar, cos’aveva ordinato? Scelse di fissare le nuvole senza pensare a niente, lasciandosi assorbire dal gioco del tempo. Cos’aveva ordinato? Andrea ormai se n’era andato. E lei non voleva soffrirne. Non voleva per nessuna ragione al mondo soffrire nuovamente quelle stupide pene d’amore. Cos’aveva ordinato? A me piace scrivere, pensava, e immaginava di battere con destrezza e ritmo giusto sulla tastiera del suo Mac. Cos’aveva ordinato? Il dehors del locale era grazioso, attraversato da una luce naturale soffusa, filtrata da tendine bianche. S’intravedevano i tigli adulti e posati che sbucavano da grosse ferite circolari dell’asfalto, lungo il viale. Cos’aveva ordinato? Pensava di consolarsi con il piacere della scrittura. In fondo, l’unico amore costante di tutta la sua vita. Andrea, beh, come gli altri, poteva restare un passeggero del suo cuore. Che, come gli altri, l’aveva calpestato come uno zerbino. Cos’aveva ordinato?
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La foto è bellissima, degna della una scena di un film
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odessa1920 ha aggiunto una reazione
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Dopo una notte senza sogni mi svegliai in una camera a me sconosciuta. Una camera né accogliente, né ostile. Una camera completamente vuota e disadorna, senza finestre né porte ma bianca e illuminata come avesse tante finestre e tante porte. Solo il letto in mezzo, il ritmico riverbero del mio respiro e la sistole e la diastole del mio cuore.
Tra coperte e lenzuola di lino anch’esse bianche e leggere per un attimo ebbi il sospetto di trovarmi in un ospedale ma mi sentivo in ottima forma e non avvertivo intorno a me quell’odore di lisoformio tipico degli ospedali. E poi gli ospedali non hanno lenzuola di lino. Nessun odore. Tutt’intorno un’asetticità inespugnabile, rilassante e senza tempo.
E sulle pareti erano fissati una infinità di chiodi. Chiodi di acciaio, bronzo, rame, ottone di ogni foggia e funzione. Chiodi da falegname, carpentiere, tappezziere, alpinista, calzolaio, maniscalco. Chiodi piantati qua e là senza un ordine apparente, senza una parvenza di senso pratico o di utilità. Chiodi senza quadri, senza nulla che vi fosse appeso.
Pensai allora a quei giochi che quando ero piccola mi piaceva fare sulla Settimana Enigmistica, tipo “Unisci i punti e scopri” ma almeno quei punti lì erano numerati, c’era un ordine chiaro e ben definito da seguire, qui invece non riuscivo a scorgere nessun codice che mi svelasse il disegno celato dietro al caos di quei chiodi. Quindi mi convinsi che ipotizzare l’esistenza di un disegno fosse pura follia.
Fu così che scoprii il puro e inscindibile senso estetico del chiodo, dimenticando improvvisamente tutto ciò che vi si può appendere o ciò che vi è stato appeso. -
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Incontrai il vecchione un giorno che giravo per lavoro: tavolo d’un bar sulla statale, tra industrie fumanti, centri commerciali fitti come in Umbria le chiese e rivenditori ufficiali di robe, ammiccante brand per ciascuno.
Lui andava, non sapeva dove perché non c’era mai stato: così, lo presi in auto con me. Aveva sempre vissuto a Trieste, disse, e il romanzo - il romanzo?! - lo aveva certo aiutato ma in un modo cui il buon Italo non aveva pensato. Sorrise. E io lo ascoltavo.
Fumare non fumava più, da decenni; malgrado l’età, libertineggiava con le bisnipoti di Carla, amante defunta; capeggiava cellule terroriste contro ogni forma di psichiatria; l’apocalisse e la malattia erano superate e, di fatto, lui non si sentiva più nessuna coscienza, alla facciaccia del mondo.
Mi salutò baciandomi sulla bocca, perdio! Lasciò il biglietto da visita sul cruscotto.
Si chiamava Zeno Cosini. -
La realtà intonava inni stonati.
Maurilia, seduta sullo scalone di fianco all’entrata del ristorante cinese, aspettava con ansia che il temporale annunciato da siti, display dissimulati, tg e vecchi pietosi e latranti arrivasse senza troppi indugi.
L’aria era scura, non nera, marrone, come se il temporale, di certo alle porte, fosse escrementizio, piuttosto che piovasco.
L’umidità puzzava di latrina. Forse era l’odore di qualche toilette oppure la grande porcilaia fuori città produceva in overdose.
La verità presunta dispensava liturgie, per via d’ogni segno d’attorno, come se la verità, appunto, fosse il casino di tutto l’intorno riempito da segni.
E Maurilia a dirsi: e vivere? Non basta vivere? Non basta più?
Amare: roba difficile. Forse inutile. E poi? Cosa c’è da fare ancora?
Io non so dimostrare niente a nessuno.
Dunque, aspetto il temporale.-
Un brano ( penso estratto da un racconto più lungo) molto bello per la sua intensità sospesa, realistica, decadente e per le sue note esistenziali. Anzi la prima metà dello scritto, forse per un rimando alla carnalità, la considero addirittura erotica ( lo so, sono un tipo strano). Complimenti.
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odessa1920 ha aggiunto una reazione
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Lei vagava nel deserto: l’orizzonte degli eventi era completamente sgombro, escluso il tramonto di un sole rosso. Non c’è un tramonto uguale all’altro, si diceva. E mentre pensava lasciava le sue impronte sulla sabbia. Non aspettava, si limitava a camminare con lentezza e costanza con la sua spada tra le mani.
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Carlo – questo il suo nome.
Aveva tutta la sua storia addosso, e nelle parole.
Nel raccontarla, guardava lontano. Credo il futuro. O forse un altro mondo. Diciamo: quella regione del pensiero dove futuro e l’altrove si coniugano insieme. Il suo passato era importante, ma era passato. Lui era già da qualche altra parte.
Io sono grata a Carlo perché mi ha regalato il suo sognare, il suo coraggio di sognare. Perché uno immagina che la gente non pensi ad altro che all’esistente. Il posto di lavoro, le faccende da sbrigare, le bollette, quelle isteriche querele con i colleghi e il capo. Uno immagina che si tratti soltanto dell’amministratore di condominio, della revisione della macchina, dell’insegnante di matematica del figlio, delle obbligazioni che ha sottoscritto… Sbagliato!
La gente sogna.
Sogna quando s’innamora. Vuol fare l’amore e sognare. Sogna quando progetta: vuol guadagnare e sognare. Sogna quando studia: vuole passare l’esame e sognare un’esistenza d’abbondanza e di bellezza.
La gente disegna nella testa. Disegna scenari bellissimi per sé, per i figli, per la società, per il mondo.
Carlo sogna. Sogna una vita come un viaggio che va sempre avanti, va sempre oltre. Carlo pensa che il sogno e le emozioni che lo accompagnano sono la voce del suo Dio. Balbetta, quando parla di questo. Ma in quel balbettio c’è più slancio ed energia che in qualsiasi discorso ben fatto.Carlo dice, lasciandomi: C’è una vita entropica, quella che segue la china decisa dal mondo e c’è una vita a modo tuo, che va a trovare le risorse nelle aree non colonizzate dalla società e dalle regole e si permette di disegnare un percorso che ti assomiglia davvero.
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Come quando, di notte, guardi le stelle. E senti come tutto è immenso. Assolutamente fuori di ogni controllo. E tu ti domandi: ma che cazzo è questa cosa che chiamiamo vita? E la mia vita, cos’è? E ti rendi conto – immediatamente – che con tutta la tua intelligenza, la storia che hai alle spalle, la cultura, le scienze, e anche i tuoi tentativi di entrare in contatto con le forze divine… Insomma, che c’è qualcosa di essenziale che ti sfugge.
E che è curioso, perfino paradossale, che con tutta questa voglia di vita e di sapere che ti trovi addosso per il solo fatto che sei sveglia e che vedi e che senti, che tu sia lì, come un allocco, consapevole che ti trovi solo sulla buccia di una sorta di coscienza…
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Mi piace alzarmi e sentire l’odore di un possibile giorno. Riempire gli occhi dei sogni più belli che accompagnano il mio viaggio.
Pellegrina della bellezza, e del sentire. Sospesa – come piace a me – in questa dimensione da cui partono scorribande per il mondo.
Fluido lo schermo della mente, le immagini vi scorrono danzando: non ci stanno neanche tutte. Sembra tutto altrove eppure i piedi sono a terra.
Una grande voglia di dire, di raccontare. Di inventare la mia storia impastando la terra con la fantasia, nel momento stesso in cui le cose accadono.
Non mi manca il passato, non ho nostalgia di qualcosa che avrei perso. Scorro via col presente verso un altrove, che è già dentro di me. Tremo di emozione davanti al possibile e ho fiducia nelle mie forze e nella corrente stessa della vita.
I tempi, per me, sono giusti. Quello che avviene, la sorte… mi va bene. È lì che muovo le braccia, i piccoli passi e mi sembra di saltare, come un giovane navigatore dell’essere.
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Mi piace scoprire, lungo il viaggio, che emerge più chiara la mia identità, che so – insomma – meglio quello che voglio essere e fare. Mi piace ammettere che ho scoperto gradualmente, e anche con un po’ difficoltà, i miei talenti e le mie abilità, ma che poi li ho sviluppati ed esercitatI. Qualcosa che esprime sempre meglio la mia unicità.
Mi piace molto uscire dal coro.
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Questa gioia d’incominciare la giornata, al risveglio.
Il piacere della mia casa vascello per navigare l’oceano dell’essere.
Un cielo terso, fuori che promette sole e aria fresca.
Continuo a lavorare al miglioramento di me. Alla creazione di me. Mi servo di questa sorta di specchio che si crea nella riflessione.
È lavorando su di me che incontro gli altri più a fondo.
La comunicazione è come muovere le gambe seduti ai bordi della stessa vasca: immersi nel medium che ci collega.
È quello che sono che arriverà agli altri, non quello che recito. Spalancherò gli occhi per vedere la bellezza negli altri, per nutrirmi e godere la vita.
Non credo più da tempo nella critica costruttiva. È avvenuto da sé.
Preferisco il lavoro di produzione di proposte, alternative, nuove interpretazioni, idee...
In questa prospettiva scoprire la realtà è un po' inventarla. -
Amo la parola che dà alla luce.
C’è una parola che uccide le cose
E una che le spalma di grigio nella tomba
di ordinati cimiteri.
Amo la parola che rivela la bellezza di ciò che sa essere
La parola che s’incanta d’avventura
Che sgorga rossa a fiotti
Dal sangue caldo della carne
Che dipinge altezze immacolate
al sentire intrepido del cuore
La parola che risuona in bocca
come nel primo giorno del mondo
ancora calda del fiato di Dio
E ho un rifugio invernale
dove invocarla nelle prime ore del mattino.
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E non ci si lascia distrarre dal vecchio mondo, litigioso, conflittuale, cinico... ci si può accorgere dell'esistenza di altri spazi umani in cui si cerca un nuovo punto di partenza, sano, creativo, etico, per reinventare il rapporto con la natura, con gli altri, con le istituzioni. C'è una nuova ecologia della mente che è oggetto di una ricerca diffusa. Essa cerca modi innocenti e sani di sentire, di pensare, di comunicare, di aggregarsi, di lavorare. C'è slancio, entusiasmo, creatività. C'è gusto fresco per la vita. C'è fiducia e spirito d'avventura. È il nostro viaggio.