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Sai, quando ti lasci andare? Voglio dire, un pomeriggio, stesa su un prato. Quello stare lì, in ascolto delle voci della vita. E la mente vaga senza costrizioni. Senza nessuno cui dover dire qualcosa. Qualcuno che tu sai che si aspetta da te qualcosa…
Ti sembra tutto una sorta di sogno. Forse lo è. E ti sembra strano che tu sia al mondo. Voglio dire, che tu ci sia. Che tu sia qualcosa di visibile, quel tu che dici: io. Ti sembra perfino di non esserci, e che ci sia solo quello che appare nello film. E che tu, semplicemente, ti domandi: che è?
E compaiono quelle domande di cui non capisci neanche il significato, del tipo: chi sono? E che succede?
La meraviglia, e basta. Lo stupore. E anche un senso struggente di malinconia. Come se tu, semplicemente, facessi solo capolino in quella cosa che chiamiamo vita. E ti ostini lo stesso a parlare e a provarci. A provarci nel dire: io sono questo e faccio quest’altro. E cerchi di raggrumarti in qualcosa che sia una cosa. In modo da poter dire: ci sono, esisto e so che cosa sta capitando.
Sai? Quando vedi questi ragazzi, per la strada, o a scuola, o al corso per la ricerca attiva del lavoro, o anche al negozio d’abbigliamento, o dal giornalaio, o al bar... Insomma, li vedi, e, come se tu fossi già navigata, che conoscessi quello che c’è da conoscere, pensi: sono ragazzini!
Beh, lì, dopo pranzo, con i piedi sulla sedia e il caffè, beh, non ti senti un po’ così, in modo che anche di te – quale che sia la tua età adulta – dici: sono una ragazzina, sono una ragazzina. Solo una ragazzina. -
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Pensavo, durante la camminata, che sono abitata da sogni forti, che mi spingono a camminare anche in un altro senso. E avvertivo la ricchezza di questo fatto. Insomma sentivo quanto era bello essere viva, con dei desideri da realizzare e la voglia di farlo. Questo rendeva la mia vita una bella avventura. Ed ero io a inventarla.
Sentivo forte il potere dell’immaginazione che anticipa le cose creando un proprio mondo. E immaginavo che fosse come creare una rete da gettare nell’oceano della realtà, con l’intenzione di una pesca abbondante.Il mio mondo non è il mondo, ma serve per pescare nel mondo.
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Giro per la città e guardandomi attorno, mi domando: dove sto andando? e che sta capitando? Sorpresa, una sorta di meraviglia.
Non mi sono ancora abituata al fatto che sono viva.
Incontro Sandro, in Lungadige San Giorgio, e mi rattrista vederlo sofferente. Vengo a sapere che è per pene d’amore. Una storia che si trascina altalenandosi. E la domanda affiora: dove va la vita? Cosa stiamo facendo?
In tangenziale sono a bocca aperta davanti ai campi che costeggiano la linea d’asfalto, alla linea ferroviaria, alla velocità del mio automezzo… Penso al progresso, alla medicina, alla storia umana. Mi viene in testa l’aria delle Quattro Stagioni di Vivaldi, e la domanda ritorna: dove stiamo andando? Cosa ho da fare?
Penso agli uomini, agli amori, al teatro, ai libri che mi hanno nutrito, alle camminate tra le colline, al respiro consapevole, alla mia infanzia in montagna, al mercato la domenica mattina, alla cena di classe, alla malattia, alla salute… mi vengono in mente tutti i sogni, anzi, lo stesso mio sognare, quel vagare, pupille in alto, nell’universo di ciò che ho desiderato, di ciò che ho cercato di identificare nel pozzo profondo del mio desiderio. Che ci sto a fare? Cosa desidero davvero? Cosa è in grado di rendermi me stessa?
Penso ai giochi dei bambini, allo sguardo di Massimo qunado mi ha detto ti amo, alla verve che fluisce nelle cene con gli amici, alle serate al castello dopo gli spettacoli.
Sono adulta e ancora non mi sono abituata al fatto di essere viva. E non è sgomento, ma sorpresa. Una sorta di meraviglia.
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