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Sì, trovo che la vita si presta alle interpretazioni più diverse. Si può pensare, in certe circostanze, che se ne scorra indifferente, nella sua indipendenza dai nostri pensieri, ma che sia anche docile a lasciarsi leggere e raffigurare come più ci viene o ci aggrada.
Se entro in quest’ordine di pensieri, vedo la vita, l’universo, la totalità di ciò che esiste, come un’impresa colossale di cui non posso essere altro che spettatrice. E già così mi sembra una gran cosa. I miei piccoli traffici con le mani assomigliano ai giochini che faccio nel bosco, o a ciò che combinano i bambini con la sabbia in un pomeriggio d’estate. Un po’ d’immaginazione, qualche castello costruito per gioco con la rena, che poi, di notte, un’onda del mare cancellerà.
Se mi avvicino un po’ di più alla terra, se fisso lo sguardo sulle città, le strade, i cantieri, le fabbriche…, allora vedo che la presenza di noi umani su questa zolla dell’universo ha costruito qualcosa di più duraturo. Sempre fragile di fronte all’immensità del potere della natura, ma a suo modo un universo consistente e complesso, in cui scorrono le nostre esistenze traendone vantaggi e limitazioni. Anche questo mondo, uscito dalle mani dell’uomo, sembra possedere una sua indifferenza e autonomia nei confronti dei nostri umori quotidiani. Scorre nella sua oggettività, seguendo le sue regole, senza dar troppo peso alle nostre interpretazioni di singoli.
Ma se mi accosto ancora di più e cerco di entrare sotto la pelle degli individui, scopro come un nuovo universo, dove pensieri, emozioni, sentimenti, desideri, aspettative, costituiscono il pane quotidiano. E quel che è curioso è che tali pensieri e aspettative sembrano riguardare eventi che dovrebbero avvenire proprio nell’altro mondo, oggettivo, della società e della natura. Far fortuna, la salute, un partner d’amore, opere che esprimano la nostra soggettività e i suoi bisogni e desideri… sono attesi come eventi oggettivi.
Il corpo e il suo traffico con le cose sembra essere il tramite grazie al quale le aspettative interiori cercano di provocare gli eventi favorevoli. E noi sappiamo che le nostre città, la tecnologia, le infrastrutture sono apparse nella dimensione oggettiva come risultato di questa logica che dall’interno, attraverso il lavoro, realizza all’esterno.
Noi umani, soprattutto noi occidentali, crediamo molto in questa logica secondo la quale aspettative e desideri prendono forma in idee della mente e si traducono attraverso il lavoro in nuove realtà utili e vantaggiose.
Da questa prospettiva conta poco se, quando verrà la notte dei tempi, un’onda spazzerà via ogni cosa che abbiamo costruito. Conta invece che possiamo giocare il nostro gioco durante il pomeriggio che ci è concesso, come fanno i bambini sulla spiaggia.
E la vita, nella sua sonnacchiosa indifferenza oggettiva, ci lascia giocare, prestandosi alle nostre interpretazioni, ai nostri progetti e pensieri, anche se non rinuncia mai alla possibilità di un grosso scossone che cancelli ogni nostra opera e noi stessi.
Il Dio misterioso tace e ci lascia giocare, finché non risvegliamo la sua suscettibilità con qualche gesto eccessivo?
Noi parliamo molto, nelle nostre fantasie, di vero e di giusto. Di fatto conosciamo veramente poco il tremendo potere dell’essere. Ma, entro un certo margine, l’Essere si lascia interpretare come più ci aggrada.
In questa labile giornata dei nostri giochi, tuttavia, ci è dato certamente un dono che colma l’anima. Vedere la Bellezza, e tentare di farla affiorare nelle nostre opere.
La Bellezza è tenera e gentile. Sembra una Potenza che sfugge dai pori dell’Essere, si sottrae al suo tremendo potere, per venire a carezzare le nostre brevi esistenze. Riesce a vestire anche le nostre tragedie e i nostri drammi. Esala, come un profumo, in ogni spazio che le apriamo. Visita i nostri corpi, e sosta nelle nostre opere.
Noi chiamiamo Arte, questa capacità di vedere e di evocare la Bellezza. Le nostre interpretazioni migliori, le nostre fantasie più gustose sulla vita, sono quelle che consentono l’Epifania della Bellezza. -
Le nuvole andavano di sghimbescio, quel giorno. Tutto aveva l’aria della primavera.
Quando ti senti addosso quel formicolio… lo sai.
Non c’era da essere tristi. Eppure…
È come quando hai l’impressione di capire qualcosa oltre i soliti confini della percezione.
Sei felice, e triste, nello stesso tempo.
Sei piena e sembra che ti manchi tutto, come un pozzo senza fondo.
E se Anna Magnani piange, sul piccolo schermo – qualcosa di repertorio – tu incominci a lacrimare.
E non sai perché. -
Tra me e me parlo sempre con Dio, e parlo di Dio. Eppure di Dio non ne soo niente. Non so neanche se esiste. O se la domanda sulla sua esistenza abbia un senso. So solo che quando parlo con Dio e di Dio sto parlando dei miei sogni e delle mie aspirazioni. Insomma è come se il cuore non sapesse prendere altra strada che questa per tentare di dare espressione al suo desiderio. È un po’ poco per una teologia, non è vero?
A volte però il cuore si slarga e posso dire facilmente: Allah O Akbar! Dio è grande! -
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Desiderio che la vita sia amica
Che giorno per giorno si possa migliorare
Desiderio di calma e serenità
e di idee brillanti da godere nel quotidiano
E di pensieri che alleggeriscano l’esistenza
E che facciano sentire protetti
Andare con la corrente su una buona canoa
Dirigere la rotta con pochi colpi di pagajia -
Ma, all’inizio, c’era del dolore. Un dolore forte e lancinante. Succedeva quando l’uomo o la donna che avevamo amato ci lasciava. Senza peraltro capire perché. C’era dolore dell’anima. Forte, lancinante. Come quando la società e il mercato sembravano dirci: non c’è spazio per questo. E noi avevamo in cuore desideri e sogni che sembravano la vita.
C’era dolore. E il dolore stesso ci spingeva a uscire, a salire qualche gradino della scala. Se non volevi morire, finire schiacciato sotto un peso insopportabile.
Il dolore è dolore, non c’è santi… Il dolore del corpo assorbe le forze, il dolore dell’anima esaurisce le energie della vitalità: la fiducia, la speranza, la gioia di vivere. Entrambi possono uccidere.
Ma il dolore è anche una reazione vitale e mette in moto le risorse estreme, quelle fondamentali. E superare la prova del dolore rende più forti, più coraggiosi, alla fine, più umani.
Il dolore diventò nostro amico. Come le nostre imperfezioni. Avevamo coltivato sogni, li avevamo coltivati con cura. Avevamo immaginato scenari in cui i nostri sogni avrebbero danzato. C’era il dolore. Il dolore di constatare che le cose non stavano in quel modo.
Noi diventammo esperti del dolore. Del dolore dell’anima. Il dolore c’insegnò la via della vita.
Smettemmo di pensarci in continuazione, non appena recuperavamo un po’ di fiato. Ci affidammo a una provvidenza misteriosa, che ci offriva intelligenza sulla nostra vita. Fummo capaci di ammettere ciò che sapevamo da tempo ma che non riuscivamo a confessare: che, così, non eravamo felici. E che dunque la felicità la dovevamo cercare altrove. E quando uscivamo da quei territori oscuri, da quei viaggi nell’oltretomba, e quando riuscivamo a intravedere i nuovi orizzonti nel territorio aperto, allora finivamo perfino per benedire il dolore che ci aveva visitato. E cominciava la vita. Un’altra volta.
Magda era stata lasciata. L’amore della sua vita sembrava perduto. Si era allontanato, perché? Si sentiva deprivata dei suoi sogni, risucchiata da una sorta di mulinello che la portava a fondo. Tentò di resistere, di contrastare la spinta, di lottare contro la corrente. Non voleva provare quei sentimenti dolorosi. No, non voleva sentire. Poi si rassegnò. Accettò di patire. E si lasciò attraversare dall’ondata amara. Passò un tempo senza data. E non morì. Si ritrovò ancora viva, alla fine della pena.
Non era morta. E ora che se ne rendeva conto, gli orizzonti della vita erano nuovi. Il richiamo del desiderio era fresco e genuino. Il suo cuore si era allargato. E poteva fare, con maggiore libertà, quello che voleva.
Il dolore non l’aveva resa cinica. Al contrario, era stata come lavata da incrostazioni illusorie, e si ritrovava fresca e più giovane ad ascoltare il richiamo di quella prospettiva straordinaria che aveva a portata di mano.Lo so. Certe cose si possono dire solo dopo. Prima appaiono prive di senso. A meno che tu non abbia una persona in cui credere. Qualcuno che tu supponi le abbia vissute. Allora le sue parole incontreranno una corda dentro di te che vibra come se sapesse in negativo – curiosamente, una sorta di sapere anche nell’ignoranza.
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Si, è proprio vero, quello che non ti uccide finisce per renderti più forte.
Avvolte, però, quella stessa forza che ti permette di andare avanti più speditamente, finisce per renderti più solitario del normale, quegli anticorpi che ti hanno reso immune a certe sofferenze finiscono per accecarti al mondo che ti circonda; è il prezzo che paghi per impedire di venir ferito un altra volta dalla stessa sofferenza.
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La testa si bagnerà di sudore, le membra raggiungeranno il limite della fatica, la stanchezza mi chiedaerà di riposare un po’m La mia fame verrà nutrita, probabilmente rimetterò un po’ a posto la casa, trascurata in questi giorni, ma la mia testa sarà a questa impresa. L’intenzione sarà di scoprire e di fare.
Perché questa fame che chiamo inquietudine continua a parlare dentro di me, sussurra tra le pieghe delle azioni, e a volte urla, come la sera, prima di andare a dormire.
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Dai tutta questa importanza alle fusioni, ristrutturazioni, licenziamenti, nuove prospettive di profitti? E alle politiche dell’accademia?
Fanculo!
Ti sei innamorato per davvero una volta?Hai visto gli occhi di tuo figlio?
E i malati terminali?
Sei stato in qualche missione nel Guatemala?
Il tuo capo ti spaventa a tal punto?
Ci sarà, da qualche parte, nella tua giornata, il momento in cui vedi le cose dal punto di vista degli umani. Il momento in cui pensi a cosa vale davvero e in cosa si può credere.
Svegliati. La tua carcassa batte i colpi. Non sei più un ragazzino.È tempo di pensare alle cose che valgono.
Hai ancora paura di morire di fame?
Progetti ancora la tua vita per pagare le bollette?
Lo so che hai fatto sesso solo per mangiare. Niente di male, dal momento che il Dio della vita ha inventato questa faccenda.Ma nel tuo cuore c’è altro.
Tu vuoi una vita vera.
Ribellati.
Fanculo!
Lo sai, dentro, cos’è umano e cosa non lo è.Una bella doccia fredda sul grande incanto del grande spettacolo.
Tutti questi dei della vita economica. Lasciali andare. Che si vadano a far fottere. Dillo: Fanculo!
Cento anni sono pochi. Veramente.In una giornata tu puoi amare. R
agiona fin che vuoi. Ritornaci sopra. Raccogli il pensiero.
Non si tratta di programmare la partecipazione a quei dieci corsi.Tu lo sai già.
Sei un po’ brillo? Vedi le cose meglio.
Diglielo a tutto questo andazzo: Fanculo!
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Stamattina sono a camminare in questa stradina che è diventata parte della mia vita. Qui vengo spesso a iniziare la giornata. Qui mi sembra di inventare l’incipit di un capitolo di storia. È come camminare col Dio nel paradiso terrestre prima di avventurarsi tra le vicende concrete della creazione.
Qui succedono quei meravigliosi piccoli miracoli personali che sono: la comparsa di un’idea che apre l’orizzonte, il ritrovamento della pace del cuore, intravedere per un attimo il filo rosso della mia vicenda, capire un po’ di più cosa mi piace davvero, uscire dalle prigioni che mi sono lasciata costruire addosso strada facendo, andare allo scoperto osando l'esistenza, rinnovare il desiderio folle di esplorare la vita…
Mi rendo conto che, ormai, anch’io sono diventata parte del paesaggio. I contadini mi passano accanto con i trattori. Ci salutiamo con la mano. Non ci conosciamo per niente, ma vedo nei loro sguardi l’accettazione della mia presenza.
E poi ci sono i camminatori salutisti del mattino. Sempre gli stessi. Ci incrociamo, o mi sorpassano – perché io cammino adagio – e ci scambiamo un saluto. Ma anche per loro sono ormai parte del paesaggio.
Oggi la nebbia copre tutto. Lo scenario è una strada contornata da campi e una grande cupola di cielo che la raccoglie.
Una brezza gentile, porta sulla pelle del volto il piacere di una nuova giornata tutta da vivere, da viaggiare… E già sogno. Le tante cose che voglio fare saltellano nella sala d’attesa. Le guardo sorridendo. Le prenderò una alla volta, senza fretta, e inventerò un modo tutto mio per intrattenermi con loro. Le cose capitano. Il modo di guardarle e di trattarle è mio. Esprimo me stessa in questo modo. E talvolta ho l’impressione di non essere solo questa spettatrice sorpresa che sono, ma perfino un protagonista che determina un poco il corso delle cose.
Chiamo questo “il piccolo importante potere della narrazione”. E avverto il fascino discreto della microstoria che mi concerne.
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Ho terminato un lavoro, un testo. Mi fermo. Mi ritrovo smarrita. Nello spazio vuoto tra un lavoro e il prossimo (quale?), improvvisamente, non so più dove sto andando, … ho smarrito la mappa più grande, me la sono dimenticata… Dovrei salire su un’altura, vedere più cose insieme, nel quadro globale, sapere dove si collocano le singole azioni…
Una leggera ansia incomincia a filtrare dentro l’anima, promette di riempirla in fretta… Allora mi siedo e cerco di ritornare qui e ora, adesso.
Vedo la casa che stamani ho riassettato. I pavimenti sono puliti, la luce dalle finestre regala un’atmosfera serena, piacevole, all’ambiente. I fogli degli appunti sul tavolo e quelli appesi alla parete sembrano un quadro. Un collage. C’è un bel silenzio qua dentro. Il cuore batte.Ho steso i panni sul balcone. Due lavatrici. Ho buttato vecchie magliette, vecchi vestiti. Tutto sembra più pulito e leggero. Il pulito leggero mi distende. Questo è il mio orto giardino.
Sì, sono nel mio orto giardino. Ecco cosa sto facendo: lavoro al mio orto giardino.
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Stamani il cielo è più aperto. Soprattutto a oriente da dove compare il sole.
Il canto degli uccelli è più vivace, sullo sfondo del rombo del fiume, che prosegue imperterrito e incurante di altro che di se stesso. L’atmosfera è mite. Sto bene ferma ad ascoltare.
Com’è immenso il mondo! E il cosmo!
Che intelligenza permea ogni cosa!
Come ogni cosa s’incastra in un piano grandioso!
E noi?
E io?
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E c'è stato un momento in cui ho deciso: "allora mi farò io da mamma! Nessuno può farlo meglio di me. Io conosco bene le mie esigenze!"
Prendersi cura di sé è una scelta decisiva.
Implica coraggio.
Perché siamo stati educati ad un'etica dell'amore sacrificale.
Ho scoperto che avevo questo potere. Molte cose sono cambiate. Ma, soprattutto, la vita è diventata più dinamica, più avventurosa, più interessante.
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Avevo un po’ di compassione per me. E volevo bene a quasi tutto il mio prossimo.
Mi sembrava che non riuscissi a mettere molto lievito nella pasta delle mie giornate. Era una sorta di attesa. Un capitolo in cui non succede quel colpo di scena che ti fa sentire sulla cresta dell’onda.
Ma faceva parte della mia storia. La quale andava avanti.
La mia pazienza sembrava giustificata.
Ci scommettevo.
Stavo sperando, al posto di disperare.
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Un cielo fiorisca
sopra il tuo balcone
sopra le tegole del tetto
e come alzi gli occhi
te l'ho detto
allunga il dito
e già lo tocchi
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E se mi accettassi ancora un po’ di più?
La luce era diffusa nel bosco, stamani. Una luce del mattino.
Avevo dei “pensieri” questa mattina. Li ho portati al bosco per lasciarli parlare, per familiarizzarmi con loro, per ascoltare e raccogliere il loro dono. Erano pensieri di vergogna e di inquietudine.
La luce del mattino è una bellissima fanciulla, che visita sorridente ogni spazio del bosco e scioglie i miei ragionamenti e libera le mie domande con il solo sorriso.
E se mi accettassi ancora un po’ di più?Così a un certo punto suggeriva la luce del bosco.
E ho rivisto cose del mio passato, un tempo fonte d’imbarazzo e ora come messaggeri e epifanie. E, dopo tanto ragionare, sono arrivata a un punto in cui i pensieri non cercavano più di mettersi in fila e ben allineati, incastrati nella trama di qualche logica deduttiva. Un punto in cui semplicemente l’energia del mio sentire era diventata di nuovo pienamente viva e mi inondava il corpo e l’anima con il fremito del suo charme.
Ero di nuovo un sì. Quando è così non c’è più tanto da strizzare gli intestini per valutare, soppesare, rispondere alle obiezioni, insomma “baccaiare” dentro.
Il bosco mi dà doni del genere. Il bosco non è lavorare con le persone, il mondo e le azioni – agenda e scaletta… Ma il bosco prepara l’azione e le consente di esprimersi “a modo mio”. -
Mia madre guardava la televisione. Le piacevano le storie romantiche. Si commuoveva ed era totalmente presa. Poi, quando la puntata era finita, si alzava e rientrava nella sua vita di routine, dove (io lo sapevo) era infelice.
Ero solo un a ragazzina, ma credo di aver cominciato da allora a capire che non mi sarebbe bastato l’intrattenimento televisivo come nutrimento delle mie emozioni: avrei ricercato attivamente una mia storia reale interessante, appassionata, significativa. -
In fondo, rendersi conto della propria ignoranza sul senso della vita non è poi così disastroso come si potrebbe sospettare. L’ignoranza consapevole può regalare grande leggerezza, uno spazio mentale che consente di fare le cose semplici e i gesti gratuiti, semplicemente perché si sente voglia di farli, perché a farli ci si sente bene.
Fare le cose che ci fanno sentire bene non è un criterio più che sufficiente?
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Molti di noi hanno imparato a respirare, a meditare, a sentire il legame con la natura e l’universo.
Molti hanno ritrovato il proprio destino conoscendo vite precedenti, moltissimi si sono sottoposti a discipline, a regole di vita, a scuole.
Alcuni hanno trovato Dio nell’ascetismo e altri nel sesso tantrico.
Insomma , il mistero è rientrato a far parte della vita, e il mondo ritorna incantato – dopo il disincanto provocato dalla modernizzazione.
L’avventura di esistere è diventata più succulenta…
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Anche quando ci si allontana dal mondo, o da certe sue manifestazioni, perché consapevoli della nostra vulnerabilità, non si abbandona la responsabilità nei confronti dell’umanità. Al contrario, è per conservare e alimentare energie pulite e poter lavorare al miglioramento delle cose.
Il destino del mondo è affar nostro, in qualche modo.