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Per fare le cose che la mente realizza in un istante, ci vuole una vita a muovere le gambe e usare le braccia.
E tutto ciò avrà un senso, avrà un perché. O no?
Ma sembra – lo dico per interpretare anche quello che altri avvertono – che a farsi tali domande vieni sospinto in un territorio proibito, dove presumere di trovare una risposta precisa sembra quasi una bestemmia.
Eppure uno che scrive, che ama scrivere, è proprio in questo territorio proibito alle parole che vuole arrivare. Egli si sforza di trovare espressioni che alludano abbastanza a ciò che non si può dire, abbastanza da poter immaginare che sia stato detto lo stesso.
E sono disposta a sostenere che la bravura di uno che scrive sta proprio in questo. Non di aver raccontato come ha portato l’annaffiatoio per dieci volte dal greto del torrente fino alle aiuole del suo giardino. Ma di aver evocato in quale altrove riuscito a mettere il piede, mentre faceva quello.
E questo lo capiscono bene tutti coloro che, facendo cose molto concrete e limitate – perfino banali – stanno perseguendo un ideale, come fare fortuna, trovare l’America o costruire una Pipeline che porti l’acqua dolce imprigionata nei poli alle zone del pianeta inaridite dalla siccità.
Se del leggendario arciere si disse che colpì un capriolo, mirando alla luna, di costoro si deve dire che puntando al capriolo essi mirano alla Luna.
E allora credo che se immaginiamo che la nostra vita sia un viaggio – anche se ci muoviamo raramente dalla nostra città – è probabile che stiamo puntando, con il timone stretto nella mano, verso una qualche costellazione che abbiamo scelto come guida. E che quella costellazione sia la fonte di un dono che allarga gli orizzonti e ci gonfia i polmoni. Ci dona il respiro della nostra storia.
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Quando colgo i pensieri che arrivano, si creano le condizioni ideali perché succeda una cosa che mi accompagna generosamente da tempo immemorabile.
Una sorta di magia che non smette di stupirmi. Si viene a creare come uno specchio dove io mi vedo, mi parlo e mi considero. Lì, nel gioco dello specchio, le cose vengono dette, si lasciano dire e vedere, tutto si appiana e arrivano le idee. Quelle idee tanto piacevoli che rischiarano il cammino. E alla fine ne vengo fuori rinnovata.
E ciò che mi stupisce è constatare che io non sono un pezzo unico, ma che sono questo continuo colloquio con me stessa in cui mi sdoppio e vedo la me di me in quello specchio. La guardo, le parlo e mi faccio parlare.
Quesa io che sta al di qua e quella me che sta di là sono una cosa sola, vivente, che dialoga in questo modo. Se una delle due parti scomparisse, penso che non sarei proprio per nulla. Il mio io può vivere e avere una storia proprio grazie a questa possibilità di avere una me.
Io e il mio doppio siamo una cosa sola. La voglio sfruttare fino in fondo questa opportunità. -
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Quanto tempo avrò ancora da vivere?
I segnali del tempo che passa li sento anch’io.
Ma che vuol dire? Forse che è ora di rassegnarsi a cosa?
Un cavolo!
Voglio essere viva quando viene l’ora.
Voglio che tutte le mie energie – quelle che sono a mia disposizione – siano per gustare la vita. Che è straordinariamente ricca.
E mi piace che ci siano molte più cose in agitazione di quelle che io riesco a digerire.
Questo senso straordinario che la vita è sempre troppo. -
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Pensare e fare. Mi piace il pensiero. Preferisco i pensieri ai lunghi ragionamenti. E amo pensare saltando di palo in frasca, guidata da libere associazioni ed eventi casuali. È questo il modo in cui avviene la mia ideazione delle cose. Non è un lavoro a tavolino è danza, per dare una forma bella alla vita!
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Il mio giovane amico che abita vicino a me, Diego, dice che un artista è uno che vede un tramonto anche quando non c’è.
Rifletto un momento su quanta parte del mio tempo io passi a immaginare cose che non ci sono. E che pure diventano così presenti che tutto nel mio corpo e nella mente e nel sentire ne viene influenzato. A questo potere dell’immaginazione io devo la maggior parte della mia vitalità.
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Tutto sta germogliando nel bosco.Ci sono scoiattoli e merli.
Eppure, anche in questa bellezza, so che il mondo è attraversato da tanto male. E – a pensarci bene – anche la vita del bosco è tutto un ciclo di mors tua vita mea: le cose si mangiano a vicenda per alimentare la propria vita.
Si crea nella mia mente un paradosso che la paralizza. Come se non sapessi se ho il permesso di essere felice o dovrei piuttosto appiattirmi a terra sbigottita.Se è questa, però, l’alternativa, preferisco essere felice. Anche se il pensiero non riesce a darne una ragionevole giustificazione.
Allora penso – nel bosco – che il Cielo, più che nelle cose, è nel cuore dell’uomo. È al cuore dell’uomo che la vita sta a cuore. Se un mondo migliore nascerà, dovrà scaturire di lì. E allora mi rianimo e cammino, perché voglio fare energia. Serve energia per creare attorno a me qualcosa di più bello, più buono, più vero.
Penso – nel bosco – che si continua a parlare, là, nel mondo, a poche centinaia di metri, di cambiamento. Cambiare, cambiare, cambiare. È una parola che ci ha presi tutti, in un modo o nell’altro. Ma, lasciando scorrere ancora il pensiero, mi viene alla mente che non è il cambiamento, in sé, che conta. Quello che conta e costruire qualcosa di meglio. È costruire.
Ci vuole energia per costruire. Per questo sono nel bosco.
E il meglio dove lo vedi? Nel cuore dell’uomo. Se c’è un Dio che vuole il meglio per la vita del mondo, questo Dio abita nel cuore dell’uomo. Ma certo, nel cuore dell’uomo c’è desiderio. Che è, alla fine, desiderio di vita piena, abbondante, sensata.
E allora ritorno a casa e mi metto al lavoro. -
Oh sì, è meglio avere aperto le palpebre su questo scenario. E aver sentito tutto quello che hai sentito. E aver provato ad immaginare. E aver messo alla prova i propri talenti nell’interpretare le cose, e nel cercare con loro un’alleanza. È meglio averci provato a lasciare in eredità le tue piccole conquiste. E aver ricevuto in eredità un sacco di conquiste. E aver immaginato che i propri sforzi servissero a qualcosa. E aver guardato con curiosità e stupore negli occhi dei nostri figli. Ignari forse gli uni degli altri, ma comunque intrisi d’amore. E aver pensato che forse siamo solo ai primi passi di qualcosa che appena si annuncia. E aver accettato la pazienza. Anche l’attesa. E la transitorietà di ciò che ci sembrava valere un’eternità.
Da ragazzina credevo fosse più semplice. Ora è un po’ diverso. Ma è possibile recuperare l’innocenza. Ricominciare. Provare ancora a inventarsela la vita. A immaginarla come più piace. E fare come se… -
A pensarci bene sono un paio di decenni che mi faccio questa domanda. Che sta capitando? È forse un buon segnale del fatto che avverto che sta capitando qualcosa.
Un sacco di gente pensa che non stia capitando niente . Vuol dire che la percezione si è addormentata. Forse mangiano troppo. Forse bevono troppo. O si fanno troppe canne.
I carrelli pieni al supermercato. Riusciremo a smaltire tutte queste provviste? C’è rischio di ingrassare il cervello? E di annacquare i sogni che ci abitano?
Io impazzisco ogni volta che la vita mi ripropone questo tema. Che cosa sta capitando? Impazzisco di eccitazione. Perché il mio cuore desidera che il tempo partorisca se stesso. Che vengano alla luce i polloni che sono racchiusi nel suo grembo. E che si possa scoprire qualcosa di più di questa vicenda straordinaria che è la nostra vita sul pianeta Terra.
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Qui sta piovendo a dirotto. Aprile non è stato “ogni goccia un barile”, ma, di certo a Maggio “non è bastato un assaggio”! Se si vuole il sole bisogna inventarselo. E viene bene scoprire che sognare è quasi come un film: non a guardarlo, ma a produrlo, crearlo, inventarlo. Per goderselo, appunto.
Insomma, assomiglia a un atto di autoerotismo.
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Io credo che tutti desiderano la libertà di tornare ad essere come da bambini.
C'è qualcosa in quei gesti che ci riporta a una primigenia indipendenza da qualsiasi costrizione.
E questo ci consente di recuperare uno stato nascente, un primo giorno dell'universo, uno svegliarsi alla vita per la prima volta.
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Diego, che è intuitivo e penetrante, una volta ha detto che io sono un po’ gatto. È vero. Sono un gatto e sto bene da sola. Non manco di nulla quando sono con me stessa.
Questo non significa che io sia separata dal mondo, dalla gente e dai grandi problemi che minacciano il genere umano. Al contrario.
Io amo la mia vita. Amo l’ambiente dove vivo . Amo il processo stesso attraverso cui mi esprimo. Amo i miei amici, quelli a cui scrivo e che mi scrivono. Quelli con i quali c’incontriamo. Quelli di cui so qualcosa, anche piccola, che li riguarda. Quando scrivo, lo faccio per me e identicamente anche per loro.
Da sola riesco a concentrarmi meglio sulle cose che mi interessano. E anche a lavorarci meglio. A modo mio.
Io credo che i miei sogni e desideri siano da prendere in seria considerazione. Sono la parte più viva di me. Mi spingono verso qualche meta, mi scaldano mentre cammino, mi confortano quando sono stanca.
Prendendo sul serio i miei sogni ho preso sul serio la vita. Perché mai ci sarebbero dei sogni e dei desideri? Per illuderci? Per ingannarci? Si prende sul serio la vita se si assume questa opinione?
I sogni sono un fattore importante della vitalità. Riscaldano il cuore, spingono a pensare, progettare, prevedere, immaginare. E ad agire, a fare, a muovere le mani e le gambe e la voce. A usare strumenti, a cercare strumenti, mezzi, condizioni, perché l’oggetto del desiderio venga in chiaro e si realizzi.
Prendendo sul serio il sogno che mi abita io ho fiducia della vita. E sono in grado di stabilire con me stessa un buon rapporto, che libera energie profonde, a volte insospettate.
Sì, sono un gatto che ama la luna. -
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Forse con la Vita non si deve scherzare. E io ho scherzato. La depressione che mi è venuta a visitare, forse, è la cifra di ciò che io ho compresso e depresso per mancanza del vero coraggio di volare.
Amico mio, amica mia, mi sento di nuovo battere il sangue nei polsi. È una gioia profonda – credimi . La depressione è lì. Aspetta nella stanza accanto. Magari me la faccio amica. Magari facciamo società. Voglio che sia qualcosa che segna la mia storia. In positivo. Qualcosa che ha spessore. Non le solite cose confortanti che si dicono in queste circostanze. Qualcosa che ha spessore. -
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Passerò di qua e di là del fiume che corre. Da una riva all’altra. Restando in mezzo alla corrente è possibile. Come quando ami qualcuno. E vai e vieni tra il sogno e la realtà di tutti i giorni. Tra le favole che stanno in mezzo i suoi capelli e l’olio che le spalmi sulla pelle contro la dermatite. Tra il profumo di cielo delle sue labbra e il massaggio alla pancia irrigidita dalla colite. Tra i petali vellutati delle sue carezze e la limetta sulla pianta dei piedi contro i calli.
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A volte la finestra è l’apparizione del fuori, delle avventure possibili, del mondo in grande. Una finestra dice che non c’è solo il dentro. Una finestra parla del tutto. Dice che la geografia della vita è il tutto. La finestra è per me il simbolo del pensare. Il pensare è una finestra sul fuori. Sull’altro e sull’altrove. In questo senso è la cifra della libertà di muoversi e di cambiare. Se la finestra è bella allora essa è anche il simbolo della pace tra il prima e il dopo, tra quello che lasci alle spalle e ciò cui vai incontro. Voglio dire, che se anche hai lasciato o sei stato lasciato, se hai rotto o qualcosa si è rotto, una bella finestra dice che è tutto a posto, è tutto in pace, alla fine dei conti. Una finestra apre sul muro una via d’uscita. A volte è opportuno cercare la propria finestra. La finestra nella situazione. Da questo punto di vista le finestre si aprono anche dove uno meno se lo aspetta. Importante identificarle. Una finestra è una via d’uscita da limiti cui soggiacciamo senza neanche rendercene conto. Ci sono dei punti nel nostro recinto in cui è necessario a un certo punto aprire una finestra. Buttando giù un pezzo di muro. Altrimenti non si esce. Non si riesce a pensare in grande, davvero.
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La cultura dell’etica del lavoro, della performance, porta a vantarci di dormire poco, di mangiare in fretta, di portarsi il lavoro a casa e cose del genere. Ma questa è davvero una virtù? La salute e la serenità non dovrebbe avere la priorità in una vita felice? E ancora: siamo sicuri che chi lavora tanto lavori davvero bene?
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le cose di fretta non sono mai le migliori, è quel tipico arrangiamento che diamo alla vita quando non sappiamo da parte dividerci prima per le cose eccessive che proponiamo di fare.
Purtroppo siamo solo esseri umani e coma tali abbiamo dei limiti, a dirla tutta, quei limiti altro non sono che un essere che non è più capace di esprimere tutto ciò che la nostra essenza (l'anima) riesce a immaginare.
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odessa1920 ha aggiunto una reazione
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Una bella idea che il mondo sia la narrazione che ne fanno i nostri sensi, il nostro apparato cognitivo. E l’immaginazione in testa a tutto.
Ma ci dev’essere, là fuori, qualcuno a cui piacciono le storie orrende, truculente, ossessive, torbide, losche...
E così la vita si presentò come una lotta interminabile tra narratori di diverse scuole.
Io scelsi le storie del sorriso.
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