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Su di me

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    12 marzo
  • Situazione sentimentale
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  1. Mi piace raccontare storie. In definitiva riesco a raccontare bene solo storie che mi riguardano. Che rientrano nella mia storia.
 

    Ma il gusto che provo nel raccontare storie non è solo estetico. Rifletto sul fatto che ogni vita è una storia. La mia. Ma anche quella di ognuno dei miei interlocutori. E arrivo presto alla conclusione che raccontare la propria storia è un modo per fare della propria vita una storia. Infatti, c’è il rischio di dispersione. Mille cose da fare, tanti eventi che accadono. Molti eventi attesi che non accadono… Tutto questo potrebbe disperdere. L’attenzione e la vita. Immagino che lo potrebbe. Oppure fornirebbe materiale solo ad una storia raccontata da un altro. Ma che tu racconti la tua storia è un’altra faccenda. Vuol dire che hai intenzione di vivere una storia.


    Raccontare la tua storia presuppone che tu voglia esserne il protagonista. Che tu voglia una vita a modo tuo. Che tu sappia trovare o inventare un filo conduttore che attraversa tutte quelle molte giornate, tutti quegli innumerevoli eventi, che ti senti dietro le spalle. E anche che, nei momenti di stallo, tu non pensi che sei niente, ma che, anche quando non lo sai, delle cose accadono che ti riguardano.

    Una volta le storie si potevano raccontare solo alla fine. La fine, l’ultimo capitolo, è in realtà il momento in cui si può vedere il filo rosso che ha collegato gli eventi.


    Ma esistevano anche i diari di viaggio. Ed erano storie. Nel diario di viaggio si parte sempre dalla fine, ma dalla fine che ancora non è avvenuta. È la fine desiderata, il sogno che si vuole realizzare. Nel diario di viaggio, sappiamo che siamo partiti per andare là. E raccontiamo quello che oggi è avvenuto in rapporto a quella nostra meta.

    Ed è un po’ di questo genere la storia che io racconto.


    Ho deciso di arrivare là. Ho un mio sogno. E racconto quello che accade alla luce della meta che mi sono prefissa.

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