- Donna
- Verona (VR)
-
Ultima Visita
Contenuti pubblicati da odessa1920
-
-
Vorrei dirti in questo modo quanto ti ammiro quando ti assalgono le preoccupazioni, o il peso degli errori commessi, perfino la paura di avere una vita priva di senso, una storia insignificante, neanche una storia.. … e tu riesci ad accennare quel tuo sorriso leggero, a scuotere pazientemente la testa, e a ricominciare daccapo, respirando profondamente.
-
Nella nostra (mia) vita ci sono itinerari che ti portano a sperimentare la gioia e perfino l’estasi dell’essere al mondo. È un po’ l’aspirazione dei vari itinerari della spiritualità. In armonia con la natura, la meditazione che ti collega con la profonda sacralità dell’universo, la pace del cuore, etc… Ecco, mi dico, questo è il Paradiso Terrestre. Non c’è bisogno di altro e tutto è colmo.
Ma, a un certo punto emerge l’albero della conoscenza e tutto cambia. Mangi la mela e sei cacciato.
La conoscenza è innanzitutto la consapevolezza che il tuo desiderio sopravanza ogni bene che hai, ogni cosa che esiste, ogni traguardo raggiunto. La conoscenza che ti fa “come” Dio – anche se solo nel senso che il tuo desiderio è senza limiti, infinito.
E, mangiando questa mela, tu esci dal Paradiso Terrestre e ti metti al lavoro, intraprendi un cammino che è tutt’altro che pacifico, per conquistare l’altrove.
Il sentimento che provavo in queste riflessioni non era quello di una colpa, ma piuttosto la scoperta di un trucco fantastico della vita, che ti spinge ad andare oltre. La cacciata dal paradiso Terrestre risultava, nella mia interpretazione, il processo stesso della creazione della vita. Il Paradiso Terrestre è il grembo materno, dove tutto è dolce e pacifico. Ma da cui, per essere e per vivere, vieni espulso. La trasgressione che rompe l’armonia originaria diventa un gesto coraggioso e creativo. La colpa diventa una “Felix culpa”. È analogo alla decisione dell’emigrante che va a cercare l’America, non perché in casa non ci sia abbastanza, ma perché ha scoperto – la conoscenza – che il suo cuore desidera di più. -
Nel segreto fascino del viaggio certamente c’è il piacere di vedere nuovi paesaggi, nuova gente, nuove abitudini, nuovi modi di essere. Diciamo: il piacere del nuovo. Viaggiare è uscire dal proprio mondo e incontrare l’altro. E quando s’incontra l’altro, prima lo si riconduce al noto, per rassicurarsi, e poi ci si rende disponibili per vedere oltre il noto.
Ed è qui che si comincia a cambiare. Perché l’altro ha per vocazione quella di manifestarsi come la parte mancante di sé. È sorprendente la gioia di scoprire che l’altro era ciò che ci mancava. Come se noi fossimo un tutto, frammentato in infiniti mondi, che il viaggio ci permette di incontrare e di mettere insieme.
Io, nel viaggio, mi muovo un po’ a caso. Voglio dire: senza un piano preordinato in maniera rigorosa. Forse è perché non so esattamente dove devo andare. O forse è perché mi appare piacevolmente romantica l’idea di lasciarmi “guidare dal cavallo” mentre procedo. Con il segreto desiderio di scoprire che nulla avviene a caso e che ciò che incontro è in qualche modo sorprendente indirizzato proprio a me.
Alcune cose, però, si sono chiarite e fissate nel corso del cammino. Per esempio, che sono attratta da una qualità di vita indipendente dalle pressioni sociali, cercata e riconosciuta ascoltando quella voce interiore che molti chiamano “il cuore” e trovando una verifica nel sentimento che mi occupa quando faccio certi passi. E mi rendo conto della verità di ciò che si dice quando si sottolinea che la gioia di vivere è legata a cose piccole, semplici, quotidiane, come il camminare tra i boschi o su sentieri di montagna, parlare con amici sinceri in maniera spontanea, riuscire a vivere facendo le cose che ami perché scaturiscono da inclinazioni naturali. E provare il piacere della consapevolezza che si costruisce considerando nella quiete le cose che succedono e sentire che il nucleo si se stessi in qualche modo evolve. Poter immaginare che le cose che si fanno in questo modo, pur nella loro limitatezza, sono il dono migliore che puoi fare alla vita, al mondo, agli altri.
“Vivere a modo mio” è stata la mia bandiera da quando mi sono messa consapevolmente in cammino e non intende essere un atto di presunzione nei confronti di qualcuno o qualcosa. Ma semplicemente quello che ho detto.
Mi piace pensare che è in questo modo che cerco la realizzazione dei miei sogni. E non mi attira per nulla “quel successo là”, quello rappresentato sul palcoscenico delle celebrità. Mi rendo conto che “quel” successo non ti consentirebbe più di vivere a modo tuo, affidato com’è a una macchina della “visibilità” che prende il sopravvento sui tuoi veri bisogni e desideri, rendendoti schiavo di una recita infinita.
Quando vado a scrivere in un prato di collina, so che questo è il culmine della gioia di esistere. E quando racconto le storie bellissime che incontro so che celebro la bellezza e il coraggio dell’animo umano. La vita mi appare così immensamente ricca e vasta che ho la sensazione quasi inquietante di essere strutturalmente piuttosto indietro nell’apprendimento. Ma invece di scoraggiarmi, mi ridimensiono e mi lascio prendere dalla meraviglia dell’essere al mondo. E mi spoglio progressivamente delle mie pretese, e mi abbandono al mistero, alla corrente, ...non so neanche io dire a che cosa. Ma il sentimento è di una gratitudine immensa.
-
-
-
-
-
Era un viaggio nel caldo del Sud, dove la vegetazione è lussureggiante e Peter Pan conduce ancora magicamente il suo vascello fatato.
Lei disse: Ho inventato un mondo fatto a posta per me. Era meglio di quello che mi raccontavano gli altri – i soliti ragionevoli signori che hanno deciso che s’invecchia e si muore – perché ci si affatica troppo a vivere. E l’eco delle loro raccomandazioni rimbalzava ancora nel fondo della grotta.
Solo Jardy sapeva raccontare la storia dell’avventura umana con un po’ di brivido addosso. E, in quella circostanza, disse cose che ci obbligarono a fermarci a riflettere almeno un momento.
Lei disse: Oggi sono i ragazzini a capire quel che sta succedendo. Quegli altri – i grandi – sono troppo pieni di lardo inquinato per far uscire dal loro cervello pensieri che rinfrescano l’aria e accendono il sogno.
Ah!, com’è faticoso vivere! – dicono loro. E hanno messo già il culo sulla tavola in discesa che porta alla fossa nel cimitero. Nella fretta di morire, si adoperano per perdere vita, già oggi, giorno dopo giorno.
I ragazzini sanno che il mondo comincia oggi e sono pronti a giocare e mettersi in gioco. Per questo Peter Pan non voleva diventare mai grande.
E io navigo, su questo vascello, nell’Oceano dell’Essere.
E mi sento benedetta, per il fatto di esserci a guardare e trafficare. In questa sorta di avventura che chiamiamo vita.
-
-
-
Come fai ad andare a dormire quando i pensieri ti accendono l’animo?
Vorresti fermare il tempo?
No, vorresti che questo tempo non finisse mai.
E temi che, addormentandoti, gli dai il permesso di cambiare.
So già che tratterrò le palpebre il più a lungo possibile e fantasticherò nuove esplorazioni e nuovi eventi.
-
-
Non finivo più di sostare nella meraviglia, oggi.
È lì che lo stupore di essere al mondo si fa gratitudine intesa, mentre gli occhi si riempiono più che possono di cose.
E com’è bello avere più stimoli di quanti si riesca a digerire, più abbondanza di quel che si possa mettere in tasca!
La parola viene a mancare mentre il desiderio di dire si fa gigante.
E il cuore allarga i suoi confini, cimentandosi col Tutto.
-
Le fedi, quando diventano bandiere e appartenenze, non significano più un cazzo. Il silenzio di Dio è un gran dono. Consente di abbandonare il senso di appartenenza e di giustificazione che deriva dal militare sotto uno stendardo. Consente di scoprire che la grandezza umana stà nella consapevolezza che il bene e il bello valgono la pena in se stessi. E che tu sei grande non perché hai un Dio Grande. Ma hai un Dio Grande perché hai sposato la grandezza.
Natale è questo: nascere alla Grandezza.
-
Incapacità di accettare del tutto che le cose accadano? È possibile. Sono secoli che mi sto dando da fare per convincermi che accade quel che deve accadere e che è meglio così. Lo faccio perché mi sembra che una posizione del genere lasci più liberi di essere quel che si è, lasciando al mondo la libertà di andare per la sua strada. Ma il mio sforzo autopedagogico non è ancora stato coronato da un successo convincente. E nel frattempo vivo nella zona di mezzo. Quella tra i due confini: che è come dire nell’ignoranza.
-
La giornata incomincia con il sole.
Amo il mondo. Ed esserci. Essere viva. E saper fare quello che so fare. Adoro le mani. Un bel regalo. E l’avventura di vivere facendo quello che amo e mi viene bene e facile.
Amo pensare che in questo modo darò il mio contributo. Come gli alberi da frutta che regalano mele e pere e pesche e cachi… senza sforzarsi di fare altro che quello che è nella loro natura.
-
Quando sto male – come tutti – piango, prego, mi inquieto, dispero, mi abbandono, mi arrendo e mi do da fare.
Riuscire ad isolarmi nell’adesso è come rannicchiarmi attorno alle mie ferite. Aspetto che passi – se passerà – risparmiando le forze.
E riesco a trovare anche una certa pace. Mi accontento di essere. O di essere stata.
-
Ed ecco la mia gioia.
Ora sembra ripristinata sul suo trono.
Trono di bambù, ovviamente.
La casa che mi fa da vascello.
E la navigazione – piccolo cabotaggio – che si alimenta di ciò che vedo fuori della finestra.
E l’audacia dei sorrisi, delle gentilezze…
E i colpi di testa delle sfide, per esplorare il possibile, inseguire la gioia, che ti bacia e si sottrae, come una fanciulla che t’inviti scappando…
Ora oso di nuovo aprire il cuore ai grandi sogni.
E soprattutto alla musica e alla danza di una vita che si solleva sopra i semplici fatti.
Una vita che si faccia!
-
Da un lato non c’è altra via.
A meno che tu non ne abbia abbastanza.
Ma, dall’altro lato, è così bello!
E tu puoi colorare lo scenario della tua storia.
Non vuoi avere una tua storia?
Con lo scenario che sei capace di desiderare?
Manda affanculo gli invidiosi!
Ricordati di quando da bambino dentro la scatola della lavatrice eri in un’astronave!
Guarda il cielo di notte, o prima dell’alba.
Pensi davvero che i confini che tu conosci siano i confini dell’essere?
Evita gli invidiosi!
Vogliono solo annegare i tuoi sogni perché non riescono a credere nei loro.
-
Troppo dolore, troppo grigio, troppa rinuncia sterile. Troppe ore inutili, prive di senso.
Bisogna fare qualcosa per accendere il sorriso della vita.
Per attrarre energia innocente e giovane nel cuore.
Per guardare il mattino come una promessa che il tramonto avrà mantenuto.
Per aprire quella porta che imprigiona.
Perché i sogni entrino dalla finestra con il canto degli uccelli.
Perché la giornata sia piena di colore. -
Molti lo stanno affermando. Molti esprimono timori catastrofici su dove ciò possa condurre. Non credo che il baratro dello smarrimento sia un destino ineluttabile. Ma conviene porsi la domanda. Essa può riguardare la vita delle persone anche più profondamente che il marketing. Ipotizzando che ci sentiamo tutti quanti sotto l’obiettivo della telecamera (che in tal senso ha sostituito l’Occhio di Dio di altri tempi), che effetti ha questo su la nostra “recita”? l’immagine che recitiamo è davvero la rappresentazione di ciò che siamo e dei sogni profondi che ci definiscono?
Il Dio severo ed asciutto dell’Antico Testamento – dicono – è morto. Morirà anche il dio dello share, perché anche questo dio nega qualcosa che ci appartiene di diritto: l’identità tra la nostra immagine-sogno e la nostra realtà. -