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Contenuti pubblicati da odessa1920

  1. Io vado avanti con questo pensiero. Mi dico: se sono stato scelta dalla vita ad essere viva, proprio io, la mia vita è importante. Merita tutta la mia cura. Non la voglio svendere. Non voglio svenderla alle paure che mi assalgono. La mia vita ha dentro di sé un desiderio di grandezza e di bellezza che non può essere soffocato dalla mancanza di coraggio.

     

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  2. Guardando il cielo avvertiva forte il richiamo alla grande esplorazione, vibrava alla misteriosa interminabile ricchezza dell'essere, e sapeva che il futuro era infinito: doveva esserlo per contenere la realizzazione dei suoi sogni.

     

     

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    1. glamoursnob

      glamoursnob

      posto bellissimo , e bellissima foto anche !! 

  3. I poveri sono matti, diceva Zavattini. 

    E da matti possono sognare quel che gli pare…

     

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  4. Sono perplessa. Mi rendo conto che della vita so veramente poco. E quello che so potrebbe essere piuttosto sbagliato. Ho solo tanta voglia di gioia, creatività, azioni efficaci, desideri realizzati, cose del genere. So che mi voglio bene e mi prendo cura di me. Cerco di tenere su il morale. Mi carico di pensieri che mi regalano stimoli e spesso entusiasmo. Poi faccio dei tentativi, con quello che so fare. Mi avventuro. E questo mi piace. Spero che la vita mi sia favorevole. La buona stella, quella cosa lì. Sono anche un po’ scaramantica. Talvolta sciamanica.

     

     

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  5. L’occhio impara a cogliere i segnali di rinascita. Non si è lasciato oscurare dalle cadute e dagli insuccessi. Ha mantenuto la fiducia, che è la vera luce dello sguardo. E le mani ci riprovano, felici di sentirsi vive.

     

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  6. Ti guardo negli occhi, amico mio, e sento musica.


    Musica è la parola.


    Musica che entra dentro, come un soffio d’anima.


    E mi entra dentro.


    E ci resta.


    A lungo, amico mio.

     

    E si cammina – nei ritagli del tempo

    
Sui sentieri del parco più vicino.



    Si cammina, nelle pieghe del tempo.


    Il tempo occupato dal lavoro e dalle strategie.


    Sarà questo il Sabato della vita?

    
Un sabato esiguo – sull’orologio della vita.


    Sui sentieri del parco…



    Quando siamo lì – nel tempo vuoto – sembra tutto strano.


    Ci vengono pensieri come uccelli tropicali.


    Come se la geografia del quotidiano fosse – di fatto – un paese straniero.


    Il paese di un altro – di altri – un altro paese.



    Perché camminiamo vicini,
sui sentieri del parco – dove corre tutta questa gente?



    Ti guardo negli occhi e sento questa musica.


    Mentre guardiamo, strabici, percorsi alternativi.


    Perché l’arte è entrata nel nocciolo caldo della nostra vita.


    Paradossi e contraddizioni non fanno che eccitare una prorompente vitalità.



    Dove guardano i tuoi occhi, amico mio?

    
E i miei?



    È questo il Sabato?



    Le foglie degli ontani dicono


    Che sono idee nuove quello che cerchiamo.


    Le incontreremo sui sentieri del parco?



    Guarda come corrono i bambini!

     

    E tu sorridi – indimenticabile.


    Quel tuo sorriso che viene dall’anima.


    E io penso: idee nuove, è questo che cerchiamo.



    Camminiamo nel parco più vicino.


    Un ritaglio di tempo – tutto qui.


    Ritaglio nel tempo del lavoro e delle strategie.


    Per un istante abbiamo visto come un altro paese.


    Il nostro?


    E ora?


    Siamo all’estero?

     

     

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  7. Il punto è sempre lì.


    A volte il tempo sembra offrire opportunità insperate.


    Ma devi muoverti. 

    Devi cambiare. 

    Si tratta di cambiare. 

    Si tratta, in fondo, di fare tu l’atleta delle Olimpiadi.


    Sentire il richiamo e cambiare.

     

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  8. Ho cominciato a scrivere tardi. La grammatica e la sintassi c’erano, più o meno. E il vocabolario era quello della scuola. Ho cominciato a scrivere tardi ma non mi andava di scrivere le mie memorie. Ho cominciato a scrivere dimenticandomi della mia professoressa di lettere, che era molto brava e piuttosto fiscale. Mi sono dimenticata di lei, senza odio. Ho cominciato a scrivere per il piacere di battere le lettere sulla tastiera del computer. Nella mia testa era come suonare. Suonare il piano. Un pianoforte a coda è sempre stato il mio sogno, anche se non so leggere la musica.

    Ho cominciato a scrivere e una corda della mia anima vibrava. Come entrare in risonanza. Ho capito che scrivere faceva parte di me. Tutti pensano. Anch’io penso molto. Ma scrivere il proprio pensiero – in senso lato – è una cosa che ti fa pensare in maniera diversa, speciale.

    Non credere che sia nata scrittrice. Che abbia qualche strategia di scrittura, in maniera da risultare esperta in qualche genere, o qualche topos, come si dice? Io scrivo di getto, ma nel momento in cui scrivo sono lucidissima. E nello stesso tempo, portata da un’ebbrezza che potrei chiamare ispirazione – se conoscessi tutta la letteratura in proposito e fossi sicura di non sbavare…

    Il vero problema era diventare abbastanza veloce con le dita sulla tastiera, in maniera da inseguire il flusso – perché la mia testa non esita a sparare immagini considerazioni osservazioni e ragionamenti… a getto continuo.
Mi sono esercitata come si fa con la tastiera del piano. Ora sono brava, le dita ci vanno sicure sulle lettere giuste. Anche se a volte le accavallo per una sorta di dislessia o cose del genere. Ma fa niente.

    Mi sono data il permesso di scrivere tutto quello che veniva e sono capace di mettere nero su bianco che questo bitorzolo mi sembrava un coglione affettato da una lametta da barba su una palla di gelato, se mi viene così, semplicemente perché mi si è formata quell’immagine in testa.

    Io penso che in questo modo sono in contatto con quello che sento e non mi sottometto a nessun protocollo accreditato. Tanto scrivo per me. Per molto tempo ho scritto solo per me. Per entrare in contatto con quello che avviene dentro di me. Era proprio un bell’esercizio per liberarmi non solo della sintassi – che poi continuo a rispettare per rispetto a me stessa – ma dell’idea che se scrivo dovrei scrivere delle cose che van bene secondo lorsignori…

    Nossignore, io scrivo per me, perché m’interessa entrare in contatto con quella che sono e che sento di essere. E non ne posso più di essere così scema da fare le cose come gli altri si aspettano che sian fatte. Insomma, era un bell’esercizio di emancipazione. Non faccio per dire, e non davo noia a nessuno. Tenevo le mie cose segrete.

    Un po’ per volta ho capito che stavo scrivendo la mia storia. Non soltanto il mio passato, che rivisitavo e redimevo di volta in volta da quel senso di pesantezza che avevo provato per lungo tempo, o dai sensi di colpa, o dalla vergogna, perché – devo esser sincera – ho fatto un sacco di cazzate. Le redimevo, sì, è la parola giusta. Ogni volta che riscrivevo le cose del passato, quegli eventi scabrosi, santo cielo, succedeva qualcosa. Spuntava dal loro groviglio inconsulto, piuttosto necrofilo, un filo rosso che li rimetteva in pista, come se si fosse trattato di episodi significativi, insomma, luoghi della mia vita in cui avevo imparato qualcosa che solo ora si poteva vendere. Era fantastico. 
Io non sono necrofila. Mi sembrava di esserlo, una volta. Ma scrivendo ho capito che il mio gusto per la mia storia era desiderio di vita e non compiacimento del gusto salmastro della morte masticata.

    Non solo il mio passato, dicevo. No, a forza di scrivere io mi rendevo conto che stavo scrivendo la mia storia presente e gli occhi si spostavano verso il futuro: quella storia mia che sto costruendo – non certo con la sola scrittura, ma anche mediante la scrittura. Perché mi rendevo conto che io volevo avere una storia. E poi mi rendevo conto che io avevo una storia. E che questa storia era l’espressione progressiva – una sorta di epifania – dell’impronta della mia anima.
 E mentre la scrivevo la desideravo e il desiderio si radicava dentro la mia carne e mi accompagnava per tutto il tempo in cui non scrivevo sulla tastiera, ma scrivevo sulla buccia del mondo, negli eventi del tempo.

    Solo Dio aveva il diritto di vedere quello che scrivevo. Ma perché il Dio a cui facevo riferimento era diventato – anche grazie alla scrittura – il Dio che preferiva che confessassi quel che sentivo e pensavo davvero piuttosto che una prosa obbediente ai dieci comandamenti. Scrivendo si acquista coraggio fino al punto di rimodellare l’immagine di Dio!

    Adesso vi meraviglierò – lo so.
 Mo non ci posso far niente se le cose sono andate in questo modo. Ma mano che scrivevo le mie visioni – che poi erano versioni filmiche dei miei sogni, dei miei desideri, man mano che li rendevo visibili sulla carta mediante la scrittura, queste cose hanno cominciato a succedere… Lo so che molti di voi non ci crederanno, perché immaginano che stia vendendo un rituali magico. Ma le cose stanno esattamente in questo modo. Ma mano che mettevo in chiaro con questa pratica scaramantica quelli che erano i miei desideri, succedeva qualcosa – dentro di me? Nelle meccaniche celesti? – e chi lo sa? – Succedeva, comunque, che, in seguito a azioni ed eventi, queste visioni prendevano corpo ed apparivano nel mio mondo reale, voglio dire non solo sulla pagina bianca e nella mia fantasia. Voglio proprio dire in quel mondo in cui si pagano le bollette, si incontrano persone, si creano degli oggetti e si vendono. Nel mondo in cui si cucina e si cammina.

    Per concludere, che dire? Se tu sei uno o una che sente nostalgia di una storia, se vuoi avere una tua storia, se vuoi vivere la tua storia, beh, io ti suggerirei questo, se non mi prendi per matta: scrivila.

     

     

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  9. Forse ci sono gli elfi, da qualche parte. Io non li ho incontrati. Certo che incontro i miei sogni con il respiro all’aperto. E mi viene in mente che i pensieri all’aperto, i pensieri che nascono dal respiro, sono pensieri che possono presumere di dare respiro.

     

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  10. Di solito dico sì per partito preso. Mi piace pensare che sono diventata un sì, strada facendo. Essere un sì vuol dire non fare tante storie e immettersi negli eventi che ti raggiungono. Vuol dire pensare che qualcosa di buono succederà e non è il caso di fasciarsi la testa. Dico sì, senza domandarmi se possiedo la risposta al quesito che mi si propone.

     

     

     

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    1. vincent29264

      vincent29264

      provarci è sempre un bene, almeno per mettere sé stessi alla prova, soprattutto non lasciarsi andare al torpore mentale, quello che ti fa vedere il tutto di un solo colore.

    2. diegodelavega0

      diegodelavega0

      bellissima foto :)

  11. Da bambini, giocando, viene da sé. Come se la natura ci instradasse per istinto al modo di vivere alla grande.
Sei in mezzo a dei cartoni da imballaggio, quelli che la mamma ha lasciato per qualche tempo a tua disposizione, prima di metterli davanti al cassonetto.
E tu ci entri dentro, li traffichi un po’, e ti ritrovi a viaggiare su una macchina sportiva, o su un’astronave, oppure ne fai una casa dove inventi un’intera saga familiare…

    C’è da domandarsi come si possa perdere un’inclinazione così piacevole. C’è da domandarsi come mai smettiamo… diventando adulti.

    Ma non tutti.

    
Guardate l’artista, il pittore, il compositore, il regista, il romanziere, il ballerino, l’attore… trafficano con la pasta del mondo, ma la loro testa è altrove, nel mondo delle visioni, dei sogni, delle idee. Quello che risulta dai loro gesti viene a far parte del mondo e lo abbellisce, lo arricchisce.

    Ma per un momento, trascuriamo il risultato, l’opera.


    Guardiamo l’artista nel processo creativo. Sta giocando un gioco meraviglioso, la sua testa è tra le nuvole, si alimenta di sogni, di visioni. Ha dato vita a questo film e, poco alla volta, il film gli prende la mano e va avanti da solo, il romanzo procede per conto  suo, il quadro che si fa guida i gesti del pittore…
L’energia fluisce nel corpo, nelle mani, nel cuore.
È la pienezza, la ricchezza, la gioia di essere vivo, la misura stessa della vita.
     

    L’approccio dell’artista alla vita risiede in questo credere nel sogno, nel lasciare libero movimento al flusso creativo.

     

     

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  12. La fragile bellezza dei papaveri.

    Innamorati del ciglio della strada

    
e del campo di grano


    regalano il proprio sangue


    per uno sguardo incantato.

     

     

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    1. ok1803

      ok1803

      bellissima foto :x

    2. vitto071

      vitto071

      bellissima foto e un bellissimo paesaggio 

  13. Vedi quello che succede, quando scrivi?

    Capisco che si parli di terapia della scrittura.

    Lo capisco benissimo perché la scrittura lascia emergere la tua voce fino ad uscire allo scoperto, a collocarsi nella grande canzone dell’universo. 
Ma non mi piace che questo concetto della terapia, che oggi ti ritrovi dappertutto, sia troppo insistito e si fagociti la scrittura stessa – e tutto il resto.

    Che siamo tutti e sempre malati? E cos’è questa smania di definirsi in permanenza bisognosi di guarigione?

    Pensare che ancora dobbiamo guarire è prendere tempo. È rimandare.

    Voglio pensare che sono già guarita. Che sto bene abbastanza per vivere, che ho abbastanza energia per fare e per creare, per alimentare la vita attorno a me.

    Fino a che punto siamo diventati ipocondriaci? Questa vecchia mania a provare piacere nel sentirsi inadeguati. Non stiamo abbastanza bene per fare casini in questo minestrone della vita?
    La vita è molto più divertente di una continua terapia.

     

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  14. Il giovane trifoglio aveva la beltà 


    di chi seppe resistere a tanta siccità.

     

     

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  15. Credere nei sogni cambia la vita. E crea un mondo nuovo.
    I sogni sono il lievito che solleva la pasta e ne fa un pane profumato e gustoso.
    I sogni sono una potenza che consente all’azione di dare una forma bella all’esistenza.

     

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  16.  – Odio i test. O i colloqui di selezione.
 Li odio perché tu vieni misurato in base a quello che qualcuno, o un sistema, ha pensato che tu dovresti essere. Fa parte di tutto un marchingegno di indottrinamento che dice come devi essere per non incorrere in certe sanzioni, o al limite per non morire di fame.
 Un sistema di pressioni che si esercita su di te fin dall’infanzia e ti raggiunge da tutti i lati. Un sistema che ti dice cosa e come devi essere per essere ben accetto.

    – Tutto questo è odioso perché io sono io. Io voglio essere quella che sono e non fare la miss tal dei tali. Voglio essere miss me stessa. Voglio metter fuori tutto quello che ho dentro e rivendico una vita in cui io sia libera di esprimere quello che sono.
– Quello che sogno è un sistema che mi permetta di vivere facendo quello che amo e quello che sento. Io sogno un sistema che non mi obblighi a vendere me stesa e a dare certe prestazioni che non sento e che mi fanno morire dentro in forza del ricatto che altrimenti non avrò di che vivere.
I o sogno un mondo che sappia che i frutti della libertà sono più abbondanti e sani dei frutti della schiavitù.

     

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  17.  – Io ti voglio bene, Gess, ma ti devo lasciare. Lasciamoci per amore.
    Perché è tanto chiuso questo sentimento. E tu, a volte, sei tanto stupido. E obblighi anche me ad essere stupida, fino a questo punto.
    Non è il caso che ci rotoliamo per anni e anni in questa melassa. Non si va avanti, in questo modo. Si rimane come in una casa di riposo. Tutto è un collegio. Ma non è vita.
    All’inizio sembrava di vedere i fuochi sulla collina.
    Te lo ricordi? Li abbiamo visti insieme.
    Era un assaggio. Era come presentire che la vita è grande e straordinaria e meravigliosa.
    Ma poi – cosa diavolo è successo?
    E ora dobbiamo guardarci dentro…
    È meglio che, per amore, ci lasciamo.
    Piuttosto che…

     

     

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  18. I miei fili d’erba e i fiori di campo tendono a slanciarsi verso l’alto.


    Così, al risveglio, anch’io.

     

     

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  19. Una mattina al risveglio. La voglia di realizzare. L’immaginazione al potere. Qualcosa è seminato dentro. La pianta vuole sbocciare e crescere. Nel mondo. L’uomo non ha bisogno del letargo dell’inverno. Gli basta la notte. Può fiorire ogni giorno.

     

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  20. Era fresco, stamani.Aria fresca e luce intensa. Presto. Mi fa impazzire quando è così.
 Cammino e sogno.

    Quella passeggiata mattutina è la visita dei miei sogni.
 È l’altrove dei miei desideri. L’anima bambina che mi consente di accettare tutte queste difficoltà. Ora è un periodo difficile. Per me. Per tanti.
 Al ritorno, il mio alloggio è un vascello. Lo ripulisco. Lo apro alla luce e al vento. E parto.

    La fatica del vivere. Un concetto già classificato. Vuol dire che le cose non vengono da sé, come quando eravamo bambini e altri pensavano a noi. Non fottiamoci con questa categoria della fatica del vivere. Siamo grandi, abbiamo la forza di operare durante il giorno. E astuzia abbastanza, e intelligenza e immaginazione. La fatica del vivere è semplicemente vivere.

    Questa fatica ha un senso se dentro c’è il nostro sogno. Non possiamo avere certezza a priori che tutto funzionerà, Vogliamo questo? O metterci alla prova? Crescere e scoprire?

    Se troveremo l’Isola del Tesoro, un po’ sarà per caso – fortuna – un po’ sarà perché ci siamo avventurati. 
E se non lo troviamo?
 Avremo viaggiato!

    Siamo in crisi? Non siamo in crisi? E la guerra?
 Alcuni, ai tempi dei campi di sterminio nazista, sono sopravvissuti.
 Non siamo in un campo di sterminio.

    Ti rendi conto?
 Quanti anni sono che ti alzi ogni mattina con la pancia piena? Ieri sera hai mangiato. Te ne rendi conto?
 Hai ancora il coraggio di lamentarti?

    Tutto questo trafficare con gli eventi è bello. Lo senti? Il profumo della bellezza?

    Sviluppa la tua forza, cammina all’aria aperta, leggi e lasciati stimolare dai libri, immagina l’impossibile che desideri.
 Se spari alto, arriverai più lontano.

    Ma, mastica ogni istante. Masticalo bene. Ti nutrirà.
Vivi nel presente, ma non farti fuorviare da filosofie affrettate. Il presente, l’attimo, passa in fretta. E che altro potrebbe fare un attimo? Lascia che il tuo attimo si gonfi di tutto il passato e dei sogni del futuro. Non passerà mai.
 

    Che il tuo presente sia una storia lunga e avventurosa.
 

    Che il tuo presente sia memoria e immaginazione.


    Che il tuo presente sia un fare pieno di fiducia e d’iniziativa.

     

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  21. Molte pene dell’anima nascono, si sviluppano e crescono alimentate dalla nostra stessa cura. La Montagna Incantata di Tomas Mann ci ha mostrato come la malattia sia suadente e piacevole. Però fa di noi degli esseri decadenti. A meno che non siamo gli scrittori che ne descrivono le volute.

    Il fatto è che – come Leopardi e Shopenhauer – crediamo ancora che ad essere intelligenti si comincia a soffrire. Ci teniamo ancora stretti a quest’idea che ad essere consapevoli è inevitabile soffrire. Meglio sarebbe, come le pecore, brucare e dormire sotto la luna, senza sapere…

    Ma non potremmo cambiare questo pre-giudizio? Non potremmo sostituire al corrente concetto d’intelligenza quello che prevede che è più intelligente chi riesce a star bene, ad essere felice piuttosto che avere ragione?

     

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    1. vincent29264

      vincent29264

      No, purtroppo non è possibile, la consapevolezza stessa è fonte di paura, non tanto per la coscienza di essere fragili nei confronti della vita, o di essere realmente solo anche nel stare in mezzo alla gente. È proprio alla base di questo nostro essere che tutte le religioni hanno prosperato al mondo, proprio per quella paura di quell'ignoto che ci circonda, di cui siamo consapevoli ma che ci illudiamo di un dio benevolo che ci circonda, ci accudisca e nel bisogno si prende cura della nostra persona. Si, l'ignoranza è una brutta bestia ma ad essa v'è rimedio, il problema è la stupidità, quella proprio non ce modo di curarla.

      Tu hai parlato di pregiudizio, purtroppo non è un pregiudizio ma un dato di fatto ma v'è un rimedio, a parte la religione che dovrebbe smaltire quelle paure che si generano dalla consapevolezza di sapere che oltre quello che vediamo dovrebbe esserci di più, c'è anche la conoscenza che possiamo acquisire di quello che non sappiamo cos'è in sé, e come ben sappiamo tutti, tutto ciò che si conosce non fa più paura perché si sa soprattutto come affrontarlo.

    2. fabulousme

      fabulousme

      Aforismario: Aforismi, frasi e citazioni sull'Essere Felici

  22. Mentre salti e danzi e sogni vicino al fiume, mentre scodinzoli ebbro tra le foglie e odori la resina degli alberi impazziti al primo sole, là tra le canne dei tuoi acquitrini segreti, in apparenza silenti, si covano le idee e gli impulsi vitali che ti porteranno a creare gli incanti dell’esistenza.

     

     

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  23. Inizio con brio, perché così tutta la marcia sarà leggera.


    I primi passi sono sempre decisivi.

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  24. Mi figuro la città e gli spazi urbani, in una geografia rovesciata rispetto a ciò che percepisco di solito. Non già un’area urbanizzata in cui la natura è evocata da aree verdi, parchi e giardinetti… Al contrario la casa e la città come aiuole dentro la natura, che risultano dal modellamento dell’ambiente, ossequiando il richiamo della bellezza. Lo scenario si ribalta. Non un giardino attorno alla casa, ma la casa dentro un giardino. La “casa” più grande è la natura, insomma.

    E mi vengono in mente le idee di Rousseau sulla capacità della natura di bonificare i guasti che la cosiddetta civiltà ha prodotto nell’animo, la capacità di ricongiungere il cuore con il grande respiro dell’universo, ritrovando una sorta di verginità.

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  25. Ci siamo. Comincia la settimana e comincia il mese.

    Fermati. Fermati un momento, altrimenti il tempo scivola via troppo in fretta e tu rimani sempre in una sorta di presente iperbolico.
Voglio sentire il tempo che scorre, come l’acqua del torrente sulla pelle. Voglio che gli eventi abbiano il tempo di realizzare una presa su di me, che si trattengano un poco, quel tanto che basta per sentirne il sapore, e la successione.

    C’è stato un tempo in cui ero sempre incazzata con la vita e con gli eventi. Era una continua rottura di palle. Il mio corpo e le mie smorfie sembravano dire a chiare lettere: lasciatemi in pace!

    Mi sembra la vita di un’altra.

    Adesso, ogni minuto, vedo una corrente di vita stracolma che mi viene addosso, mi accarezza, e mi chiede di giocare. Ora accolgo gli eventi come una vela aperta raccoglie il vento. Li lascerò andare, certamente, ma cerco di trattenerli un po’ nelle mani, per sentirne il gusto, per goderne la successione.

     

    Ricordi, quando mi accarezzavi le ascelle?


    Io mi chiedo: c’è qualcosa di meglio che farsi accarezzare le ascelle?


    La luce di questa primavera produce una radiografica dell’anima.
Tutto è limpido – terribilmente limpido – al tramonto del sole.


    La mia stanza è un poligono di luce, verso Occidente.

    Mioddio! Sono viva.
Non riuscirò mai a capire questa cosa.
La mia stanza è traforata dalla luce.


    Ci sono mille pensieri.

    
E io cammino un passo dopo l’altro, credendo di andare in una certa direzione, Credo che ci sto andando. E succedono cose.

    Perché so di non sapere tutto questo?

     

    Facciamo tutto troppo velocemente. Anche l’amore.


    Eppure, quando mi accarezzavi le ascelle, era un volare via per altri mondi, e sentivo che il desiderio amava rallentare.

    Che avventura straordinaria!
 Sono stupefatta.
 Che debbo fare? Pregare? Rendere grazie? Cantare? Ballare?
 Sembra tutto, lì dietro, a portata di mano… eppure, ancora inaccessibile.

    Certo, desidero far fortuna, avere successo. Conosco l’importanza del denaro e della buona fama. Ma c’è qualcosa che mi sfugge, e che… Qualcosa che mi sfugge, eppure chiama. Qualcosa che fa di tutto questo un mistero.

    Ah, viene ancora ad accarezzarmi le ascelle!
 Mi addormenterò così, stordirò la mia coscienza inquieta, in questo modo.

    Quando mi carezzavi le ascelle era aprire una porta su mondi che stanno oltre la tenda. Dove non so niente. E che pure mi chiamano.

     

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