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  1. PESSIMISMO
    "Ne usciremo migliori". Dice qualcuno. Non sono ho mai avuto ambizioni di profeta e non saprei dire se questa catastrofe ci condurrà davvero a ricominciare tutto daccapo e a ricominciarlo meglio. Personalmente non credo che sia così semplice come riavviare un computer.
    Può darsi che molti di noi stiano imparando ad adottare misure igieniche più appropriate, il che va benissimo. ma ci sono dei meccanismi in noi che sono stati avviati oramai da troppi anni, e non credo che questa situazione di "quasi arresti domiciliari" renderà migliore l'essere umano. La storia dell'essere umano ci racconta qualcosa di diverso.
    Penso all'ultima guerra mondiale e a quel senso di solidarietà che, a quanto mi hanno raccontato, si respirava in tutto il paese. Quelle sensazioni che io ho conosciuto attraverso il film di quel periodo potrebbero forse permanere per qualche mese o per qualche anno, ma non credo che gli effetti possano permanere a lungo. Magari per i primi tempi apprezzeremo l'aria che, grazie al blocco delle attività produttive, è tornata a farsi più più pulita; gioiremo nel sentire la sabbia scricchiolare sotto i piedi quando torneremo a passeggiare in riva al mare e apprezzeremo di più quella birra con gli amici al bar al termine di una giornata di lavoro... Ma saranno cose di breve durata.
    Forse riusciremo a modificare qualche piccola fibra di questo grande sipario che apriamo e chiudiamo ogni giorno quando va in scena la vita quotidiana di tutti noi. Ma il fitto ordito di egoismi che per secoli abbiamo continuato a tessere resterà inalterato o quasi.
    Io credo che continueremo a farci ubriacare da prodotti televisivi d'infima qualità e da personaggi politicanti viscidi e opportunisti che indicheranno a noi, il gregge, qual è il nemico da combattere. Questo nemico sarà di volta in volta l'immigrato tunisino, l'omosessuale, il parlamento europeo o una più generica entità che chiameranno "i poteri forti". Torneremo a fare la spesa con i soldi contati, e allora sarà facile per le grandi catene di distribuzione allettarci con offerte migliori, e non faremo troppo caso alla qualità del prodotto o all'etica dei meccanismi di produzione che ce lo forniscono.
    Certo, sto parlando da italiano, lo riconosco. Ma il cittadino di altra nazione si lascerà invece ubriacare da altri discorsi e lo convinceranno sulla necessità di andare in giro armato oppure di far costruire un muro che impedisca alla vicina nazione, più povera, d'invadere il "suo" territorio in cerca di una via migliore. Il problema non è essere italiani. il problema è che siamo umani, e umanità è oramai diventato un sinonimo di egoismo, di cecità, di grettezza e soprattutto di scarsa capacità di elaborare in proprio concetti e ragionamenti degni di questo nome.
    Molti di coloro che abbiamo visto soccombere in questa tragedia erano le persone migliori, quelle che con la loro onestà, con la loro etica e generosità tiravano avanti lo spettacolo.
    Davvero #andràtuttobene? Io penso che è come un'opera teatrale recitata da pessimi attori. Sono morti i costumisti, i tecnici delle luci, i truccatori, ma gli attori saranno ancora i soliti pessimi attori di sempre. E noi saremo sempre tra il pubblico battere le mani.

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    2. raffaello115

      raffaello115

      vorrei tanto poter condividere il tuo ottimismo... Chissà! Forse sarà anche a causa dell'età...

       

    3. londonercity

      londonercity

      Anch'io non credo affatto che ne usciremo migliorati e credo che non ne usciremo neanche cambiati con minime sfumature. Rimarremo gli stessi. L'italiano non cambia davanti a nulla perchè non ha mai avuto voglia di farlo, anche sentendone il bisogno. Non ha stimoli, se non quelli che gli inculcano gli spot e non hanno esigenze che non siano quelle suggerite da un mondo virtuale che li rende vuoti nella vita reale. Tante volte ho sentito lodare gli italiani per l'impegno, il sacrificio, la disponibilità nell'aiutare gli altri, senza mai specificare che gli altri sono loro stessi. Dopo le alluvioni in Liguria e i terremoti nel centro Italia, la retorica ha visto scendere sulla terra gli "angeli del fango" e gli "angeli delle macerie", impegnati (piangendo) a svuotare dal fango case, cantine e negozi o spostare calcinacci per avere la certezza di aver perso tutto. Poi, inizia la cantilena della speranza, un termine abusato e inflazionato perchè non si ha il coraggio o il buon senso di parlare di "capacità e competenze", quelle che raramente si incontrano dove servono. Preferiamo davvero le passerelle politiche e le tante voci incocludenti di chi va a rendersi conto in prima persona delle distruzioni come se non riponesse fiducia in ciò che vede in tv o per dire ai disgraziati "Non vi lasceremo soli", mentre è proprio in quel momento che la loro esistenza verrà scoperta e subito dimenticata. Allora è ovvio vedere angeli ovunque che fanno beneficenza a se stessi. Non possiamo neanche dire che lo Stato (cioè i nostri soldi) non ci aiuta più, perchè nessuno ricorda quando mai lo ha fatto. Se questo avvennisse ci sarebbe più altruismo. Se la gente avesse la certezza di essere sostenuta dalle istituzioni e non avesse invece la preoccupazione di salvaguardare prima se stessa e poi gli altri, potrebbe davvero amare il prossimo. Questo, secondo me, è uno dei meccanismi di cui parli, di quelli ormai endemici che si aggiungono a quelli che si rincorrono nella testa delle persone, dove c'è ancora molto spazio da riempire con elementi quotidiani fondamentali come il gossip, il reality, la De Filippi o la D'Urso e le foto di una torta. Questa gente si affaccia alla finestra per applaudire non so cosa, per cantare o suonare, brindare, urlare, ballare sui balconi ed altre cose che prima non faceva, perchè coglie l'occasione per implementare le pubblicazioni social. E' tutto un gioco, è uno scherzo, ci stiamo divertendo, ma speriamo anche che tutto finisca presto. Io so che la vita è bella anche per questo o grazie a questo, perchè capisco quanto è preziosa e fragile e i sacrifici che richiede. Per difenderla ci impongono divieti e dove c'è un divieto c'è anche la voglia di aggirarlo. Questo sta a dimostrare il poco ingegno e la povertà di spirito delle persone che sono in contrasto perenne con il consorzio umano semplicemente perchè non sanno cosa sia. Quando leggo il cartello che vieta di attraversare i binari io mi chiedo perchè qualcuno dovrebbe attraversarli; c'è bisogno di suggerire come salvaguardare la propria pellaccia? Mi piace sciare ed evito i fuori pista non perchè leggo il cartello che mi mette in guardia, ma perchè qualcuno (tutti gli anni) si presta a fungere da esempio per gli scellerati in cerca di brividi, che alla fine li troveranno senza poterli raccontare, ma andranno ad aumentare la casistica. Il fatto è che gli idioti creano disagio agli altri anche senza conoscerli. Allora non può andare tutto bene (se oltre 20000 persone sono state costrette a congedarsi per sempre dalla terra e dal sole) e non andrà tutto bene, perchè gli idioti possono anche togliere gli sci e indossare giacca e cravatta per occupare posti in cui si esercita un potere decisionale.
      Devo dire, però, che anche questa è storia, o meglio, sarà storia. La mia concezione della materia non è nozionistica. Se parlo di storia non è per fare una lezione, ma per inserire dei riferimenti, dei collegamenti nel contesto della conversazione che possono aiutare a capire un'argomentazione o a stimolare semplicemente la curiosità che può sfociare in una lettura, nel volersi documentare. La curiosità è la base dell'evoluzione umana dal punto di vista intellettuale. Curiosità, necessità e caso sono gli elementi che portano alle scoperte, allo sviluppo nella sua accezione più ampia. Io non posso immaginare di vedere neanche uno scalpello e non chiedermi da dove viene, chi lo ha inventato, quante forme ha avuto, non posso non interrogarmi sulla sua evoluzione così come, guardando un trattore, l'avidità intellettuale mi chiede di sapere come venivano arati i campi dai contadini del medioevo. Anche questa, per me, è la Storia. Una volta assodato l'esito delle guerre puniche io tendo a chiedermi come sarebbe stato il corso della storia se Roma le avesse perse. Mi chiedo perchè le persone dicono che la storia non serve a nulla, quando usano lettere latine, numeri arabi, il diritto romano, i principi fisici per le costruzioni, i teoremi di matematici greci e così via. Usiamo la Storia e Noi siamo la Storia perchè siamo i custodi di migliaia di anni di sapere e conoscenza e proprio questo bagaglio ci rende i veri "antichi" rispetto agli Egiziani, ai Babilonesi piuttosto che i Fenici che erano invece "nuovi", senza un bagaglio culturale regresso. Allora perchè la Storia non serve a niente? Se gli uomini avessero imparato qualcosa dalla Storia, probabilmente dopo la prima guerra mondiale non ci sarebbe stata la seconda. Hitler era un caporale nella Grande guerra, come Churchill era a capo della marina, De Gaulle partì come tenente, Montgomery e Patton erano entrambi capitani e tanti altri elementi ed esponenti della politica e delle forze armate avevano già partecipato alla tragedia della guerra. Questa gente conosceva la Storia, ma non la differenza tra studiare per esporre e studiare per capire. Io ricordo i discorsi da liceale che attaccavano tutte le materie allo stesso modo, rendendole inutili dalla prima all'ultima. A cosa serve la matematica, tanto andrò a lavorare con mio padre che fa il falegname. Che me ne faccio della georgrafia se voglio fare il geometra. Perchè devo studiare Dante o Leopardi, mica farò il poeta!  Ma la cultura forma la Persona, non semplicemente il lavoratore.
      Il senso di solidarietà cui fai riferimento non credo esista più, perchè l'egoismo lo esclude dall'inizio dell'era del consumismo. Prima le persone avevano pochissime cose che hanno portato l'abitudine di vivere con poco e a risparmiare (non solo il denaro che non c'era, ma anche gli affetti) per avere costantemente quel poco, invece di non avere niente.
      Oggi non possiamo fare a meno di nulla, sembra tutto fondamentale, irrinunciabile, tanto da rischiare attacchi di panico o di ansia se la batteria del "mobile" ci abbandona a cento metri di distanza da una presa elettrica. Prima una patata era vita per due persone, ora non sappiamo neanche com'è intera perchè la vediamo a listarelle nel cartoccio del fast food. In questo senso, è vero che non è la fame che uccide, ma l'ignoranza. L'ignoranza di non saper piantare una patata per mangiare. In passato, i governanti (ma anche la Chiesa, che governava in altro modo) traevano vantaggio dall'ignoranza delle masse, dall'inaccessibilità all'istruzione che l'invenzione della stampa ha poi ridimensionato. Oggi, più genericamente in questi tempi moderni, dato che l'istruzione è accessibile a tutti, la classe dirigente (che non è soltanto quella politica, ma anche quella economico-finanziaria e ancora religiosa) ha approntato altri strumenti per dirigere le menti e, dato che essere istruito significa saper leggere e scrivere, ma non significa essere necessariamente intelligente, si cerca di far presa su aspetti secondari presentandoli come primari. Faccio un esempio: la pubblicità di una pomata antidolorifica, il Voltaren credo, mostrava una signora che giocava a tennis dopo aver applicato il prodotto. Il messaggio che è necessario far passare è quello di usare quel ritrovato farmaceutico miracoloso non perchè, altrimenti, si perderebbero delle giornate di lavoro, ma perchè in questo modo si ha la possibilità di divertirsi. Il dolore deve passare perchè dobbiamo giocare, non perchè dobbiamo essere fisicamente in forma per lavorare e produrre (scopo primario), in modo da poterci permettere la partita a tennis (scopo secondario o derivato).
      Questo è un esempio leggero dei tipi di messaggi che vengono elaborati da esperti di marketing, ma il problema si aggrava quando l'"advertising time" racchiude un'idea, un'etica, una morale, un'ideologia. La diffusione di idee come stili di vita, può alterare il valore delle cose e la mancanza di spirito critico, l'incapacità di valutare scelte e concetti in autonomia ha come risultato quello che ho accennato prima: il disorientamento sociale. E' come l'incapacità del bambino di valutare un pericolo, perchè non ha conseguito ancora un'esperienza specifica immagazzinata e recepita. Un grande teorico del pensiero liberale, John Stuart Mill, diceva che per imparare bisogna confrontarsi con il falso, con l'idea blasfema o perfino criminale, piuttosto che ascoltare bei sermoni, perchè ciò determina la visione più chiara e l'impressione più nitida della verità provocata dal suo contrasto con l'errore. Fatto sta che, anche in questo caso, la valutazione è soggettiva, ma da questo dovrebbe nascere un confronto e non uno scontro.

      DvMcEv

    4. daliahnera

      daliahnera

      probabilmente non ne usciremo migliori, ma nelle peggiori delle ipotesi ne usciremo esattamente come prima. Forza e coraggio :) 

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