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Il fascino dell’avventura. Partì da ragazzino come mozzo su un vascello. Divenne capitano - oh capitano, mio capitano! – E solcò gli oceani del mondo, imparando molto sugli umani e sui cetacei. Conobbe la flora di isole tropicali, si nutrì di cibi esotici ed ebbe amori intensi e brevi. Lasciò traccia di sé su taccuini rilegati. Si assopì nel tramonto colmo di mistero.
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Il 2022 è già esaurito. La mia testa è già nel nuovo anno. Il nuovo anno è già iniziato.
A me piacciono i buoni propositi. Non aspetto l’inizio dell’anno a farli. Li faccio spesso. Li tengo in caldo. Al centro c’è sempre il lavoro per tenere alta la guardia e acceso il fuoco.
Le cose vengono meglio se la fiamma è accesa. Il viaggio diventa eccitante. Le difficoltà si sciolgono più facilmente. -
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E immaginavo Ulisse nel suo viaggio verso Itaca.Dieci anni? È tanto? È poco?
È quello che è.
Tu vai verso Itaca, ma intanto esplori il mondo, la vita. Aderisci agli eventi, quali che siano gli dei che si danno da fare.
E ascolti il canto delle sirene, avendo cura di farti legare all’albero maestro.
E ti lasci incastrare da Circe, ma senza chiudere il cuore alla nostalgia.
Oh, Nausica, com’era dolce il tuo sorriso…Si va, verso Itaca, ma intanto si esplora il mondo, la vita.
E non smetterò mai di meravigliarmi.
Se potessi dirlo con le parole della poesia!
Perché, infatti, tutto è musica. Tutto è sogno.
Il mondo che c’è fuori di qui, il mondo tutto da esplorare, tutto avventura e conoscenza, è già presente nella mia anima e mi porta fuori dai confini stretti del presente. Ma nel veleggiare verso Itaca, io aderisco al presente, alle onde di quel che succede, là fuori e qui dentro.
Essere qui, nel presente, e bruciarlo come legno da ardere, per fare luce nel veleggiare verso Itaca. Vado verso Itaca – oh la mia Itaca! – e intanto esploro il mondo e gli eventi.
Dio! Non finirò mai di meravigliarmi. E prego il Cielo che questo continui per sempre…
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C’è qualcosa che sento dentro di me. E mi sembra una forza in azione anche là fuori, nel nostro mondo brulicante di movimento. Forse è anche la vocazione intima e profonda dell’arte.
A cosa mi riferisco? Forse non è un caso che il pensiero mi abbia visitato proprio nel periodo di Natale. Perché con la nascita che si rinnova questo pensiero ha a che fare. E forse ancora di più con quel tema che nella tradizione cristiana precede il Natale e che è l’Avvento.
Voglio dire il desiderio del Non Ancora. La ricerca del Non Ancora di cui scopriamo di avere un grande profondo desiderio.
Siamo attraversati da un profondo bisogno di creatività, in ogni settore della vita. La stessa qualità di vita degli itinerari personali sembra chiedere di prendere le distanze da ciò che è, che è stato per tanto tempo, da ciò che sembra immutabile e irremovibile. Siamo protesi verso qualcosa che non è ancora.
Nell’arte ciò che è stato non va ripetuto. È tutta una ricerca di nuove forme, movimenti e tracce di movimenti che esplorano ciò che ancora non è stato fatto, di modi e forme in cui ciò che si dice ancora non è stato detto. L’avvento del nuovo.
E non è leggerezza, superficialità, sottoprodotto di un consumismo che caratterizzerebbe una società liquida alla Baumann. Materia per le prediche dei moralisti, degli elogiatori del tempo andato.
Credo che vada guardato più a fondo e che vi si debba trovare un richiamo rivelatore della nostra vera natura e del nostro valore più intimo. Siamo esploratori dell’Essere, curiosi del Non Ancora, sempre in viaggio. Sempre in tempo d’Avvento. Anche a Natale. -
Beh, quando viene la sera io mi domando: quando verrà la mia? E che significa che ci sono? Che c'è tutto questo? E io che ci sto a fare? Sì, vivere, mangiare e dormire al riparo, anche guadagnarsi da vivere, perché no? Ma tutto questo a che serve? Che senso ha? Qualcuno ha davvero la risposta?
Quando viene la sera certe domande saltano in testa. Risuonano le domande nel cervello, e le risposte scappano alle reti della mia nave. Ma quelle domande senza risposta lasciano come una musica nell'animo. E quella musica è importante…
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Mi sono resa conto che il perfezionismo è una trappola. Perfezionismo è non fare qualcosa finché non sei sicuro di farlo in maniera perfetta o finché non ci sono le condizioni ideali per farlo come piacerebbe. In questo modo non si incomincia mai a fare.
In filosofia c’è una trappola analoga. Il pensiero è affascinato dall’Essere e lo pensa come perfetto. Poi, non trovandolo da nessuna parte, si converte al Nulla e diventa nichilista. Se non c’è l’Essere allora tutto è Nulla.
Ma il pensiero, ridimensionandosi dopo vari tentativi estremi, si è reso capace di pensare anche il Qualcosa. Il Qualcosa non è l’Essere, ma non è neanche il Nulla. Il Qualcosa appare come la dimensione adeguata dell’umano – anche se la sua sete è senza fine.
Convertito al Qualcosa, il pensiero diventa capace di apprezzare anche il Non-so-che, il Quasi niente. Dove va a riporre gli aspetti più sottili e qualitativi della sua esperienza. Che cos’è che ti fa innamorare? Cos’è che rende la tua giornata gioiosa? Cos’è che ti commuove e ti rinnova? Spesso non è neanche una Cosa o un Evento tangibile. Piuttosto un Non so che.
Il Non so che non entra nella contabilità. Non si sa dargli un prezzo. Non si vende sul mercato. Eppure, questo Quasi niente, che non è una Cosa è responsabile della qualità della nostra vita. E noi diciamo che non ha prezzo.
Ed è per questa via, la via del Non so che, Quasi niente, che riemerge nei nostri animi la fiducia e la speranza. E l’operosità che s’impegna con gentilezza e di buona lena a perseguire quel successo della nostra impresa che sogniamo da tempo.
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È stato un momento. La luce del sole al tramonto rimbalza sulle foglie degli alberi e mi raggiunge.
In quell’istante ho saputo che tutto è straordinariamente bello e ho sentito una nostalgia infinita per qualcosa che non so, ma che riguarda me.
Una sorta di malinconia invincibile per non vedere il senso delle cose. Per essere una spettatrice miope, che riesce a mala pena a intuire di trovarsi solo sulla buccia del mondo.
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Entra nell’abbraccio della mia casa. Aprirò la finestra e ti farò l’amore accarezzato dal vento delle stelle. Assaporerò i tuoi seni come pesche di vigna e le mie mani navigheranno sulle onde dell’oceano di dolcezza che tu sei. Cercherò le favole in mezzo ai tuoi capelli e respirerò la tua anima nel tuo respiro.
Le mie reni sono sature di libidine di vita e le mani anelano a sollevare ogni velo. Tu sei la vita succulenta. E, benché ebbro, stordito e confuso dal nettare che trasuda la tua pelle, io sono io, pienamente consapevole, pieno, tondo, intenso e sano. E tu sei tu, lunare e luminosa. -
Sì, guarda: le cose vanno bene.
Dormo abbastanza, mangio tutti i giorni.
Non ci penso più di tanto.Ma io ho ancora tanto bisogno di amore.
Amore per ciò che faccio.
Amore delle persone che incontro.
Amore di qualcuno di speciale che ancora non ho incontrato. E che non cerco neanche.Penso a volte al passato e vedo tutto quello che ho sbagliato. Questa cosa che chiamiamo vita è la nostra avventura.
È così.
Diamoci dentro.
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Lo sguardo si smarrisce nel contemplarne la bellezza.
Una piccola mente, addestrata dai discorsi usuali, suggerisce il pensiero che questa bellezza sia uno spreco. Quali occhi umani ne giustificano l’esistenza? Tutta questa meraviglia anche senza l’attenzione di spettatori.
L’esperienza è toccante. Mi suggerisce l’idea che il mio punto di vista – letteralmente – non è né l’unico che conta, né il più adeguato.
Ho coltivato il desiderio di assumere un altro punto di vista.
Quello secondo il quale tutto questo spreco è invece abbondanza.
Quello che non si perde alcuna delle innumerevoli meraviglie di bellezza che popolano l’essere indipendentemente dal mio sguardo umano.
Che c’è uno sguardo di fronte al quale nulla va perso. -
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Terra mater
Credo che siamo in tanti ad essere stati richiamati dal tema della Leggenda Personale che Paulo Coelho ha fatto risuonare in ogni angolo del mondo. Perché è esattamente quello che il nostro cuore sogna. Che ognuno di noi, venendo al mondo, ha un suo compito e una sua missione. Che essere al mondo non sia senza significato. Che essere vivi voglia dire essere destinati personalmente a qualcosa. Che la nostra vita individuale sia un’avventura speciale dotata di senso.
Nessun sapere scientifico ci darà la certezza su questa faccenda. Però, nessun sapere scientifico ha la forza di escludere che il nostro sogno possa realizzarsi. Che i nostri desideri profondi abbiano una loro verità.
E allora, in tanti, incominciamo a interrogarci per capire cosa, dentro di noi, è in grado di segnalare il senso della nostra vita. E lo facciamo uscendo dai ruoli che troviamo già descritti nella società. Cercando di ascoltare i segnali, semmai gli eventi e il nostro cuore siano in grado di darci delle indicazioni.
E ci rendiamo conto che, scommettendo su questa ipotesi piuttosto peregrina, in certi casi perfino folle, qualcosa si accende nel fuoco che ci portiamo dentro. E che la vita comincia ad essere avventurosa – anche se paradossale.
Senza la protervia assertiva della certezza assoluta, noi incominciamo a disegnare itinerari possibili che ci congiungano a ciò che – in negativo – immaginiamo come pienezza del vivere.
Io lo faccio, fronteggiando quotidianamente lo scetticismo del mio cervello. E vado raccogliendo, giorno per giorno, note di viaggio. Una sorta di diario di bordo del navigante.
Cosa definisce la mia leggenda personale? E sono indotta a cercare nel baule magmatico dei miei desideri. E vado scoprendo che non si tratta poi tanto di cosa fare – del tipo: il medico, la violinista, o la fotografa… Mi sembra che i tratti della leggenda personale stiano più nel modo di fare quelle cose. Il modo viene ad indicare uno stile di vita. Una situazione in cui non solo ciò che ami, ma come lo ami fare – vale a dire nel rispetto di quello che ti trovi a scoprire che sei – è decisivo.
E questo, mentre ti spinge lo sguardo lontano, verso il futuro, ti riporta ad osservare con cura il quotidiano, l’oggi, il qui e ora. E si crea un curioso paradosso: che mentre tu proietti il film davanti a te, lontano ancora nel tempo, tu sei impegnato a vivere il come già ora. Quello che sogni è nel domani, ma vuoi che sia già nel presente. E sai che la tua creatività per il futuro si cimenta già in ciò che sei capace di aggiungere all’oggi.
Io – per esempio – sento che è l’arte che mi chiama. Ma sento anche che la mia leggenda personale è tratteggiata da una sorta di immagine che mi vuole come un albero fecondo, una donna perennemente incinta, partoriente. Ed è per questo che sto la maggior parte del tempo nella mia tana, nel pensatoio, intenta a mettere al mondo pensieri. E ad affidarli al vento.
Mi piace essere in perpetuo travaglio.
Assomiglio alla Terra, di cui son figlia. -
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E la vita è diventata una sorta di tela su cui volevo dipingere ciò che desideravo.
Ed era questo il mio modo di parlare – col Dio (che non risponde a parole), con me, e con gli altri.
E m’immagino che dipingendo io persuado la vita a diventare come la desidero.
Apro le porte all’impossibile.
E ci spero.
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C'è aria e respiro tra una cosa e l'altra. Pensieri che sono domande e che sono risposte. Risposte che sono decisioni e scommesse. Non so cosa incontrerò, ne cosa desidero, se non seguire questa direzione di marcia. Pulisco casa e rimetto in ordine le cose, ogni giorno, ogni momento. Cerco di fare come il giardiniere.
Lo sguardo cerca la bellezza, le braccia trafficano instancabili. Finché crollo nel sonno, in un attimo.
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E guardavo le profondità del cielo.
Di giorno è una cupola trasparente piena di luce rassicurante, la notte è miliardi di fori luminosi in un’oscurità senza fine di anni luce.
E, guardando, io mi chiedevo: e noi chi siamo, qui dentro, e per che cosa?
E andavo persa nell'impaccio viscoso del non aver cose sensate da rispondere a tali interrogazioni. Che quasi mi parevano sensate le parole di Luca: che non serve proprio a nulla darsi tanto da fare. E di Sartre: che l’uomo è un’inutile passione!
Eppure – dentro - questa voglia irresistibile di fare. Questo desiderio di andare e scoprire e lavorare l’universo e che l’inquietudine che sgorga dalla crepa dolorosa tra il sogno e l’esistente sia lì apposta per metterci in moto, per spingerci a trafficare…
E, pure, questo desiderio che tutto serva, che tutto abbia un senso, che tutto insegni, che tutto guidi, che tutto conduca a quell’altrove che chiama come fosse casa…
E tutto questo stupore, di chi è l’ultimo arrivato. E non solo per le galassie e i firmamenti, ma per la storia stessa dell’uomo e le conquiste e il lungo interminabile discorso che crea sapere e consapevolezza.
Oh, come vorrei…
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conoscere l'infinito e oltre è del tutto impossibile per le nostre menti, almeno nell'immediato presente, domani poi... chi lo sa, con le nuove scoperte in campo tecnologico che la nostra specie compie, prima o poi lo navigheremo questo infinito, andando oltre quella barriera oscura che ci circonda.
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Nelle macchie è come negli eventi: c'è sempre molto altro da scoprire, da far venire alla luce. Cogliendo alcuni indizi e portandoli dove chiedono di andare si può intessere un discorso che ha un significato. Un discorso che narra l'incanto del mondo senza distruggerlo, senza appiattirlo. Fessure attraverso cui lo spirito creatore mette al mondo nuove forme, di continuo.