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Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. Certamente! I momenti più belli sono quelli della “zona”. I momenti in cui gli incanti escono dalle mani. Chissà dov’è il cuore in quei momenti? 

    E saprei dire esattamente, con efficacia, quello che provo? E conta molto?
Vengono in mente fantasie che non stanno con i piedi per terra. E le lasci fluire negli spazi di quella geografia che chiamo “altrove”, per qualche motivo. Ma che è qui e ci sei dentro. 

    I momenti in cui le cose nascono. Uno pensa: è questa la logica della creazione? Che non sai niente prima e solo dopo che le cose sono venute alla luce ti rendi conto che è successo?

     

     

     

     

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  2. Che cosa ci ha spinto e ci spinge ad andare avanti se non i nostri sogni?

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  3. Come sono belli i piedi di coloro che portano buone notizie! 

     

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  4. Come sono piccoli i gesti che riusciamo a fare! Piccoli gli oggetti che creiamo. 

    Piccoli i passi che spingiamo sul sentiero. 

    Piccoli per noi stessi, per la nostra mente, per l’immaginazione e il desiderio. 

     

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  5. Curiosamente immaginare al ribasso è una scommessa. Immaginare che le fantasie siano mere illusioni senza costrutto.
    Immaginare che quello che conta sia soltanto ciò che si tocca e  si guadagna.
    Tutta la nostra vita pratica, concreta, è come sospesa a un cielo di immaginazioni e di scommesse.

     

     

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  6. Da un lato non c’è altra via. 


    A meno che tu non ne abbia abbastanza.


    Ma, dall’altro lato, è così bello!

    
E tu puoi colorare lo scenario della tua storia.


    Non vuoi avere una tua storia?

    Con lo scenario che sei capace di desiderare?


    Manda affanculo gli invidiosi!


    Ricordati di quando da bambino dentro la scatola della lavatrice eri in un’astronave!


    Guarda il cielo di notte, o prima dell’alba.


    Pensi davvero che i confini che tu conosci siano i confini dell’essere?


    Evita gli invidiosi!


    Vogliono solo annegare i tuoi sogni perché non riescono a credere nei loro.


     

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  7. Dalla quella parte si apriva una pianura seminascosta da piccoli avvallamenti su cui crescevano alberi sbarazzini, con una strada sterrata che vi s’intrufolava briosa, promettendo sorprese, una volta scavalcato il dosso. 
Era una sorta d’invito. Era come se all’improvviso fossi stata presa dal desiderio di cambiare. Di dare una svolta – come si suol dire – all’intera esistenza. Ma cosa volevo davvero? Qual era il mio sogno?
     

     

     

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  8. E a sera lasciava che le vicende del giorno si rimescolassero nella testa, semmai riuscisse, prima di andare a letto, a mettere un po’ d'ordine.
     

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  9. E allora la fiducia nella vita non è solo il sentimento dei momenti paradisiaci dell’estasi e della pace, ma diventa fiducia anche di ciò che ti sbatte fuori dalla pace e dall’estasi – fiducia in quella smodata ambizione che ti fa abbandonare l’armonia per tentare le strade caotiche e scomode della navigazione.

     

     

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  10. E ci trovavamo ogni tanto nel bosco.


    Diego disse: è un mondo vecchio! Disse: guardate! C’è l’orario di lavoro che divora le nostre giornate. Non ci sottrae solo il prodotto del nostro lavoro. Ma ci depriva del nostro stesso progetto di vita. Noi coviamo il nostro progetto di vita sotto la cenere. Riusciamo a mala pena ad accenderlo la sera, come un fuoco. Perché non abbiamo tempo. E, dopo la giornata di lavoro, non abbiamo più neanche le forze.
 I più lo hanno lasciato svaporare. Il loro tempo è tutto occupato. C’è il loro lavoro, il loro stipendio, ma non ci sono più loro.

    Io ascoltavo. Sentivo indignazione. Ma non riuscivao a capire quale rivolta, quale rivoluzione, ci avrebbe portato a recuperare il nostro tempo, il nostro progetto di vita. Diego era stanco. Stanco di fare rivoluzioni – cioè di partecipare a rivoluzioni disegnate da altri. Alla fine – diceva – è sempre la stessa cosa.

    Una giorno, invece, venne Amina. Era una magrebina, immigrata. 
Era la fidanzata di qualcuno.
 Fummo stupiti.

    Ci disse della sua esperienza da immigrata. Era anche colta. Aveva studiato. Era emigrata.
 Sì, ci disse che non era venuta semplicemente per trovare lavoro o condizioni migliori di vita. Ci disse dell’impulso a partire, ad andare immigrati. Disse che anche noi dovremmo saperlo, perché siamo stati un popolo di immigrati, nel passato. 
Ci disse di questo impulso a cercare un nuovo mondo, a dargli vita. Ci disse che succede quando dove stai manca cibo, per il corpo o per l’anima.
 Ci disse che uomini e donne audaci, in queste circostanze, lasciano dove stanno, si slegano, tagliano i legami, e partono. Per aprire la geografia umana con nuovi spazi.
 Disse che, a quel punto, non interessa più uno stile di vita. Disse che importa l’avventura, il viaggio, la ricerca.
 Ci parlò di questa esperienza del viandante. Che è interiore ed esteriore.

    Io capii che Amina era nella nostra società, nel nostro mondo, andava al supermercato, aveva l’orario di lavoro, ma non era come noi. Non viveva tutto questo come lo vivevamo noi. Lei era immigrata. Era alla ricerca di un nuovo mondo. Lei era uscita da, aveva tagliato con, ed era in cerca di.

    Fu quel discorso che mi ricondusse a quello che ero. In un viaggio di migrazione. Alla ricerca di un nuovo mondo. Non ero una gallina d’allevamento. Avevo ritrovato la mia dimensione nomade, selvatica, libera. E stavo movendomi ogni giorno verso il nuovo mondo.

     

     

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    1. diegodelavega0
    2. vincent29264

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      Ho sempre ceduto che la libertà è qualcosa che si coltiva dentro di noi, nella nostra anima, nei nostri pensieri. Viviamo in una società in cui tutto è a portata di mano, nulla più ci manca, o almeno è quello che cediamo, finendo per assopirci a tal punto da perdere quello spirito di avventura che da piccoli tanto ci animava giorno per giorno.

      Ed è proprio nel perdere quella libertà di bambini vogliosi di avventura che finisce per spegnerci, noi persone civili di cui nulla più abbisogniamo, nemmeno di quel nettare che alimenta la nostra fantasia a farci vedere oltre quegli orizzonti ormai perduti.

  11. e i suoi sogni erano cavalli in corsa, salti nei boschi e lo struggente mormorio della vita dentro le vene..

     

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  12. E nelle prime pagine de "La quinta donna", di Henning Mankell, tu incontri questo vecchio, che è stato un venditore di auto, ma nel tempo libero scriveva poesie. Tutte sugli uccelli. E vieni a sapere che ne ha scritta una sulla vita spirituale delle cutrettole, le nostre ballerine gialle. E tu pensi che è l'esistenza ti tipi del genere, con le loro idiosincrasie e stranezze, che rendono la vita umana uno spettacolo interessante...
     

     

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  13. E si va verso la sera come attraversando un bosco fiorito, portando addosso il profumo di eventi felici e carezzando idee e pensieri che abbiamo raccolto durante il giorno.

     

     

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    1. vitto071

      vitto071

      splendida :)

  14. Ecco Aprile che spunta dalle colline. 


    Molte cose da fare.


    Un nuovo rapporto con le mie energie di base.


    La nuova terapia m’impegna un po’.


    Il sole che sorge è di buon auspicio.

     

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    1. sweetlovelylips

      sweetlovelylips

      Come Mary Poppins. Belissima foto! :x

  15. Ecco, da alcuni giorni mi sono impegnata nella pulizia e nel riordino di casa. 
Santo cielo questa sì che è una buona idea. E i benefici li sento immediatamente. 
Lo spazio luminoso che cresce (mi ci muovo meglio): la sporcizia e il disordine (l’accumulo di cose che non uso da tempo) inibiscono l’iniziativa fresca, creativa. 
Fare spazio, aprire alla luce, l’atmosfera del pulito, della freschezza, della rinascita; tutto questo è in sintonia con il gioco leggero e importante dell’ideazione e del mettersi in moto per realizzare.


    Sembra di avere il controllo dell’avventura, anche se essa conserva il suo mistero. 
Sei tu che stai modellando il mondo attorno a te. E il mondo ti risponde da amico.

     

     

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  16. Ed ecco la mia gioia.

    
Ora sembra ripristinata sul suo trono.


    Trono di bambù, ovviamente.


    La casa che mi fa da vascello.

    
E la navigazione – piccolo cabotaggio – che si alimenta di ciò che vedo fuori della finestra.

    
E l’audacia dei sorrisi, delle gentilezze…


    E i colpi di testa delle sfide, per esplorare il possibile, inseguire la gioia, che ti bacia e si sottrae, come una fanciulla che t’inviti scappando…


    Ora oso di nuovo aprire il cuore ai grandi sogni.


    E soprattutto alla musica e alla danza di una vita che si solleva sopra i semplici fatti.


    Una vita che si faccia! 

     

     

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  17. Ed esci un po’ fuori strada – voglio dire: dalle strade più battute, quelle che fai di solito.
    Perché?
    Ti è venuta voglia di rallentare. Vuoi cominciare a guardarti attorno, vuoi godere un po’ del panorama, delle cose, ascoltando le emozioni dell’anima. Hai fatto questa strada mille volte, sempre pensando soltanto alla meta. E a correre…
    E ti rendi conto che non puoi rallentare. Per quello che desideri non servono i limiti di velocità che sono disseminati lungo gran parte del percorso. Hai comunque sempre qualcuno attaccato al culo che sbraita e gesticola perché gli freni la corsa.

    All'improvviso ti trovi su una strada tutta curve, stretta, ma ben asfaltata, che s’inerpica tra i monti, costeggiando i dossi e seguendo il movimento delle vallate.
    Non incroci nessuno. Nessuno ti sta alle calcagna. E finalmente viaggi davvero. Rallenti quanto è necessario a vedere e lo spettacolo è straordinario. Ti lasci colmare il cuore dall’emozione della bellezza, la suggestione delle ombre dei boschi, gli squarci paesaggistici improvvisi alle curve, le case arrampicate su pendii incredibili…
     

    E ti ritrovi a sognare di vivere diversamente. Un mondo alla rovescia, dove non è la vacanza a infilarsi nei buchi lasciati dal lavoro, ma il contrario. Dove non sono i giardini a sistemarsi attorno alla casa, ma la casa nel mezzo di un parco.


    Il finestrino spalancato, ti rendi conto della potenza terapeutica straordinaria della natura e del bisogno che ne hai. E ti lasci incantare dalle suggestioni che ti evoca nell’anima e per il tempo dell’incanto sei uno che va per mare, o su una mongolfiera, o insegue il sole sulla carovana di gitani…
     

    E quando sei arrivato, la magia continua ancora, e ti ritrovi rigenerato, almeno un po’, per affrontare i compiti e i doveri – … semmai un giorno tu possa spezzare totalmente le catene e andare…

     

     

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  18. Forse questo voleva dire il vecchio Aristotele quando affermava che ogni uomo è filosofo.


    Questa inquietudine che genera domande sull’essere, su come essere, su come rispondere al desiderio di vita.
    Forse. Non so. Lui era un altro. E io sono io. Il desiderio di vita è il mio. Quello che agita e muove questa faccenda strana che chiamo Io. Che chiamo la mia vita.

    Ultimamente il fato, o che so io, mi ha condotto all’incontro con la disperazione. Il nucleo denso e oscuro che ho chiamato disperazione. E per cui ho costruito nel bosco uno spazio apposito. Perché mi parli. Per sentire il suo richiamo. Per farmela amica. Per farla maestra e guida.

    Questo ho deciso, nelle mie congetture arbitrarie: che il nocciolo della disperazione è più amica della vita del sedersi gongolante sulla dolce meringa del già fatto, del già realizzato, del già raggiunto.

    Chi mi dirà come uscire dai confini? Chi mi spingerà ad esplorare nuovi territori? Chi, se non la disperazione, potrà rivelare ciò che ancora desidero perché la vita sia piena?

    Ecco che nel punto più oscuro e inquietante di me trovo lo spazio della rivelazione. Nel punto più doloroso, la fonte della speranza. Nel luogo più contratto trovo gli spazi più aperti – indicati, potenziali, dotati di un appello irresistibile.

    Dove sarà il mio Dio? Forse nelle brezze della sera, mentre la luce calante inonda le fronde dei pioppi? O nell’albeggiare rugiadoso del mattino, quando il corpo sente bisogno di fuoco per fronteggiare le temperature autunnali?

    La voce del mio Dio è racchiusa come in un gomitolo negli antri poco illuminati della disperazione.

    La voce della società è ormai la voce del mercato. E la voce del mercato chiede prodotti. La voce della filosofia chiede di essere, e di fare cose che siano espressione dell’essere, ricerca dell’essere.

    Nel bosco io vivo in uno spazio intermedio: lontano dal mercato e più vicino al fare che esprime il desiderio dell’essere.

    
È il luogo in cui il samurai si esercita.


    È il luogo in cui il principe medita.


    È il luogo in cui fare e ascoltare possono congiungersi senza pressioni e distrazioni.

    Oggi, nel bosco, esiste un luogo della disperazione. Un tavolo chiamato “bocconi amari”.
 È lì che mi chiama il mio maestro.

    Che farò domani? Mi domando io.

    
Che farai adesso? Dice la disperazione.

    
Cosa puoi fare adesso per rispondere al desiderio di vivere, di essere pienamente viva?


    E smetto di giocare al solitario per ingannare il tempo.


    E il tempo è nuovamente mio: il mio spazio di ricerca, di lavoro.

    Ma chi sei, Disperazione, per avere tanto potere?
“

    Sono il potere di ciò che ti manca”.

    
La mancanza non è il segno di un fallimento, né motivo di pianto. La mancanza è il pungolo vivace che mi riporta a me stessa, che sfronda le quisquilie. La mancanza è la voce del Daimon – se si vuol dar credito alla mitologia.


    Io vado a braccetto con la mancanza. Mi rende giovane. Che fanciulla affascinante! Perché certo mancanza è madre di Eros. Ed è lei che suscita in me intraprendenza.

    Che venga domani, dunque, con le forze rinnovate dal riposo.


    Per disegnare con mani fresche e passi di danza nuovi luoghi dell’essere. 


     

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  19. Guardiamolo insieme, amico mio.

    Guardiamolo insieme e guardiamoci in faccia.
    Hai bisogno di inebriarti di vinsanto per capire che è ora di lasciare alle spalle tutto questo?


    Vuoi che la storia si ripeta ancora e ancora e ancora? Fino a quando? 

    Quando fonderai una nuova religione – e certamente questo avverrà, perché il mondo globale è un mondo di incontri o di scontri – so già che tu la saprai far vedere come la religione verso cui guardavano le grandi tradizioni della terra: quelle monoteiste e anche quelle politeiste, come pure quelle puramente filosofiche. 

    La saprai presentare come ciò verso cui stiamo tendendo da millenni, attraverso tanti conflitti ma anche tante intuizioni. La ricerca di un rapporto onesto, vero, con la vita.
    E alla luce del tuo sorriso sarà chiaro che nessuna interpretazione dei rispettivi libri sacri può autorizzare il sopruso, la violenza, lo sfruttamento, la segregazione, il dominio di qualcuno su chicchessia …

    Dio non è mai – e non è mai stato – con noi quando lo abbiamo invocato per legittimare la nostra bestialità.

    E scuoteremo la testa a pensare che ci siamo litigati e ammazzati reciprocamente facendo appello agli stessi testi sacri. In tutte la grandi tradizioni… 

    E sarà, semplicemente, un’altra epoca.

    Ammetteremo che andiamo a tentoni e che i nostri slanci idealistici sono momentanei, mentre la fame, la sete, l’invidia, l’ingordigia, la prepotenza, sono longevi…

    Andiamo a tentoni, certo, ma come immettendo input temporanei in una stessa direzione – per vincere l’entropia. Ed è così che facciamo conquiste di civiltà, di cultura, si compassione, di creatività.

    E la tua nuova religione la smetterà di chiedere che la sua verità venga dimostrata contro altre verità. I figli delle diverse tradizioni s’incontreranno per aprire un luogo in cui ogni religione presenterà i suoi doni, perché si celebri un gran banchetto dove tutti possano nutrirsi delle ricette che ogni tradizione ha elaborato.

    E nascerà da qui la Nouvelle Cuisine!


    E da qui il tuo Verbo s’irradierà sul mondo globale. Perché sarà chiaro che l’incontro è meglio dello scontro.

    Hai bisogno di vinsanto per capirlo?

     

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  20. In quei giorni io mi ritrovavo a fantasticare a lungo – soprattutto durante le mie camminate in campagna – di essere su un camper, a girare il mondo. Nomade, non restavo a lungo nello stesso posto, e osservavo la vita – la stessa vita – con l’occhio del nomade che non mette radici in qualche posto specifico e che s’illude di poter estendere la conoscenza dell’essere estendendo lo spazio percorso, lasciando entrare negli occhi le differenze e le sorprese del viaggio.
     

    A volte stazionavo lungo la costa, altre volte ero sulle montagne, in prossimità di qualche valico alpino. Oppure nel grande parco che costeggia il Lago di Ginevra, o sulle alture da cui, provenendo dai Pirenei, avvisti Figueres, o lungo il Danubio alle porte di Regensburg…

    Durante il viaggio mi lasciavo invadere dalle immagini, assorbivo il panorama, la meteorologia. 

    La sera mi fermavo a mangiare in qualche posto caratteristico, cucina locale, e attaccavo bottone con chiunque.

    Immaginavo che lo spostamento del nomade e l’incontro fugace potessero fornire indizi insoliti al mistero della vita, meglio che una annosa residenza sedentaria e un lunga frequentazione.

    E alla fine, trovato il posto dove trascorrere la notte, la scrittura. Il momento in cui le cose vissute, digerite, si fanno emozioni e pensieri e cercano il vestito delle parole per accomodarsi sulla scena. Per rappresentare lo spettacolo dell’essere! 

    Era così che andavo incontro al cambiamento. Era così che cercavo l’idea. E ascoltavo le mie emozioni durante il fantasticare. E mi pareva proprio di star bene, di essere io, che la vita fosse vera. Finalmente. 

    Dunque? Era quello il mio orizzonte?
    Ritornata con i piedi per terra, vedevo chiaramente gli ostacoli alla concreta fattibilità dell’idea. Mi sembrava che fossero insuperabili.
     

    Era possibile sollevare il macigno che trascinava a picco l’etereo palloncino del sogno? era possibile disintegrarlo?
     

    Pensare a “come fare per”, poteva essere il modo iniziale di vivere quell’avventura? Uno spostarsi verso, un andare in quella direzione…
     

    Era fattibile?

    
Come sarebbe stato fatto?
     

    Senza risposte a queste domande tutto sarebbe rimasto fermo.

    
La piacevole evasione durante le passeggiate sarebbe restata una mera fantasticheria.
     

    Questa la posta in gioco.


     

     

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  21. La cosa migliore è parlare semplice. Come bambini. Perché noi siamo bambini che cercano di far finta di essere diventati qualcun altro, per via del linguaggio un po’ più articolato e complesso che abbiamo acquisito.

    Allora, torniamo indietro. Bambini, dicevo. Ed ecco le urla di chi sente la distanza tra ciò che sogna nel cuore e quel che succede. In tutto, anche e soprattutto nell’amore. L’amore? Non c’è anche qui quest’enorme distanza tra il sogno e la realtà?

    
Io mi lascio colpire dai colpi di scena. A volte, le più coraggiose, mi sembrano essere quelle persone che decidono di lasciar perdere l’amore – tranne che l’amore irrompa di soppiatto e del tutto imprevisto nella loro vita… – di lasciar perdere l’amore, dicevo, e di dedicarsi a qualcosa che, in proprio, appaia degno di spenderci le energie e il tempo. 

     

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  22. La mia vita mentale ha bisogno della passeggiata in solitudine nel parco, sui monti, in campagna, lungo la riva del mare, non meno di quanto ne abbia bisogno la salute del corpo.
    Ho bisogno - e desiderio - di riconnettermi con i processi naturali dell’espressione, dei processi espressivi liberati dalle costrizioni.

     

     

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  23. La voglio dire sincera: ciò che amo è ritrovare la pace – più che sostarci a lungo.

    Mi fa bene mettere le cose in ordine, periodicamente, dando una bella forma al caos che si è creato esplorando. Ma una volta riassettata la casa e preso il caffè nella cucina pulita e irradiata dalla luce solare, sento il desiderio di aprire le porte a una sovrabbondanza di stimoli: più cose di quelle che riuscirei a gestire… È il senso dell’abbondanza della vita, connesso con la produzione di un certo caos.

    Ho sposato appieno il principio contemporaneo della creazione del sé, dello sviluppo personale. Non la ritengo una chiusura egoistica. Contiene un valore universale. Appartiene ai diritti fondamentali dell’uomo, prima ancora e indipendentemente dallo stato e dalla società civile.

    Mi piace pensare che il lavoro dedicato allo sviluppo personale venga a coincidere – anche senza intenzione – col dono migliore che si possa dare agli altri.

    Svilupparsi vuol dire andare oltre l’esistente. Il pensiero razionale non è in grado di uscire dall’esistente: fa pulizia e mette in ordine (che è una bella cosa). Ma per lo sviluppo c’è bisogno di guizzi che ti schizzino fuori dall’esistente. E questo effetto lo attribuiamo a un potere misterioso che chiamiamo creatività.

    Sviluppare creatività vitale e positiva è diventato dunque un compito, una cura – e nello stesso tempo un valore – forse il valore più sentito oggi.

    L’ordine logico della creatività emerge sempre e solo a posteriori. Dopo si può tracciare il filo rosso che collega gli eventi. Prima ci sono tentativi e guizzi che comportano sempre un certo margine di caos, confusione, illogicità, paradosso, perfino stupidaggine, infantilismo, follia… Finché… Zac! L’evento che illumina le cose e apre l’orizzone.

    I progressi sono nati sempre da questi guizzi creativi. La razionalità poi mette in ordine le cose e le amministra. La morale tende a frenare, a suggerire prudenza. La creatività ha la tendenza a schizzare fuori dalle remore.

    Il gioco della vita è straodinario. 

     

     

     

     

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  24. Le cose appaiono di nuovo nella loro bellezza. Una bellezza che sboccia. Si sente che non è ancora la fioritura piena. Ma è molto promettente. Sì, dico sul serio, molto promettente.

     

     

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  25. Mattino. La giornata è appena cominciata la fuori. Mentre qui dentro il desiderio è già sveglio. Ci sono le cose da fare. Vestite e calzate. Ma c’è anche una presenza inquieta, ancora informe, che urge. È il desiderio che non si vede ancora allo specchio. So che è lui che comanda. Più che gli aspetti esecutivi della giornata.
    E mi spinge a scrivere e a disegnare, magari solo scarabocchiare, alla ricerca di una forma, di un volto. Per poter chiamare le cose per nome.
    Capisco che è qui la mia ricchezza più intima e vera. Questa pressione interna che non equivale ancora ad un progetto ben architettato. Una pressione, piuttosto, in cerca di un progetto. Del suo progetto.
    Bussa insistente alla porta dell’intelligenza e dell’immaginazione. Le sollecita a partorire tentativi e interpretazioni.

    È lì la mia giovinezza.


    È lì il luogo dove incontro me stessa, oltre il già fatto, oltre ciò che già esiste.

    È quella la punta avanzata dell’Essere.


    È da lì che scruto il futuro.


    E tento di disegnarne i tratti, con gesti che non sono ancora nomi.

     

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