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Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. Che la sofferenza sia stata utile è per me solo un’affermazione legittima a posteriori. Quando tutto è finito. E quando è successo proprio questo: che lil nuovo giorno contenga elementi che consentano di dare un senso a ciò che è capitato.


     

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    1. vincent29264

      vincent29264

      Beh, il senso lo si trova, dipende dall'umore naturalmente ma è parte della nostra natura dare un significato tutto ciò che ci circonda, possiamo dire che sia una marcia in più alle nostre capacità di sopravvivenza.

  2. mmaginare al ribasso stranamente è una scommessa. Immaginare che i nostri sogni siano illusioni senza costrutto. Immaginare che quello che vale sia solo ciò che si tocca e si guadagna.
Tutta la nostra vita pratica, concreta, è come sospesa a un cielo di immaginazioni e di scommesse.

     

     

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  3. Andare è un modo di essere.

     

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  4. Sono stata a camminare parecchio in questi tempi. Da quando ho ripreso un po’ la voglia. A volte registro i pensieri col telefono. Durante le passeggiate, arrivano sempre riflessioni bellissime che voglio afferrare con qualche parola.
 So che quando la parola arriva da sé è benedetta. E lo sento in bocca. Perché le parole ispirate hanno un sapore buono, tutto loro. Speciale. Inequivocabile.

    Mi piace molto anche scrivere. Perché scrivere permette di parlare restando in silenzio. Posso dire che sono eccitata o furiosa senza neanche sbracciare un po’. Insomma, è un gran risparmio di energia. Ma è anche come essere in un’altra dimensione.

    Adesso il mio obiettivo principale è recuperare l'entusiamo. E vedere un po’ se riesco a fare qualcosa di memorabile nel tempo che mi resta. Dimenticavo: 
può essere anche che trovi un fidanzato. Nelle ultime settimane mi sembra che me ne sia ritornata la voglia.
 L’ideale sarebbe girare il mondo, ma non lo posso fare per adesso.

    Però, mi piacerebbe almeno immaginare i tratti di un’impresa che fosse di vagabondaggio. Un modo insolito di vivere il mercato e l’economia. Non l’impresa macchina, sistema organizzato statico nel suo dinamismo produttivo. Un’impresa vagabondaggio, come la natura dei nomadi, o dei cow boy, o dei pellegrini, insomma di gente che gira per il mondo, o che va per mare. 

     

     

     

     

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  5. Immaginiamo che scoprissimo che un Dio ci stesse prendendo per il culo. Malgrado il nostro immenso desiderio di vita, siamo condannati a morte fin dalla nascita, i nostri sogni e desideri sono sempre mille miglia lontani rispetto alle condizioni reali, e la maggior parte di noi non ha neanche il minimo indispensabile per una sopravvivenza dignitosa…

    In uno scenario del genere avremmo sempre la possibilità di cavarcela discretamente, se decidessimo tutti di imboccarci l’un l’altro, su tutti i piani di sogni e bi-sogni.

    Le conclusioni sarebbero esattamente le stesse dettate dalla fede in un Dio dell’Amore che ci spronasse alla carità reciproca per entrare nel Regno dei Cieli.

    Dunque?

    Gandhi diceva che Dio viene all’affamato sotto forma di un pezzo di pane. Quel pezzo di pane qualcuno deve averglielo dato, all’affamato.

    Possiamo immaginare che il Dio avviene esattamente in funzione di ciò che noi facciamo, per noi stessi e per gli altri?

     

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    1. vitto071

      vitto071

      bellissima :):) 

    2. vincent29264

      vincent29264

      Non ho capito che intendi ma di una cosa sono certo, che se esiste un dio, ai suoi occhi, ammesso che ce li abbia, non siamo diversi da un qualunque altro essere vivente, protozoi compresi, nonostante la nostra presunzione di essere a sua immagine e somiglianza.

  6. Nel cuore del bosco scorgemmo tra gli alberisfuggevoli e danzanti figure umane, se di umani si trattava...

     


     

     
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  7. Melanconia (dedicato a Claudio)

     

    Oramai ragionavo per metafore. E in maniera piuttosto sbrigativa. Per esempio, dicevo: “questa gente è vecchia”, anche se mi trovavo tra trentenni. Era presuntuoso, lo so. Il fatto è che avevo una certa inquietudine addosso. Non mi rassegnavo allo stato delle cose, né mi era più sufficiente coltivare una sorta di spiritualità. Mi sembrava che mancasse qualcosa di decisivo, qualcosa di fondamentale.
È come quando stai raccontando una storia che non è ancora finita. Una storia in corso di… e che, fino a quel momento, non lascia intravedere l’esito.

    Poi, c’era dell’altro. Malgrado il mio vigore fisico, avvertivo i segni dell’età. Il metabolismo era più lento, la fatica nei lavori del bosco mi lasciava nelle braccia e nelle mani una traccia a lungo sensibile. E mi sembrava che non fosse ancora il tempo di…
Insomma, il tempo passava. Il tempo era passato. Ne era passato tanto, di tempo, e ancora…

    Certo, ero in grado di elencare tutta una lunga serie di vicende, di fatti, di risultati, di conquiste, di esperienze che potevano placare un po’ la perplessità connessa con la domanda che m’interrogava perennemente sul valore della mia esistenza. Ma tutto quel passato era incapace di smorzare l’inquietudine che sentivo nel profondo – checché ne pensassero gli altri, in genere così generosi nei miei confronti.
Ad essere spregiudicatamente sincero, mi pareva, ancora una volta, che la mia vita fosse inutile.

    Non mi tormentavo per il male fatto. In realtà non ho mai fatto del male intenzionalmente a qualcuno. Anche se so di aver fatto soffrire e creato problemi. Ma non era questo. So che i piatti li rompe chi li lava. E ho sviluppato una sorta di compassione per quel che mi riguarda, sufficiente a non darmi rimorsi se nel mio viaggio ho urtato qualcuno.

    Era qualcosa di più struggente, di più profondo. E ne scaturiva quella sorta di melanconia che non si lascia tradurre facilmente in romanticismo e poesia, ma si trasforma piuttosto in una puntura lancinante proprio nel centro del cuore.

    Sapevo che si trattava di quella parte del Sogno che non era stata realizzata. Quella parte del Sogno che tutto il traffico del passato non era stato in grado di trasformare in realtà. Questa era la fonte dell’inquietudine.

    Erano gli altri ad essere “vecchi”? o non ero piuttosto io?
Io, che non mi ritrovavo più addosso la forza e lo slancio di continuare a cercare, a fare, a intraprendere?

     

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  8. Il fascino evocativo del bianco e nero. Il monocromatico. Immagino un ambiente abitativo, o uno studio creativo, con quattro o cinque di questi quadri, capaci di evocare quel pizzico di erotismo che condisce sapientemente le attività mentali, di ideazione, di progettazione.
    Il nostro approccio alla vita, parlo di quello quotidiano, quello che si esprime nel modo in cui e con l’umore con cui affrontiamo i compiti e le decisioni operative di ogni giorno è in fondo l’invenzione del nostro rapporto personale con la vita, la composizione musicale della nostra sinfonia.

     

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  9. Nutrire il sogno è un lavoro. Meraviglioso, appassionante, emozionante.
    Una delle mie massime preferite è: se sei capace di immaginarlo, sei capace anche di realizzarlo.
    Il sogno si nutre costruendo immagini che lo rappresentino, che lo dispieghino.
    Lo si fa, spontaneamente, nelle fantasticherie.
    Si può assumere la responsabilità attiva della fantasticheria.
    Svilupparla come farebbe un regista fantasioso.
    Il sogno, una volta innescato, cresce da solo. Come le opere d’arte nelle mani degli artisti.
    E guida i tuoi gesti.
    È il sogno che parla di te, che fa uscire all’aperto quello che sei nella ghianda. Il sogno è l’epifania della tua anima.

     

     

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  10. Allora  c’è da fare quel chilometro in più. Da uscire dai tuoi confini. Spesso a occhi chiusi. Con fiducia a priori.

     

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  11. Io dico che probabilmente ce l’abbiamo addosso questa necessità di spingere il mondo e la vita da qualche parte ben precisa.  E che ci diamo dentro da sempre, per il semplice fatto che abbiamo dei desideri.
    Insomma, io desidero questo e spingo il mondo intero ad andare in quella direzione.
    Non siamo così, noialtri umani?
    Non è questo che ci fa sentire vivi?

     

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  12. Lei diceva che la creatività più importante, quella che è davvero fondamentale, consiste nella capacità di ricreare ogni giorno quell'immensa energia che ti fa affrontare la vita con passione e perseverare nel tempo, senza cedimenti.


     

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  13. Questa gioia d’incominciare la giornata, al risveglio.

    Il piacere della mia casa vascello per navigare l’oceano dell’essere.

    Un cielo terso, fuori che promette sole e aria fresca.

    Continuo a lavorare al miglioramento di me. Alla creazione di me. Mi servo di questa sorta di specchio che si crea nella riflessione.

    È lavorando su di me che incontro gli altri più a fondo.

    La comunicazione è come muovere le gambe seduti ai bordi della stessa vasca: immersi nel medium che ci collega.

    È quello che sono che arriverà agli altri, non quello che recito. Spalancherò gli occhi per vedere la bellezza negli altri, per nutrirmi e godere la vita.

    Non credo più da tempo nella critica costruttiva.
    È avvenuto da sé.
    Preferisco il lavoro di produzione di proposte, alternative, nuove interpretazioni, idee...

    In questa prospettiva scoprire la realtà è un po' inventarla.

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  14. Dans chaque étreinte c'est le rêve que l'on retrouve. Le rêve qui accompagne chaque passe de notre route. Le rêve qui nous précède sur le chemin et souvent court le risque d'éloignement. 

     

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  15. Comunque la cosa era interessante. Mi piaceva esserci e non facevo tante domande. Però per dirlo a parole, erano le parole inventate prima di me e usate da altri che mi si imponevano.
 All’inizio, non volevo imparare a parlare. Mi sembrava una forzatura. Una violenza. Io – fosse stato per me – avrei continuato a vivere senza parlare. Solo facendo e sentendo. In silenzio. C’era bisogno di dirlo?

    
La gente però parlava e sapevo che avrei dovuto imparare a parlare anch’io. Un giorno mi ci son messa d’impegno e ho incominciato a imparare le parole.
 Le parole sono grandi. Hanno un potere fantastico. Poi sono veramente tante. E combinate insieme possono fare frasi spettacolari. E possono perfino ottenere dei risultati, vale a dire, creare le cose che dicono.
 Sono diventata presto brava con le parole. E ho anche imparato a fingere, dicendo con le parole cose che non erano, soprattutto se riguardavano me.
 Mi sono anche accortoa che raccontando parole-bugie agli altri riuscivo perfino a ingannare me stessa. E di qui sono passata al teatro, dove le bugie si dicono sapendo tutti che sono tali. E quindi non sono più bugie.

    Io non credo nei miti, nelle favole e nelle leggende. Le trovo solo infinitamente affascinanti. E vorrei inventarne di indimenticabili.
 So che quello che dicono le favole è quasi sempre vero, in qualche modo.
 Con le parole vorrei fare centro nel bersaglio, ma senza usarle come fa il chirurgo in sala operatoria.
 Preferisco prima parlare e poi cercare di capire quello che ho detto, piuttosto che il contrario. Ma se è possibile, vorrei che dire e pensare coincidessero.
 So che le parole non si mangiano, ma aspiro a trovare da mangiare anche solo facendo parole. Però che siano parole che toccano il cuore e che rivelino qualcosa. Altrimenti non le sopporto.
 Anzi, penso che avvelenino


     

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  16. Questa primavera mi porta con sé. 

    Veronica dice: “ È questione di testa!”. Sì, la testa conta molto. Conta l’umore. Conta il desiderio. Conta l’ambizione di fare qualcosa di utile ancora.

     

     

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  17. Facendo molte rime


    S'impara a poetare" 

    - Diceva l'arcivescovo

    
Volendo salmodiare.


    Di certo gli sfuggiva

    
Il cuore del concetto,


    Forse troppo occupato


    A coltivar l'aspetto.


    Ma un giorno accanto a un fosso,


    Andando a passo lesto,


    Fu all'improvviso scosso


    E reso alquanto mesto


    Pensava all'Orizzonte,


    Al sole, alle comete,


    Alla rugiada, al fonte,


    Al cranio dell'ariete.


    Pensava a quelle cose


    Cui non ne val pensare:


    Le spine delle rose,
L

    o sciabordio del mare,


    Il vento sulle fronde,

    
La piega dei ginocchi,


    I pali sulle sponde,


    La voce dei ranocchi...


    E gli sembrò d'un tratto


    Che la felicità


    Fosse legata a un patto


    Con quelle cose là.


    Disse: non è questione


    Di fare ben la rima,


    Questa rivelazione


    Non l'ho capita prima!


     


     

     
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    1. vitto071

      vitto071

      Bellissima :) 

  18. Per chi si ascolta, chi cerca la consapevolezza del vivere, spesso la sensazione globale in cui si ritrova, silenzioso, è come un’immagine nebbiosa che lo ingloba e che lo avvolge. L’emozione è intensa e l’abbandono alla vita è un atteggiamento piacevole. 
Per viaggiarci dentro, perché la consapevolezza sia un cammino da qui a lì, bisogna ricorrere alla parola. 
La parola fa viaggiare il mondo.

     

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  19. Facevo il consuntivo della giornata, come sempre. Bisogna ricordare le cose, se no, scappano nell’oblio. Bisogna mantenere la memoria. Quando si vive si fa poca attenzione. Si perde tanto. Bisogna recuperarlo. Io lo faccio alla sera. Ho un diario di bordo. Cerco di ricordare le cose e me le annoto. Mi sembra di vivere di più…

     

     

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  20. Amo il nuovo. Ho riflettuto: nuovo è ciò che ha il potere di rinnovarmi, di rendermi nuovo.  È il potere della primavera.

     

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  21. Lo so che te lo sei fatto diverse volte questo discorso. Ora te lo riproduco. Ti ci riconoscerai. 
Ti sei detto quanto segue.


    Sono venuto al mondo senza averlo deciso. Non c’ero. Mi ci sono trovato. Un po’ per volta. Perché quando mi sono accorto di esserci c’ero già da tempo. E mi chiedo: che senso ha? 
Quando mi hanno detto che sono nato perché i miei genitori avevano fatto certe cose, beh, sì, qualcosa della mia venuta al mondo l’ho afferrata. Ma dal mio punto di vista, voglio dire dal punto di vista di una storia narrata dal protagonista, all’inizio, quell’inizio in cui all’improvviso tu ci sei stato – e prima non c’eri – e non te ne sei nemmeno accorto – e che te ne sei accorto più tardi come se la consapevolezza fosse un frutto tardivo dell’essere – beh, voglio dire che all’inizio, se tu volessi raccontare la tua storia, c’è un vuoto, uno strapiombo oscuro che ti tronca il discorso.
Tu sei comparso – te ne sei accorto dopo che questo era avvenuto – e non sai veramente perché, chi, cosa…

    Io ci ho pensato diverse volte. E rimango ogni volta senza parole. E a scriverci sopra ne uso tante proprio perché di fatto non ho le parole che ci vorrebbero. Questo mi batte in testa: mi sono trovata tante volte a raccontare di cose fatte, di avventure, di emozioni, di accidenti e di decisioni, insomma di cose che potrebbero riempire una storia…, ma a partire da un inizio in cui… io non c’ero e quindi che non saprei narrare.
 Io non posso finire di meravigliarmi del fatto che mi sono accorta di esserci e che potevo raccontare di me una storia quando già era successo che ci fossi, che venissi al mondo. Ma quella storia, quella che mi ha portato ad esserci, quella non avrei saputo davvero come raccontarla

     

     

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  22. Crederci è un modo di essere, non solo di pensare o di sentire.
    Crederci è Primavera.

     

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  23. A volte è necessario che mi stacchi da ciò che sto facendo con slancio e passione. Mi fa bene prendere le distanze. Guardarmi al lavoro da lontano. Fa bene vedere che l’orizzonte è più vasto, che conviene andare più adagio, che la Vita è già qui. Allora ritorna la quiete e le energie zampillano fresche di nuovo dai pori dell’anima.
     

     

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  24. Sì, trovo che la vita si presta alle interpretazioni più diverse. Si può pensare, in certe circostanze, che se ne scorra indifferente, nella sua indipendenza dai nostri pensieri, ma che sia anche docile a lasciarsi leggere e raffigurare come più ci viene o ci aggrada.

    Se entro in quest’ordine di pensieri, vedo la vita, l’universo, la totalità di ciò che esiste, come un’impresa colossale di cui non posso essere altro che spettatrice. E già così mi sembra una gran cosa.
 I miei piccoli traffici con le mani assomigliano ai giochini che faccio nel bosco, o a ciò che combinano i bambini con la sabbia in un pomeriggio d’estate.
 Un po’ d’immaginazione, qualche castello costruito per gioco con la rena, che poi, di notte, un’onda del mare cancellerà.

    Se mi avvicino un po’ di più alla terra, se fisso lo sguardo sulle città, le strade, i cantieri, le fabbriche…, allora vedo che la presenza di noi umani su questa zolla dell’universo ha costruito qualcosa di più duraturo. Sempre fragile di fronte all’immensità del potere della natura, ma a suo modo un universo consistente e complesso, in cui scorrono le nostre esistenze traendone vantaggi e limitazioni.
Anche questo mondo, uscito dalle mani dell’uomo, sembra possedere una sua indifferenza e autonomia nei confronti dei nostri umori quotidiani. Scorre nella sua oggettività, seguendo le sue regole, senza dar troppo peso alle nostre interpretazioni di singoli.

    Ma se mi accosto ancora di più e cerco di entrare sotto la pelle degli individui, scopro come un nuovo universo, dove pensieri, emozioni, sentimenti, desideri, aspettative, costituiscono il pane quotidiano. E quel che è curioso è che tali pensieri e aspettative sembrano riguardare eventi che dovrebbero avvenire proprio nell’altro mondo, oggettivo, della società e della natura.
Far fortuna, la salute, un partner d’amore, opere che esprimano la nostra soggettività e i suoi bisogni e desideri… sono attesi come eventi oggettivi.

    Il corpo e il suo traffico con le cose sembra essere il tramite grazie al quale le aspettative interiori cercano di provocare gli eventi favorevoli. E noi sappiamo che le nostre città, la tecnologia, le infrastrutture sono apparse nella dimensione oggettiva come risultato di questa logica che dall’interno, attraverso il lavoro, realizza all’esterno.

    Noi umani, soprattutto noi occidentali, crediamo molto in questa logica secondo la quale aspettative e desideri prendono forma in idee della mente e si traducono attraverso il lavoro in nuove realtà utili e vantaggiose.

    Da questa prospettiva conta poco se, quando verrà la notte dei tempi, un’onda spazzerà via ogni cosa che abbiamo costruito. Conta invece che possiamo giocare il nostro gioco durante il pomeriggio che ci è concesso, come fanno i bambini sulla spiaggia.

    E la vita, nella sua sonnacchiosa indifferenza oggettiva, ci lascia giocare, prestandosi alle nostre interpretazioni, ai nostri progetti e pensieri, anche se non rinuncia mai alla possibilità di un grosso scossone che cancelli ogni nostra opera e noi stessi.

    Il Dio misterioso tace e ci lascia giocare, finché non risvegliamo la sua suscettibilità con qualche gesto eccessivo?

    Noi parliamo molto, nelle nostre fantasie, di vero e di giusto. Di fatto conosciamo veramente poco il tremendo potere dell’essere. Ma, entro un certo margine, l’Essere si lascia interpretare come più ci aggrada.

    In questa labile giornata dei nostri giochi, tuttavia, ci è dato certamente un dono che colma l’anima. Vedere la Bellezza, e tentare di farla affiorare nelle nostre opere.

    La Bellezza è tenera e gentile. Sembra una Potenza che sfugge dai pori dell’Essere, si sottrae al suo tremendo potere, per venire a carezzare le nostre brevi esistenze.
 Riesce a vestire anche le nostre tragedie e i nostri drammi.
 Esala, come un profumo, in ogni spazio che le apriamo. Visita i nostri corpi, e sosta nelle nostre opere.

    Noi chiamiamo Arte, questa capacità di vedere e di evocare la Bellezza.
 Le nostre interpretazioni migliori, le nostre fantasie più gustose sulla vita, sono quelle che consentono l’Epifania della Bellezza. 

     

     

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  25. Le nuvole andavano di sghimbescio, quel giorno. Tutto aveva l’aria della primavera.
    Quando ti senti addosso quel formicolio… lo sai.
    Non c’era da essere tristi. Eppure…
    È come quando hai l’impressione di capire qualcosa oltre i soliti confini della percezione.
    Sei felice, e triste, nello stesso tempo.
    Sei piena e sembra che ti manchi tutto, come un pozzo senza fondo.
     

    E se Anna Magnani piange, sul piccolo schermo – qualcosa di repertorio – tu incominci a lacrimare.
    E non sai perché.

     

     

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