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Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. “Quello”. Aspetto quello. Cerco quello. Prego per quello.

    Ricordo quando ho scoperto il potere del pronome dimostrativo. “Quello!” È il primo gesto. La prima mossa. Il primo orientamento del cuore. Anzi, della mente. La mente ancora vuota di parole, di occhiali, di dettagli importanti. Dice: “Quello”. E già la prua della nave punta in una direzione.

    “Quello” è freschezza, è letizia, è una sorta di innocenza riconquistata, o ricevuta nuovamente in dono. Una seconda innocenza. Quell’innocenza che ti visita da adulto o da vecchio. Ha tutto il sapore della consapevolezza. Ogni suo aspetto diventa piacevolmente esteso e tonificante. “Quello”.
    “Quello” è dove mi porta il desiderio prima ancora che diventi consapevole a se stesso. Dove sono destinato – si potrebbe dire – non senza cautela.
 Dove le cose e l’universo mi orientano. Veramente quello.

    “Quello” dice anche: no, no, no…
Tanti no a richiami o visite che non hanno il sapore delle bollicine. Le tipiche bollicine della freschezza.

    “Quello”: è là che voglio andare, che desidero, che prego.

    E mentre vado in quella direzione, m’interrogo anche e interrogo, acciocché quello si mostri e mi parli di sé. Che mi parli di sé perché io possa parlare di me.

    Non parlatemi solo di sesso, neanche tantrico.
 Non parlatemi solo di denaro, nemmeno come energia.
 Non parlatemi solo di mercato, neanche come comunicazione.
 “Quello” è molto di più. Anche se non vedo il suo volto chiaro, quello sa già che è molto di più.

    “Quello” è qui vicino. Non è lontano come la sua non visibilità potrebbe far pensare. È vicino come il Regno dei Cieli. Lo si potrebbe toccare allungando la mano. Un “da qui a lì” potrebbe bastare.
 È come il profumo del caprifoglio nel bosco, anche quando non vedi la pianta.

    Dicendo “Quello” io lo cerco servendomi della parola. E va bene per adesso. Così come sono. Dove sono e in risposta a questa domanda che mi abita così intimamente.
 E so che la parola non lo potrà mai imprigionare. Mai rinchiudere in una gabbia. Meglio tenere la mano aperta e allargata, come nell’acqua. Perché è solo lasciandolo scorrere che lo puoi sentire. Se stringi, è il nulla ciò con cui ti ritrovi.

    E io non stringo. Dico: “Quello” è ciò che desidero, che cerco, che prego. E lascio la mano allargata, la parola nella sua modestia – eppure tanto audace.

     

     

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  2. Ti scrivo solo ora perché gli avvenimenti incalzavano e non ho avuto il tempo…


    Il nostro mondo è diventato sempre più veloce e mutevole, e l'abbiamo voluto noi, perché così è più bello.

    
Ci siamo resi conto che ci sono infinite altre possibilità.


    E stiamo addestrando il nostro corpo e la nostra mente a intraprendere una nuova navigazione.

     

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  3. Le immagini vengono prima della parola, vengono anche senza parola, e spesso al posto della parola. C'è qualcosa di magico nel creare immagini.

     

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  4. Lo so che te lo sei fatto diverse volte questo discorso. Ora te lo riproduco. Ti ci riconoscerai. 
Ti sei detta quanto segue.


    Sono venuta al mondo senza averlo deciso. Non c’ero. Mi ci sono trovata. Un po’ per volta. Perché quando mi sono accorta di esserci c’ero già da tempo. E mi chiedo: che senso ha?


    Quando mi hanno detto che sono nata perché i miei genitori avevano fatto certe cose, beh, sì, qualcosa della mia venuta al mondo l’ho afferrata. Ma dal mio punto di vista, voglio dire dal punto di vista di una storia narrata dalla protagonista, all’inizio, quell’inizio in cui all’improvviso tu ci sei stata – e prima non c’eri – e non te ne sei nemmeno accorta – e che te ne sei accorta più tardi come se la consapevolezza fosse un frutto tardivo dell’essere – beh, voglio dire che all’inizio, se tu volessi raccontare la tua storia, c’è un vuoto, uno strapiombo oscuro che ti tronca il discorso.
Tu sei comparsa – te ne sei accorta dopo che questo era avvenuto – e non sai veramente perché, chi, cosa…

    Io ci ho pensato diverse volte. E rimango ogni volta senza parole. E a scriverci sopra ne uso tante proprio perché di fatto non ho le parole che ci vorrebbero. Questo mi batte in testa: mi sono trovata tante volte a raccontare di cose fatte, di avventure, di emozioni, di accidenti e di decisioni, insomma di cose che potrebbero riempire una storia…, ma a partire da un inizio in cui… io non c’ero e quindi che non saprei narrare.


    Io non posso finire di meravigliarmi del fatto che mi sono accorta di esserci e che potevo raccontare di me una storia quando già era successo che ci fossi, che venissi al mondo. Ma quella storia, quella che mi ha portato ad esserci, quella non avrei saputo davvero come raccontarla.
     

     

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    1. mimamima18

      mimamima18

      Considerazioni che fanno riflettere....

  5. Il fresco leggero dell'imbrunire, al termine di una giornata particolarmente calda. Il momento in cui i più anziani, un tempo, tiravano fuori dalla memoria storie che incantavano i piccini. Mentre le ragazzine lanciavano occhiate furtive dall'altra parte della strada.

     

     

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  6. E salire piu su, ogni tanto, a respirare il cielo.

     

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  7. A me la musica piace, mi pare che sia dappertutto, la musica, e che qualsiasi movimento del corpo, il respiro, il battito del cuore, le gambe mentre cammino o corro… Sia musica. 

    Se c’è una cosa che rimpiango, forse l’unica cosa, è di non aver ancora imparato a suonare, comporre, a mettere in moto i suoni in maniera soddisfacente…

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  8. Affido i miei umori ai pensieri più belli.
     

     

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  9. Le parole dell’interiorità hanno fatto una grande presa. Si sono allargate a macchia d’olio, assorbite dalle anime come l’olio dal panno carta. Le parole dell’interiorità hanno colmato una grande sete. Plurisecolare, credo.


    Ma ora sembra che il discorso si ripeta, che la ruota giri su se stessa.


    C’è un orizzonte in uscita? L’interiorità non è sufficiente a cambiare il mondo.
     

     

     

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  10. Qualcosa che spunta fuori. Una luce diversa. Una luce e unsoffio di vento. Con la musica di sottofondo e tu che cerchi di immaginare la colonna sonora del film. Mentre la scena scorre.

    La rive gauche…, che cosa stai vedendo? Parigi. La prima gita scolastica all’estero, ricordi? Era bello esplorare il mondo con la tua classe del liceo. Li ricordi? Perfettamente. Li ricordo quei ragazzi. Enzo ed Elena, allora fidanzatini,  si sono sposati poi. E Luca? Santo cielo! Con la macchina fotografica che faceva scatti a ripetizione. E le storie di Sara, che non arrivava al treno all’ora della partenza, per via di quel fidanzatino che si era trovata strada facendo…

    
Non piove più. Ora tornerà il bel tempo e il caldo e le nostre lamentele… Tutto questo e quella luce diversa.

    Ma ci sei Diego? Mi ascolti?
 Mi hai detto cose ragionevoli, ma la cosa carina è stata che me le dicessi. Hai tentato di provocarmi e di scuotermi un po’. Tu sembri rassicurato da tanto tempo, molto prima che io mi ponessi domande in proposito. Hai una bella faccia. Questo mi dice molto. E so che sei capace di mantenerla tale molto a lungo. Io … continuo ad essere piuttosto inquieta, ma…

    Quando è stato? ieri, mi sembra. Già fin dalle prime ore del mattino. È stato allora, sì, credo che sia avvenuto in quella fascia oraria, io andavo al bosco. In quel momento non pioveva. E io andavo a vedere gli effetti del temporale nella mia tenuta boschiva.

    Vogliamo rappresentarla come una scena dialogo?


    Ecco:

    Io: Che sta succedendo?


    Voce: Stai conoscendo un periodo nuovo. Il peso e la fatica della mente. E ti sei spaventata a morte?


    Io: E che altro potrei fare?


    Voce: Accetta tutto questo. Affidati. Abbandonati. Se sei furba, fa’ di più: di’ che hai la fortuna di esplorare una nuovo passo della vita e cerca di divertirti. Di scoprire. C’è ancora avventura nella tua vita.
     

    E Thomas? Che stai facendo? Perché non ti sento da tanto tempo? Ce l’hai una versione di La Vie en Rose? Lo so che tu suoni sempre orchestre celestiali. Scrivi una nota o due per me. Mi fa piacere sentire un po’ di melodia.

    E così, credo di essermi arresa. E anche con sollievo. Quanto è faticoso lottare per imporre alla vita, costantemente, il tuo volere.

    Forse dipende da quel che ci hanno messo addosso da piccoli, forse, non so… poi impariamo un linguaggio e molte cose sono già formate lì dentro. Quando pensi, pensi con il linguaggio che hai imparato e vedi quello che il linguaggio ha già visto. E diventa difficile rinnovare la percezione del mondo e della vita.

    Ma non è tutto qui. C’è anche qualcosa di selvaggio che si agita dentro. Quello che non ti fa accettare del tutto passivamente gli usi e costumi vigenti e neanche le dottrine e le chiese. Quello che protesta, rivendicando una presa genuina del senso del vivere. Che non si sa neanche cosa la possa fornire. Ma il selvaggio non demorde certo per questo.

    E io sono appesa a questo dilemma: tra la selvaggia che non osa accogliere una saggezza già confezionata e una pavida che diventa falsamente cedevole.
Sembra, comunque, che mi sia arresa in qualche modo. Vediamo… 

     

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  11. Vorrei affacciarmi alla finestra e vedere il mare.


    Vorrei scendere al porto, se ci fosse.


    Salire sulla barca e andare.


    Non in alto mare, ma lungo la costa. A distanza tranquilla.
I

    l vento giusto. Il mare, agevole.
U

    na giornata di contemplazione e basta.


    Solo respirare, guardare, lasciare che la meraviglia della natura filtri dentro e diventi pensiero.

     

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  12. Nelle mie camminate ho ripreso a sognare. Fantastico, trasportata dal benessere che questo provoca dentro di me. E la fiducia si sviluppa attorno alle mie fantasticherie e a queste sensazioni.

    E rientro in casa lievitata, ripulita dalla pesantezza.


     

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  13. Adoro il mio balcone, anche la notte. 



    La notte d’agosto scavata tra le stelle cadenti in cerca di messaggi ai bordi del mistero. 

    

Perché vivo ai bordi del mistero. 

    

La notte, come la battigia che separa la spiaggia stretta del noto dall’oceano immenso dell’ignoto. 



    E guardo nel buio come si può guardare nell’altrove. 

    

E la vita stessa appare come la prua della nave che avanza nelle acque sconfinate navigando a vista. 



    E benedico il sapere, tutto il sapere che millenni hanno accumulato. Pur sapendo che è poco, è già immenso per la mia piccola mente. E vi posso accedere in qualche modo, per trarne conforto e indicazioni. 



    Ma la mia vita si accende sul balcone che guarda nella notte. E aguzza l’occhio per vedere ciò che non si vede e dare certezza a quello che spero, in attesa dell’alba. 



    Una grande fiducia invade l’animo che respira già le cose di oggi. E sembra che una musica accompagni la storia, dando ai piccoli gesti l’eco dell’impresa. 



    E anche stamani posso sentire gratitudine per poter progettare il modo, il come, in maniera che calzi non l’uomo in generale, ma proprio me, così come sono.


     

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  14. Il mondo cambia così rapidamente che non ci si può non sentire sempre dei ragazzini, che hanno ancora tutto da imparare. E anche a noi, come ai ragazzini, viene voglia di esplorare la vita in maniere non codificate. Perché il gusto delle avventure deriva anche da quel senso di mistero e trasgressione che le accompagna quando non si sa ancora niente di come funzionano le cose, e non si sa in fondo che cosa succederà, che cosa nascerà dai nostri tentativi.
     

    E allora mi sforzo di ritornare un po’ ragazzina anch’io, per trovare gusto in quell’approccio alla vita che chiamiamo avventura, perché l’emozione che ne deriva è certo legata al fatto di non sapere fino in fondo che cosa potrebbe capitare, che c’è un rischio, ma che ne potrebbe derivare anche qualcosa di particolarmente bello.
     

     

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  15. Appena fuori dal porto c’imbattemmo in una sterminata regione di cose inutili. Fu uno shock, sulle prime. Eravamo abituati al mondo dei numeri e dei profitti, al mondo in cui ciò che non ha prezzo non vale una cicca. E ora eravamo storditi dal cambiamento. Ci mettemmo un po’ per ritrovare il controllo delle navi. Ma il vento gonfiava le nostre vele, e comparve sui volti dell’equipaggio un sorriso diverso, una sorta di felicità intimidita.  Sembrava che le cose inutili, che avevamo accantonato e ignorato proprio per questo, le cose inutili che avevamo lasciato fuori dai moli, avessero un incantesimo strano, suadente, inatteso. Fu durante quel lungo viaggio che scoprimmo l’utilità dell’inutile.

     

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  16. Era la via del mare che cercavamo. E la stavamo percorrendo. Il mare era l’orizzonte aperto verso una vita avventurosa e interessante. Quella gioia intima e profonda che sa di possedere il senso dell’esistenza. Volevamo radunare lungo le strade tutti coloro che asfissiavano per il clima depressivo che contagiava le regioni della terraferma. Volevamo creare gruppi di ribellione, comitati di resistenza, campi di addestramento all’operosità creativa. Dovevamo contrastare quella visione che riduceva tutto alla dimensione dei conti, dei prezzi e degli utili. Volevamo riappropriarci di tutte quelle cose “inutili” che rendono la vita bella e significativa. Volevamo dare valore alle molte dimensioni dell’uomo. Sorridere con sincerità, esprimersi, condividere. Era necessario capire come operare una rivoluzione culturale capace di conquistare e sedurre, capace di accendere la fiamma dentro il petto delle persone.

     

     

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  17. Ogni giorno ci riproviamo. Ricominciamo daccapo.
Molti di noi non riescono proprio a rimanere intontiti 24 ore al giorno.
Pieni del lavoro d’azienda, pieni di televisione e di chiacchiere che non dicono gran che.
È come se avessero un tarlo dentro.
Qualcosa che rode e che dice più meno: così non va bene, così è troppo poco.

    Ma il mondo sembra una pasta densa che ti avvolge da ogni parte e ti rende i movimenti piuttosto impacciati.
Tutto quello che si fa e come lo si fa.
E se incontri gente, sembra di non riconoscersi.

    Eppure…

    Forse è sempre stato così, in qualche modo.
Non c’è da stupirsi.
Non c’è da stupirsi se i nostri sogni si rivestono di questa pasta che fuoriesce dai massa media e dalla logica dello spettacolo.

    La cosa più viva, nella grande recita, è proprio quel tarlo che sentiamo dentro e che non ci permette di restare intontiti 24 ore al giorno.

    Nei momenti di innocenza sentiamo che vogliamo integrità e verità e bellezza. Che il nostro cuore è bambino.  E che sono le orecchie piene di rumori. Ma la vocina è sempre desta.
E allora ricominciamo volentieri daccapo, ogni mattina.
E magari siamo anche pronti ad attraversare il guado.
Anche la noia è amica della fede.

    Se riuscissimo a chiudere l’interruttore. A staccare con il telecomando. A restare un po’ da soli con noi stessi. E ascoltare voci che vengono da lontano e che ci hanno accompagnato lungo tutto ilo cammino.
Voci deboli, ma penetranti.
La voce del tarlo, che senti solo quando smetti di far rumore.

    Un tempo c’era Samarcanda.
Andavamo a Samarcanda per incontrare il nostro destino.
Com’è bello avere un destino!
Vuol dire essere qualcuno – non l’anonimo nella grande massa amministrata.

    Ma se trovi il tasto che chiude i collegamenti, beh, se premi quel tasto, la voce del tarlo è lì presente. Dice: questo è troppo poco. Io desidero molto di più. E molto più vero.

    Ci si può liberare di tutta questa polvere con una doccia di un minuto.
La vocina è sempre lì. È tagliente come una lama. E sono le corde che ci imprigionano ad essere recise.

    E allora io sognai di riprendere il cammino per Samarcanda.
E ritrovatomi sulla strada sentii di nuovo la bellezza della vita.
Quell’itinerario che si muove verso Samarcanda.

    È la mia strada.
Ho un destino.
Sono io.

     

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      vitto071

      bellissime foto :) 

  18. Ci sono pinete lungo i sentieri
    dove hai il conforto dell'ombra
    e ti carezza la brezza salmastra del mare.
    Ci sono persone come pinete,
    come te.
     

     

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  19. Si avviava di buonora per le strade del mondo sognando la luna.
Il passo leggero e le agili mani ad esplorare le meraviglie del fare.
     
     
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  20. Tutti gli esperti dicevano che la cosa non era possibile, finché venne qualcuno che non lo sapeva e la fece.

     

     

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  21. Voglio aver cura del tempo.
    Anch’io ne ho perso molto, con tante occasioni, opportunità.
    Viene da rimpiangere, da pentirsi.
    Sì, mi pentirò, ma senza rimpianti.
    Non voglio la paralisi del rimpianto.
    In fondo, è come se fossi nato proprio ora. E il tempo che resta è il tempo che c’è. Quello che ho davanti agli occhi.
    “Quello” è il tempo che viene a me, fresco e nuovo. Con i vagiti di inconsapevole certezza di esserci.

     

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  22. Mi vengono in mente questi pensieri:
    ecco una spiritualità che viene in soccorso della speranza nei momenti bui. Ma la spiritualità è così strettamente legata alla sofferenza?
    Le religioni e le saggezze che ci vengono dalla tradizione hanno tante cosa da dire e da offrire alle persone che versano in momenti difficili, dolore, malattia, angustia, angoscia, mancanza di senso…
    Dunque, è proprio vero quel che si diceva una volta del Dio tappa buchi? Che Dio sorge nel momento in cui l’uomo si riconosce debole e malato?
    Insomma, lo capisci quel che voglio dire: non mi ritrovo con senso di dignità di fronte a una spiritualità, a una religiosità, a una fede che si fa avanti proprio in forza della debolezza e della malattia.
    Penso che non sia giusto, che non sia onesto, che non sia bello.


     

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  23. Come se la poesia fosse un piccolo fiore giallo 

    che fa capolino ai bordi del bosco, verso Oriente, 

    nell’ora in cui i gabbiani e le garzette 

    si contendono la riva del torrente…
     


     

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  24. Il piacere di stendere i panni sul balcone ovest poco prima del tramonto! 

    Guardi quegli sbuffi di nuvole folli mentre pinzi le magliette: è la penetrante musica del silenzio

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  25. Io mi domando: ma come mai sono così ignorante? Come mai sono così imbecille?
 Sarà forse per poter inventare meglio?
 

    A volte troppo sapere inibisce l’invenzione.
 

    Vorrei che fosse così.
 

    Vorrei poter essere in grado di inventare la mia storia, ancora, e ancora.
 

    Di raccontarmela. 


    Sfuggendo all’azione castrante delle notizie grigie, degli eventi pesanti.

    Allora parlerei di un amore impossibile, di una passione irresistibile, di gesta che aprono, anzi, sfondano portoni e muraglie, di creazioni di cattedrali, di ondate liberatorie che attraversano il pianeta.
 

    Parlerei del coraggio, della modestia, dell’integrità, del sostegno.

    E non pensare che sarei nell’empireo. Ci sarebbe sesso ed erotismo in ogni pagina del racconto. Ci sarebbe meraviglia e senso del mistero. Ci sarebbe corpo esterrefatto dallo stupore. E musica. 

    E le mani toccherebbero il divino.
     

     

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