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La via è quella: esprimere. Ex-primere è far uscire fuori, dare volto e vestito a quello che arriva dentro. La vita interiore è un fiume sotterraneo. Se non emerge, se non viene fuori, come potremmo trafficare con noi stessi e disegnare la nostra strada nel mondo?
Ci sono modi in cui l’espressione e la realizzazione terrena avviene nella forma del progetto. Un progetto si forma già chiaro nella testa e poi chiede di essere eseguito. La sua logica è: prima pensi e poi fai. Ma ci sono altri modi – li chiamiamo creativi – in cui le cose capitano diversamente.
Una volta, l’etica e la deontologia dicevano: prima pensi e poi dici. Secondo la prospettiva creativa la logica si rovescia: prima dici e poi pensi quello che hai detto. La portata e il significato di quello che è venuto a galla sotto ispirazione emerge solo successivamente. -
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Lo slancio è la dimensione piena della vita bambina.
Nel linguaggio si può dire: Wow!
Nell’amore è la danza, la poesia.
Qui, con te, è questa intensità inenarrabile, di cui soltanto gli angeli e le farfalle possono sentire il penetrante sussurrare.
Lo slancio è anche il luogo in cui cessano le regole del linguaggio e la sintassi balzella tra i cespugli di rosmarino.
È la fonte di tutte le licenze poetiche della storia.
È anche il luogo in cui puoi dire: ti amo!, senza chiederti se ha senso, o che conseguenze possa avere.
Lo slancio è la cifra incontrovertibile della libertà.
È la gioia di essere allo stato puro.
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Probabilmente l’abbiamo intuito la prima volta che ci siamo innamorati. Ma poi anche dopo, quando abbiamo visto il primo film, o abbiamo cominciato a dare la colonna sonora alla nostra vita con i nostri CD, e ancora con il computer, e certamente quando abbiamo dipinto, composto musica, imparato a ballare, realizzato il primo viaggio all’estero, la gita in barca a vela, o l’immersione sub, o il primo volo…
Un sacco di circostanze che ci hanno immesso quasi del tutto naturalmente nella dimensione del fantastico. Dove già ci preparavano ad entrare le nostre fantasticherie prima di addormentarci da bambini, o ci tenevamo le palpebre aperte per seguitare a leggere il romanzo d’avventura. Perché tutte queste cose sono nostre fantasie realizzate. Sogni realizzati.
È in quelle circostanze che abbiamo sentito un richiamo irresistibile – anche se abbiamo resistito lo stesso. La vita non è condannata al grigiore, alla monotonia, alla stasi.La scelta dell’arte è proprio questa: credere nel sogno che prende forma. Credere che la materia del quotidiano, così come il progetto di lunga durata, possano diventare fantastici.
E si capisce che questa realtà fantastica nasce nella forma di un incontro folle – in rapporto a ciò che pensiamo voglia dire essere ragionevoli – tra noi e ciò che c’è. L’arte è coltivare le condizioni di questa follia. Innanzitutto decidendosi per essa.
Ma non possiamo ignorare il ruolo che ha avuto la scienza, la tecnologia, nella realizzazione dei sogni. Icaro ci provò con le penne posticce, ma la cosa non funzionò a dovere. I nostri aerei moderni cadono anche, ma sono più efficaci delle penne di Icaro. La televisione, la radio e il telefono mi consentono di superare spazi, vedere e sentire via etere. Certamente è un sogno realizzato. Soprattutto perché non esige virtù paranormali ed extrasensoriali. La tecnologia, e la scienza che implica, hanno ottenuto questo.
Questo mi fa pensare.Mi fa pensare che a volte cerchiamo una strada magica alla maniera infantile.
E mi dà da pensare anche questo: che oggi riscopriamo il corpo, l’importanza della sua manutenzione, della sua energia, proprio grazie alla spiritualità, che ci spinge a respirare bene, a muovere le gambe e a ritrovare la forma e l’equilibrio.Tant’è che, spesso, la parola spiritualità mi sembra perfino eccessiva.
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Attaccati a ciò che ti appassiona, che ti dà forti emozioni. Coltiva quello, vai avanti con tenacia, audacia, perseveranza. Incominceranno a succedere cose luminose che ti trasformeranno, ti faranno forte e ti daranno quella soddisfazione che l’obbedienza a compiti esterni e delle regole convenzionali non ti daranno mai. Sarai sveglio e sentirai di vivere.
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Voi che aspirate a una spiritualità, sappiate che è il vostro sogno che la crea. Perché spiritualità è arte d’immaginare la vita e realizzarla con fiducia. Non predicate una spiritualità che porti negli spazi siderei, separati dal mondo. La spiritualità è il gioco concreto che state giocando. Esso esige che non siate inquinati, distrutti, lacerati, frantumati, arrabbiati, svuotati… Quando il vostro corpo è sano e pieno d’energia, voi siete gli esseri più spirituali che l’universo conosca. E per raggiungere questo basta solo che impariate ad andare al vostro ritmo, a fare quello che amate, a digerire la vostra esperienza nella consapevolezza.
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Immagina che sei messo davanti al compito di costruire un puzzle.
Le tessere ti vengono date un po’ per volta, apparentemente a caso.
Man mano che le tessere ti arrivano tu cerchi di formare il disegno.
Non sempre arrivano tessere che si compongono immediatamente con quelle che hai già ricevuto. E tu le metti, lì, da parte, aspettando che venga il momento in cui tu possa riconoscere che entrano nel disegno, man mano che vai avanti con le altre.
Ora, complica un po’ la situazione.Le tessere ti vengono distribuite sempre a caso, un po’ per volta. Ma nella regola del gioco c’è che alcune le devi scartare. Non tutte sono buone al tuo disegno. Dovrai decidere quelle che vanno al caso tuo e quelle che sono di un altro disegno.
Alcune sembrano chiaramente non pertinenti. Ma altre? È molto dubbio se, prima o poi, malgrado l’apparente incongruità, si riveleranno o meno parti del disegno globale.
E tu le metti da parte, ai margini del tavolo. In attesa di capire meglio.
Ecco, questa simulazione mentale, mi sembra una buona metafora della vita.Ma c’è una differenza.
Nel caso del puzzle è più facile presumere che ci sia un disegno globale che tiene insieme le tessere. I costruttori di puzzle, di solito, stampano un immagine su un cartone. E successivamente lo suddividono in tante tessere. Per complicato che sia il gioco, per numerose che siano le tessere, per come siano state mescolate prima della distribuzione a pacchetti successivi nel tempo, tu puoi facilmente presumere che tutte appartengono a un disegno globale.
Nel caso della vita, questa presunzione è meno evidente.Ciò che mi succede, giorno per giorno, rientra in un disegno globale dotato di senso o no, per me?
Allora, qui si capisce meglio che presumere la congruità di qualsiasi evento che ti capita di vivere con una trama sensata è una presunzione cui si può accedere solo con una decisione. In qualche modo è gratuita.Una sorta di scommessa.
Credere nel senso della vita è una sorta di scommessa.
Ma è questa scommessa che ti consente di partecipare al gioco.
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Mi piace raccontare storie. In definitiva riesco a raccontare bene solo storie che mi riguardano. Che rientrano nella mia storia.
Ma il gusto che provo nel raccontare storie non è solo estetico. Rifletto sul fatto che ogni vita è una storia. La mia. Ma anche quella di ognuno dei miei interlocutori. E arrivo presto alla conclusione che raccontare la propria storia è un modo per fare della propria vita una storia. Infatti, c’è il rischio di dispersione. Mille cose da fare, tanti eventi che accadono. Molti eventi attesi che non accadono… Tutto questo potrebbe disperdere. L’attenzione e la vita. Immagino che lo potrebbe. Oppure fornirebbe materiale solo ad una storia raccontata da un altro. Ma che tu racconti la tua storia è un’altra faccenda. Vuol dire che hai intenzione di vivere una storia.
Raccontare la tua storia presuppone che tu voglia esserne il protagonista. Che tu voglia una vita a modo tuo. Che tu sappia trovare o inventare un filo conduttore che attraversa tutte quelle molte giornate, tutti quegli innumerevoli eventi, che ti senti dietro le spalle. E anche che, nei momenti di stallo, tu non pensi che sei niente, ma che, anche quando non lo sai, delle cose accadono che ti riguardano.
Una volta le storie si potevano raccontare solo alla fine. La fine, l’ultimo capitolo, è in realtà il momento in cui si può vedere il filo rosso che ha collegato gli eventi.
Ma esistevano anche i diari di viaggio. Ed erano storie. Nel diario di viaggio si parte sempre dalla fine, ma dalla fine che ancora non è avvenuta. È la fine desiderata, il sogno che si vuole realizzare. Nel diario di viaggio, sappiamo che siamo partiti per andare là. E raccontiamo quello che oggi è avvenuto in rapporto a quella nostra meta.
Ed è un po’ di questo genere la storia che io racconto.
Ho deciso di arrivare là. Ho un mio sogno. E racconto quello che accade alla luce della meta che mi sono prefissa.
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bellissima
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E lei portava dentro l’animo quelle intense emozioni di bellezza, abbondanza, lussureggiante esplosione di energie, che si esprimevano nei suoi gesti ordinari, quotidiani e che consentivano ai suoi sogni più profondi e più grandi di muoversi liberamente tra le mura di casa e negli ambienti in cui operava.
Era convinta che la vita trovasse la sua espressione significativa nella gioia e che la gioia fosse a portata di mano, e che tutto - anche le sfide e le tristezze - contenesse mille sentieri per condurre alla gioia, o piuttosto mille porte e finestra da cui la gioia potesse entrare.
Le domande che le facevano compagnia in ogni momento si riferivano al come trovare nuove idee e nuove vie per espandere la propria capacità di sentire, di intendere e di trovare. E il gioco della creatività non smetteva un attimo di sorprenderla.
La sua esistenza era un’avventura succulenta. Gratitudine e gioia erano lo stesso sentimento.
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Nel blu' dipinto di blu'
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E, intanto, il desiderio.
Io ho preso sul serio il desiderio. Che chiamo sogno. Da tempo, ho fatto questo. Prendere sul serio il desiderio che ti abita.
Il desiderio. Che meraviglia che tu sia un desiderio. E che mistero. Cosa desideri? Cosa vuoi? E, lo vuoi ancora? Oppure hai lasciato affievolire questa voce che una volta ti sbatteva contro le pareti della tua casa, e ti chiedeva di uscire a avventurarti? -
Vita come musica
Comporre e cantare e danzare e volare. Mistero in ascolto al mattino. Nel sole e nella nebbia il sorriso del fuoco che alita raggi di luce sulla pelle. Un ragazzo che grida allegria e salta i fossi di fianco al sentiero. Montagna che sbianca la cima nel cielo, richiamo di magica illusione. Miracoli che emergono dal suolo come fiori dopo lunga pioggia, danza di fanciulle guerriere, incanti di conchiglie ferite contro la roccia dallo sguardo feroce.
Già fatto? -
A Henny piaceva l’azzurro di Grecia. L’aveva visto in un locale di una città del nord e se n’era innamorata. Non si era data pace finché la sua casa non aveva incorporato quel colore. L’azzurro di Grecia la portava in un orizzonte più grande della vita. La faceva uscire, quasi d’incanto, dal recinto ormai angusto della sua dimora e della sua situazione. Henny aveva riconosciuto in quell’azzurro non solo un segnale di ciò che desiderava, ma anche una strada da percorrere, una sorta di sacramento che realizzava ciò che era nell’intenzione. Henny si era chiamata Giovanna, prima. Ma ora aveva cambiato nome. Il cambiamento di nome era come se fosse arrivata alla consapevolezza della sua anima. D’ora in poi sarebbe stata quello che prima soltanto sonnecchiava.
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A volte, allo specchio, la mattina, mi domando: ma quella lì sono io? E in quelle circostanze mi rendo conto che c’è come una distanza tra me e me. C’è un dentro e un fuori. E quando mi vedo allo specchio, mi domando che rapporto ci sia tra quella lì fuori e questa qui dentro.
A dire il vero, io sto sempre con questa qui, dentro. Sento, penso, scrivo, telefono, vado, faccio. Mi sembra di essere un punto che ha un certo margine di consapevolezza. Dirigo il faro su qualcosa. E più mi ostino a guardarla e più mi sembra che sia diversa da quello che si dice di solito. E questo mi piace, perché è come se si aprisse un mondo nuovo dove viaggiare, muovere, fare, e vedere.
Io sono questo punto da cui guardo le cose e faccio. E nel fare muovo il corpo, cammino, parlo. Ma non mi vedo mai dall’esterno. So che vado fuori, ma non mi guardo mai da fuori. Solo quando sono allo specchio, la mattina, e mi pettino. E allora mi viene da chiedere: ma quella lì sono io?
E chi sono io? E chi voglio essere?
Beh, non vorrei decidere questa questione allo specchio. Vorrei, semplicemente, che la mia immagine esterna dicesse – a coloro che mi vedono da fuori, esattamente quella che io sono, all’interno. E credo che succeda, anche se non controllo.
Malgrado le apparenze, non credo che la gente sia stupida. Credo al contrario che la gente sappia vedere le cose, dietro l’immagine. Credo che quando si guarda allo specchio rimanga forse un momento frastornata e si chieda anche: ma quello lì sono io?, ma poi, con uno scossone, dica: io sono questo qui! -
Il Tempo non è il semplice movimento della lancetta sul quadrante dell’orologio.
Il Tempo è ciò che ci accade. Sono eventi uno dietro l’altro. A volte, insieme. E non sono neanche semplici eventi da registrare. Sono eventi e fatti in rapporto al nostro desiderio, alle aspettative, ai nostri sogni.
Il tempo è anche ciò che ne facciamo di quel che accade.
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Il vecchio rotolò dalle macerie dirupate, catasta di legno verde in bilico, mallegata e affiumante. Lo colpì lampo d’affetto dimenticato, sbucato da non seppe mai quale specchio. La figura sottile si disfece in pezzi. Frammenti di pellame di cranio danzarono nell’aria inerte, fin sopra l’asparagina, dietro al boschetto.
Il giovane non s’avvide di quanto accadesse perché, nell’attimo, chinavasi a svellere asparagi, sotto le fronde.
Poi, sulla strada di casa, incontrò Vellutata, come sempre vestita da uomo. Il ragazzo le offrì da mangiare parte della sua caccia, per osservarle bocca e lingua umide in azione, che avrebbe voluto baciare e sporcare di seme - interminabile apnea.
La ragazza poi fu chiamata dal cugino invalido, che voleva farsi lavare - e toccare. Vellutata oltrepassò la soglia di casa con in bocca un sapore di verde.
Dal primo specchio, emerse il cranio sottile d’un vecchio, mai conosciuto. -
A me piace molto pensare. Mi piace e mi fa stare bene. Mi aiuta a dipingere la situazione in cui mi trovo, come si dice? a fare la mappa. Lo so che non è la verità assoluta. Non so neanche cosa sia la verità assoluta. Ma pensare, raccontarmi le cose, me le fa vedere, me ne dà una rappresentazione. E questo è il mio mondo. Il mio film. Come potrei avere la mia storia, fare il mio romanzo, senza pensare?
Non ho mai capito perché tante persone ce l'hanno col pensare.
Io voglio imparare a pensare bene. Proprio il processo del pensare. Non tanto i contenuti. Le idee che vengono, che ti aiutano a vivere, che aprono orizzonti, hanno tutte una storia. Il pensare stesso è una storia.Io potrei raccontare come stamattina di fronte a una domanda che mi teneva in sospeso, ho incominciato a pensare e come è arrivata un'idea che mi è sembrata liberatoria e promettente. E come ho tentato di seguire quell'idea fino a raggiungere altre idee. E tutto questo fa parte della mia storia quotidiana.
È la storia quotidiana quella in cui noi troviamo noi stessi e riusciamo a gestire le vicende del nostro. E il pensare, in questo splendido spazio del quotidiano, dico il pensare libero e autonomo, sincero e appassionato, quel pensare è veramente una benedizione.
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Cosa vuol dire essere spontanei? Oltre questa parola, cosa c’è? Come posso capirlo? Afferrarlo nell’intimo?
E come posso avvicinarmi alla comprensione della spontaneità se quando parlo con qualcuno so che lo devo ascoltare, so che devo essere gentile, so che devo sorridere?E come posso entrare in contatto con quel che sono se so che devo essere brava e buona e adulta e razionale e rispettosa e aperta?
Non è questo che mi suggerisce la Programmazione Neuro Linguistica?