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  1. Forse questo voleva dire il vecchio Aristotele quando affermava che ogni uomo è filosofo.


    Questa inquietudine che genera domande sull’essere, su come essere, su come rispondere al desiderio di vita.
    Forse. Non so. Lui era un altro. E io sono io. Il desiderio di vita è il mio. Quello che agita e muove questa faccenda strana che chiamo Io. Che chiamo la mia vita.

    Ultimamente il fato, o che so io, mi ha condotto all’incontro con la disperazione. Il nucleo denso e oscuro che ho chiamato disperazione. E per cui ho costruito nel bosco uno spazio apposito. Perché mi parli. Per sentire il suo richiamo. Per farmela amica. Per farla maestra e guida.

    Questo ho deciso, nelle mie congetture arbitrarie: che il nocciolo della disperazione è più amica della vita del sedersi gongolante sulla dolce meringa del già fatto, del già realizzato, del già raggiunto.

    Chi mi dirà come uscire dai confini? Chi mi spingerà ad esplorare nuovi territori? Chi, se non la disperazione, potrà rivelare ciò che ancora desidero perché la vita sia piena?

    Ecco che nel punto più oscuro e inquietante di me trovo lo spazio della rivelazione. Nel punto più doloroso, la fonte della speranza. Nel luogo più contratto trovo gli spazi più aperti – indicati, potenziali, dotati di un appello irresistibile.

    Dove sarà il mio Dio? Forse nelle brezze della sera, mentre la luce calante inonda le fronde dei pioppi? O nell’albeggiare rugiadoso del mattino, quando il corpo sente bisogno di fuoco per fronteggiare le temperature autunnali?

    La voce del mio Dio è racchiusa come in un gomitolo negli antri poco illuminati della disperazione.

    La voce della società è ormai la voce del mercato. E la voce del mercato chiede prodotti. La voce della filosofia chiede di essere, e di fare cose che siano espressione dell’essere, ricerca dell’essere.

    Nel bosco io vivo in uno spazio intermedio: lontano dal mercato e più vicino al fare che esprime il desiderio dell’essere.

    
È il luogo in cui il samurai si esercita.


    È il luogo in cui il principe medita.


    È il luogo in cui fare e ascoltare possono congiungersi senza pressioni e distrazioni.

    Oggi, nel bosco, esiste un luogo della disperazione. Un tavolo chiamato “bocconi amari”.
 È lì che mi chiama il mio maestro.

    Che farò domani? Mi domando io.

    
Che farai adesso? Dice la disperazione.

    
Cosa puoi fare adesso per rispondere al desiderio di vivere, di essere pienamente viva?


    E smetto di giocare al solitario per ingannare il tempo.


    E il tempo è nuovamente mio: il mio spazio di ricerca, di lavoro.

    Ma chi sei, Disperazione, per avere tanto potere?
“

    Sono il potere di ciò che ti manca”.

    
La mancanza non è il segno di un fallimento, né motivo di pianto. La mancanza è il pungolo vivace che mi riporta a me stessa, che sfronda le quisquilie. La mancanza è la voce del Daimon – se si vuol dar credito alla mitologia.


    Io vado a braccetto con la mancanza. Mi rende giovane. Che fanciulla affascinante! Perché certo mancanza è madre di Eros. Ed è lei che suscita in me intraprendenza.

    Che venga domani, dunque, con le forze rinnovate dal riposo.


    Per disegnare con mani fresche e passi di danza nuovi luoghi dell’essere. 


     

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