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SEMONIDE AMORGINO
Fr. 7D (trad.di Ettore Bignone)
Diversa Giove delle donne l’indole
da principio creò. All’una origine
dal porco irsuto diede. In terra giacciono,
nella sua casa, tra sozzura lercia,
a lei le cose; e qua e là si rotolano,
in gran scompiglio: e sozza, in vesti sordide,
in mezzo alla sporcizia essa s’impingua.
Trasse il dio l’altra dall’ape subdola,
chè tutto scruta e sa; a lei qualsiasi
ottima cosa, od anco pur tristissima,
celata non resta ;il buono pessimo
dice spesso, ed invece ottimo il tristo.
Sempre d’umore ad ora ad ora è varia.
(Trad.di Filippo M. Pontani)
Viene dal mare un’altra, e ha due nature
opposte: un giorno ride, tutta allegra,
sì che a vederla in casa uno l’ammira:
“ non c’è al mondo una donna più simpatica,
non c’è donna migliore”. Un altro giorno
non la sopporti neppure a vederla
o ad andarle vicino: fa la pazza,
e a chi s’accosti, guai! Pare la cagna
coi cuccioli, implacabile: scoraggia
nemici e amici alla stessa maniera.
Come il mare che sta sovente calmo,
non fa danno e rallegra i marinai
nell’estate, e sovente in un fragore
di cavalloni s’agita e s’infuria.
Tale l’umore di una donna simile:
anche il mare ha carattere cangiante.
(Trad. di Ettore Romagnoli)
Fu madre all’altra una cavalla morbida,
di lungo crine. La fatica e le opere
servili ha in gran fastidio, e staccio e macina
non toccherebbe mai, né l’immondizia
spazzerebbe da casa, o la fuliggine
dal focolare, e t’ama sol per obbligo.
Sta tutto quanto il santo giorno a tergersi,
due volte e spesso tre s’unge di balsami,
ravviata la chioma a fil di pettine,
disciolta, ombrata di corolle floride.
E’ questa donna, certo, uno spettacolo
bello per gli altri; e pel marito un guaio,
se pur non sia re di corona o principe,
che di tali vaghezze allegri l’animo.
Trad.di Giacomo Leopardi
Ma la donna ch’a l’ape è somiglievole
beato è chi l’ottien, che d’ogni biasimo
sola è disciolta, e seco ride e prospera
la mortal vita. In carità reciproca,
poiché bella e gentil prole crearono,
ambo i consorti dolcemente invecchiano.
Splende fra tutte; e la circonda e seguita
non so qual garbo; né con l’altre è solita
goder di novellari osceni e fetidi.
Questa, che delle donne è prima ed ottima,
i numi alcuna volta ci largiscono.
-
Buona notte, anima mia.
Già dormi,
ma continui ad esserci
nei miei pensieri
e certo poi nei miei sogni.
Sogni d’oro, amore mio.
Mentre, in dormiveglia,
cerco e sfioro il tuo braccio
e intreccio le mie dita
alle tue, già remissive,
ascolto il tuo ritmico respiro.
Sospiro e attendo il tuo risveglio
dal primo profondo sonno
e già pregusto la dolcezza
del desiato amplesso,
mentre la complice Diana,
sorella di Febo Apollo dormiente,
splende appieno in cielo.
-
Oh! Il desiderio
che non muore!
Oh, la dolcezza
del primo mattino!
Svegliarsi anzitempo,
fare l’amore
con l’amata,
e riaddormentarsi
stretti stretti.
Osmosi di calore
e di amore
in soave dormiveglia!
-
Incontrarti e amarti
All’istante, allora,
Diede un senso
Alla mia vita.
Poi pensarti, sognarti
E fremere di rivederti
Da promessi sposi
Mi legò a te
Con vincolo perenne.
Infine, convivere in simbiosi,
Condividere sogni, progetti,
Gioie e dolori,
Timori e speranze,
Ha fatto di noi
Una sola anima.
Unità che speriamo
Possa, anche dopo ,
sopravvivere sia pure
soltanto in ispirito.
-
MIMNERMO
Dal poema elegiaco dedicato a NANNO’
Fr.1D – trad. di Salvatore Quasimodo
Quale vita, che dolcezza senza Afrodite d’oro?
Meglio morire quando non avrò più cari
gli amori segreti e il letto e le dolcissime offerte,
che di giovinezza sono i fiori fugaci
per gli uomini e le donne.
Quando viene la dolorosa vecchiaia
che rende l’uomo bello simile al brutto,
sempre nella mente lo consumano malvagi pensieri;
ma è odioso ai fanciulli e sprezzato dalle donne:
tanto grave Zeus volle la vecchiaia.
Fr. 2D – trad. di Filippo M. Pontani
Siamo come le foglie nate alla stagione florida
-
crescono così rapide nel sole - :
godiamo per un gramo tempo i fiori dell’età,
dagli dèi non sapendo il bene, il male.
Rigide, accanto, stanno due parvenze brune:
l’una ha un destino di vecchiezza atroce,
l’altra di morte. E il frutto di giovinezza è un attimo,
quanto dilaga sulla terra il sole.
Ma come varca la stagione il suo confine, allora
essere morti è meglio che la vita:
il cuore sperimenta tanti guai; la casa a volte
si strugge e viene la miseria amara;
uno è privo di figli: li desidera, e scende
nell’aldilà con quell’accoramento;
un altro ha un morbo che lo strema. Non c’è uomo
che da Zeus non riceva guai su guai.
Fr. 10 D – trad. di Ettore Bignone
Travaglio in sorte, assiduo, ebbe ogni giorno il Sole;
né a lui, né ai suoi destrieri requie veruna mai
non fu data, da quando l’Aurora che ha dita di rosa,
sorgendo da l’Oceano, ascende lieve ai cieli;
e lui, dormente, del mare sui flutti un bellissimo, alato,
concavo letto d’oro, a fior de l’acque trae,
prezioso, costrutto di mano di Efesto, veloce,
ai versier delle Esperidi, degli Etiopi ai lidi;
dove il rapido carro e i destrieri del Sole hanno posa,
sin che, dell’Alba figlia, ritorni ancor, l’Aurora,
e ancor sul cocchio ascenda il figlio d’Iperione.
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MIMNERMO
Dal poema elegiaco dedicato a NANNO’
Fr.1D – trad. di Salvatore Quasimodo
Quale vita, che dolcezza senza Afrodite d’oro?
Meglio morire quando non avrò più cari
gli amori segreti e il letto e le dolcissime offerte,
che di giovinezza sono i fiori fugaci
per gli uomini e le donne.
Quando viene la dolorosa vecchiaia
che rende l’uomo bello simile al brutto,
sempre nella mente lo consumano malvagi pensieri;
ma è odioso ai fanciulli e sprezzato dalle donne:
tanto grave Zeus volle la vecchiaia.
Fr. 2D – trad. di Filippo M. Pontani
Siamo come le foglie nate alla stagione florida
-
crescono così rapide nel sole - :
godiamo per un gramo tempo i fiori dell’età,
dagli dèi non sapendo il bene, il male.
Rigide, accanto, stanno due parvenze brune:
l’una ha un destino di vecchiezza atroce,
l’altra di morte. E il frutto di giovinezza è un attimo,
quanto dilaga sulla terra il sole.
Ma come varca la stagione il suo confine, allora
essere morti è meglio che la vita:
il cuore sperimenta tanti guai; la casa a volte
si strugge e viene la miseria amara;
uno è privo di figli: li desidera, e scende
nell’aldilà con quell’accoramento;
un altro ha un morbo che lo strema. Non c’è uomo
che da Zeus non riceva guai su guai.
Fr. 10 D – trad. di Ettore Bignone
Travaglio in sorte, assiduo, ebbe ogni giorno il Sole;
né a lui, né ai suoi destrieri requie veruna mai
non fu data, da quando l’Aurora che ha dita di rosa,
sorgendo da l’Oceano, ascende lieve ai cieli;
e lui, dormente, del mare sui flutti un bellissimo, alato,
concavo letto d’oro, a fior de l’acque trae,
prezioso, costrutto di mano di Efesto, veloce,
ai versier delle Esperidi, degli Etiopi ai lidi;
dove il rapido carro e i destrieri del Sole hanno posa,
sin che, dell’Alba figlia, ritorni ancor, l’Aurora,
e ancor sul cocchio ascenda il figlio d’Iperione.
-
-
Side by side
Poche cose
posso annoverare
a consuntivo bilancio
dell’anno morente.
Sentirti ancora
“side by side”,
fianco a fianco, sì,
e scaldarmi al calore
del tuo corpo
adorato.
Silenti, mentre la
Notte giunge al suo
fatidico mezzo,
per non rompere
l’incanto della
prossimità di noi due
eterni innamorati
ed esplodere
in un bacio
appassionato
allo scoccare del
dodicesimo rintocco.
-
Ormai è solo
Dolce malinconìa
L’amore per te,
Unico,
Eterno.
Solo alimento
Della mia anima.
E anche speranza,
Se penso alla
Verginalità
Della tua anima
E del tuo corpo,
Vero tempio
Della maternità,
Forza invincibile
Che ci unisce
Per sempre,
A dispetto di tutto.
Potrebbe essere
Anche di più,
Fonte di felicità
Costante,
Se solo tu lo volessi
Com’io lo voglio.
-
Oh, la gioia di apporre
un bacio sulle tue
affusolate
mani, che grondano,
quando esci dal lavacro
delle ionie onde,
e ti trattieni sulla battigia
a strizzare il denso crine,
arcuando il dorso quel
tanto che basta, quasi in
moto di danza!
-
Oh, la gioia di apporre
un bacio sulle tue
affusolate
mani, che grondano,
quando esci dal lavacro
delle ionie onde,
e ti trattieni sulla battigia
a strizzare il denso crine,
arcuando il dorso quel
tanto che basta, quasi in
moto di danza!
-
CAMILLO BOITO
“ Senso “
…………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….
La mattina seguente, prima delle nove, mi feci condurre nella mia carrozza al comando della fortezza.
L’erta mi pareva interminabile : gridavo a Giacomo di frustare i cavalli. Una folla di militari d’ogni colore, di
feriti, di popolani, ingombrava il piazzale innanzi al castello; ma giunsi senza ostacoli all’anticamera degli
uffici, dove un vecchio invalido pigliò il mio biglietto da visita. Dopo qualche minuto ritornò, dicendomi che
il generale Hauptmann mi pregava di passare nel suo quartiere privato, e che, appena sbrigati certi affari
urgentissimi, sarebbe venuto a presentarmi il suo omaggio. Fui condotta attraverso logge, corridoi e
terrazze in una sala, che dominava dalle tre larghe finestre la città intiera.
L’Adige, interrotto dai suoi ponti,
si torceva in una S, avente la prima delle sue pancie ai piedi del monticello su cui sorge Castel San Pietro,
e la seconda ai piedi di un altro bruno castello merlato; e sorgevano dalle case i culmini e le torri delle
vecchie basiliche; e in un largo spazio si vedeva l’ovale enorme dell’Arena antica. Il sole mattutino
rallegrava l’abitato ed i colli, e dall’una parte indorava le montagne, dall’altra gettava una luce placida
sull’interminabile pianura verde, sparsa di villaggi bianchi, di case, di chiese, di campanili. Entrarono nella
sala con gran fracasso di risa e salti due bimbe, le quali avevano il volto color di rosa e i capelli biondi
paglierini. Vedendomi, di primo botto rimasero impacciate, ma poi subito si fecero coraggio e mi vennero
accanto. La più grandicella disse : “ Signora, si accomodi. Vuole che vada a chiamare la mamma? “. “ No,
fanciulla mia, aspetto il tuo babbo “. “ Il babbo non l’abbiamo ancora visto stamane. Ha tanto da fare “. “ Lo
voglio vedere io il babbo”, gridò la più piccina. “ Gli voglio tanto bene io al
babbo “. In quella entrò il
generale,e le bimbe gli corsero incontro,gli si avviticchiarono alle gambe, tentavano di saltargli sulle spalle;
egli prendeva l’una e l’alzava e le dava un bacio, poi prendeva l’altra; e le due pazzerelle ridevano, e negli
occhi del generale spuntarono due lagrime di tenerezza beata. Si volse a me dicendo : “ Scusi, signora;
s’ella ha figliuoli, mi compatirà “. Si mise a sedere in faccia a me e soggiunse : “ Conosco di nome il signor
conte, e sarei lieto se potessi servire in qualcosa la signora contessa “. Feci un cenno al generale perché
allontanasse le bambine, ed egli disse loro con voce piena di dolcezza : “ Andate, figliuole mie, andate,
dobbiamo parlare con la signora”. Le bambine fecero un passo verso di me come per darmi un bacio;
voltai la testa; e se ne andarono finalmente un poco mortificate. “ Generale – mormorai – vengo a
compiere un dovere di suddita fedele “. “ La signora contessa è tedesca? “.
“ No, sono trentina “. “ Ah, va
bene “, esclamò, guardandomi con una cert’aria di stupore e di impazienza. “ Legga “ e gli porsi in atto
risoluto la lettera di Remigio, quella che avevo ritrovata nel taschino del portamonete. Il generale, dopo
avere letto : “ Non capisco; la lettera è indirizzata a lei? “. “ Sì, generale”. “ Dunque l’uomo che scrive è il
suo amante? “.
Non risposi. Il generale cavò di tasca un sigaro e lo accese; s’alzò da sedere e si pose a camminare su e giù
per la sala; tutt’a un tratto mi si piantò innanzi e, ficcandomi gli occhi in volto, disse : “ Dunque, ho fretta,
si sbrighi “. “ La lettera è di Remigio Ruiz, luogotenente del terzo reggimento granatieri “. “ E poi? “. “ La
lettera parla chiaro. S’è fatto credere malato, pagando i quattro medici – e aggiunsi con l’accento rapido
dell’odio : - è disertore dal campo di battaglia “. “ Ho inteso. Il tenente era l’amante suo e l’ha piantata. Ella
si vendica facendolo fucilare, e insieme con lui facendo fucilare i medici. E’
vero? “. “ Dei medici non
m’importa “. Il generale stette un poco meditando con le ciglia aggrottate, poi mi stese la lettera, che gli
avevo data : “ Signora, ci pensi : la delazione è un’infamia e l’opera sua è un assassinio “. “ Signor generale, -
esclamai, alzando il viso e guardandolo altera – compia il suo dovere “.
La sera, verso le nove, un soldato portò all’albergo della “ Torre di Londra “, dove finalmente mi avevano
trovata una camera, un biglietto che diceva : “ Domattina alle quattro e mezzo precise verranno fucilati nel
secondo cortile di Castel San Pietro il tenente Remigio Ruiz ed il medico del suo reggimento. Questo foglio
servirà per assistere all’esecuzione. Il sottoscritto chiede scusa alla signora contessa di non poterle offrire
anche lo spettacolo della fucilazione degli altri medici, i quali, per ragioni che qui è inutile riferire, vennero
rimandati ad un altro consiglio di guerra. ……………………..Generale Hauptmann “.
Alle tre e mezzo della notte buia uscivo a piedi dall’albergo,
accompagnata da Giacomo. Al basso del colle di
Castel San Pietro gli ordinai che mi lasciasse, e cominciai a salire sola la strada erta; avevo caldo, soffocavo;
non volevo togliermi il velo dalla faccia, bensì, sciolti i primi bottoni dell’abito, rivoltai i lembi dello scollo al
di dentro : quel po’ d’aria sul seno mi faceva respirare meglio. Le stelle impallidivano, si diffondeva intorno
un albore giallastro. Seguii dei soldati, che, girando il fianco del castello, entrarono in un cortile chiuso dagli
alti e cupi muri di cinta. Vi stavano già schierate due squadre di granatieri, immobili. Nessuno badava a me
in quel brulichio silenzioso di militari e in quelle mezze tenebre. Si sentivano le campane suonare giù nella
città, dalla quale salivano mille rumori confusi. Cigolò una porta bassa del castello, e ne uscirono due
uomini con le mani legate dietro la schiena; l’uno magro, bruno, camminava innanzi ritto,sicuro, con la
fronte alta; l’altro, fiancheggiato da due soldati, che lo reggevano con
molta fatica alle ascelle, si trascinava
singhiozzando. Non so che cosa seguisse; leggevano, credo; poi udii un gran frastuono,
e vidi il giovane bruno cadere, e nello stesso punto mi accorsi che Remigio era nudo fino alla cintura, e
quelle braccia, quelle spalle, quel collo, tutte quelle membra, che avevo tanto amato, m’abbagliarono. Mi
volò nella fantasia l’immagine del mio amante, quando a Venezia, nella “Sirena “, pieno d’ardore e di gioia,
m’aveva stretta per la prima volta fra le sue braccia d’acciaio. Un secondo frastuono mi scosse : sul torace
ancora palpitante e bianco più del marmo s’era slanciata una donna bionda, cui schizzavano addosso gli
zampilli di sangue. Alla vista di quella femmina turpe si ridestò in me tutto lo sdegno, e con lo sdegno la
dignità e la forza. Avevo la coscienza del mio diritto; m’avviai per uscire, tranquilla nell’orgoglio di un
difficile dovere compiuto.
Alla soglia del cancello mi sentii strappare il velo dal volto; mi girai e vidi
innanzi a me il grugno sporco
dell’ufficiale boemo. Cavò dalla bocca enorme il cannello della sua pipa, e, avvicinando al mio viso il suo
mustacchio, mi sputò sulla guancia…
-
Cosa sei…tu per me?
Ecco cosa sei:
Sei la magìa del Natale.
Sei l’incanto
Dei cristalli di neve
Che lenti s’adagiano
Sulla bianca coltre
Della terra nera.
Sei il calore del ceppo
Che nel camino
Sprigiona faville di fuoco.
Sei lo stupore dell’Attesa
Che inebria il cuore
Dei bambini sognanti.
Sei la rosa che d’inverno
Profuma le mie notti.
Sei tutta…
La ragione della vita mia.
Sei la luce
Del mio faticoso cammino.
Sei tutte le cose belle
Che porta seco il Natale.
-
Cosa sei…tu per me?
Ecco cosa sei:
Sei la magìa del Natale.
Sei l’incanto
Dei cristalli di neve
Che lenti s’adagiano
Sulla bianca coltre
Della terra nera.
Sei il calore del ceppo
Che nel camino
Sprigiona faville di fuoco.
Sei lo stupore dell’Attesa
Che inebria il cuore
Dei bambini sognanti.
Sei la rosa che d’inverno
Profuma le mie notti.
Sei tutta…
La ragione della vita mia.
Sei la luce
Del mio faticoso cammino.
Sei tutte le cose belle
Che porta seco il Natale.
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A lungo andare
Il sognare non basta.
L’amore ha bisogno
Del suo ossigeno.
Che è il potersi guardare
Con tenerezza negli occhi,
Abbracciarsi, baciarsi
A perdifiato.
Con confidenza e complicità
Dialogare al risveglio
O prima di addormentarsi.
E’ nel DNA dell’uomo
E del mammifero,
E’ il comandamento
Del divino Amore.
Ancor più bello se
Nella magìa del Natale.
-
-
CARDUCCI
Idillio maremmano
Co ‘l raggio de l’april nuovo che inonda
roseo la stanza tu sorridi ancora
improvvisa al mio cuore, o Maria bionda;
e il cuor che t’obliò, dopo tant’ora
di tumulti oziosi in te riposa,
o amor mio primo, o d’amor dolce aurora.
Ove sei? Senza nozze e sospirosa
non passasti già tu; certo il natio
borgo ti accoglie lieta madre e sposa;
chè il fianco baldanzoso ed il restio
seno a i freni del vel promettean troppa
gioia d’amplessi al marital desio.
Forti figli pendean da la tua poppa
certo, ed or baldi un tuo sguardo cercando
al mal domo caval saltano in groppa.
Com’eri bella, o giovinetta, quando
tra l’ondeggiar de’ lunghi solchi uscivi
un tuo serto di fiori in man recando,
alta e ridente, e sotto i cigli vivi
di selvatico fuoco lampeggiante
grande e profondo l’occhio azzurro aprivi!
Come il cìano seren tra ‘l biondeggiante
or de le spighe, tra la chioma flava
fioria quell’occhio azzurro; e a te d’avante
la grande estate, e intorno, fiammeggiava;
sparso tra’ verdi rami il sol ridea
del melogran, che rosso scintillava.
Al tuo passar, siccome a la sua dea,
il bel pavon l’occhiuta coda apria,
guardando, e un rauco grido a te mettea.
Oh come fredda indi la vita mia,
come oscura e incresciosa è trapassata!
Meglio era sposar te, bionda Maria!
-
Non invecchiano mai
Le tue labbra
Di caldo velluto.
Che accendono i miei sensi
Ogni volta che
Si schiudono
Ed effondono
Il tuo spirito d’amore.
Che riscaldano la mia anima
Se d’impeto si posano
Sulla mia bocca.
Se come rugiada del mattino
Placano l’ardore
Della mia passione.
Se emettono parole di miele
Che toccano le corde
Dei miei precordi.
-
Tinto qua e là
Di rosa
Il cielo saluta ormai
Il suo astro morente.
Vaga la mente e pensa
Al sole calante
Del nostro amore.
Vivo è ancora
Il mio sentimento per te,
e anche l’affetto di coniuge.
Perché – dimmi –
Ancora il desiderio e la passione
Mi spingono verso di te ,
Mentre tu sembri
Non provare più
Attrazione verso di me?
Eppure la giovinezza
Ancora ti arride
E la tua beltà
Non è affatto sfiorita.
Dimmi…perché
La mia mente è confusa.
-
V: MONTI
Pel giorno onomastico della mia donna
( canzone libera )
Donna, parte più cara dell’anima mia,
perché mi guardi muta in atto pensoso,
e le tue pupille si fanno rugiadose
di segrete stille?
Intendo, o mia diletta, la cagione
di quel silenzio e di quel pianto.
L’eccesso dei miei mali ti toglie la favella,
e discioglie in lacrime furtive il tuo dolore.
Ma datti pace, e solleva il cuore
ad un pensiero più degno di me e, insieme,
della tua forte anima. La stella del viver mio
s’appressa al suo tramonto : ma ti giovi sperare
che non morrò del tutto : pensa che un nome
non oscuro ti lascio, e tale che un giorno
fra le italiche donne ti sarà bel vanto il dire :
“ Io fui l’amore del cantore di Basville,
del cantore che vestì l’ira di Achille
di care itale note”.
Soave rimembranza ancora ti sarà
che ogni spirito gentile compianse i miei casi
( tra i lombardi qual è lo spirito che non sia gentile? ).
Ma con tutto ciò poni nella mente
che cerca un lungo soffrire chi cerca
lungo corso di vita. Oh Teresa mia,
e tu parimenti sventurata e cara figlia mia!
Oh voi che sole temperate il molto amaro
della mia triste esistenza con qualche dolcezza,
poco manca che, lacrimando, chiuderete
i miei occhi nell’eterno sonno! Ma sia breve
per causa mia il lacrimare : chè nulla,
fuor che il vostro dolore, sarà che mi gravi
nel partirmi da questo mortal soggiorno
troppo funesto ai buoni, in cui corte
vivono le gioie e così lunghe le pene;
ove non è già bello rimanere per dura prova,
ma bello l’uscirne e far presto tragitto
a quello dei ben vissuti a cui aspiro.
E quivi di te memore, e fatto cigno immortale
( chè l’arte dei poeti in cielo è pregio e non colpa ),
il tuo fedele, adorata mia donna,
ti aspetterà cantando le tue lodi,
finchè non giunga; e molto dei tuoi cari
costumi parlerò coi celesti, e dirò quanta
fu la tua pietà verso il miserando tuo consorte;
e le anime beate, innamorate della tua virtù,
pregheranno Dio che lieti e sempre sereni
siano i tuoi giorni e quelli dei dolci amici
che ne faranno corona : principalmente i tuoi,
mio generoso ospite amato,
che fai verace fede del detto antico,
che ritrova un tesoro chi ritrova un amico.
-
SAFFO
Fr.40-41D
Ti amavo, Attide, un tempo…mi sembravi una fanciulla piccola e senza grazie.
Fr.18D ( la poesia, “ rose della Pieria “)
(trad. di Manara Valgimigli)
Morta tu giacerai
né rimpianto; chè non cogliesti
le rose della Pieria:
e ombra ignota anche nell’Ade
ti aggirerai,
tra scure ombre di morti
sperduta.
Fr.61D (La rivale Andromeda)
Che rustica donna t’affascina l’animo (o Attide?), una donna che indossava una rustica stola
e non sa rialzare la veste sopra la caviglia?
Commiato Fr.96D (e nostalgìa)
“Vorrei proprio esser morta”. Ed ella mi lasciava tra molte lacrime;
e questo mi disse: “ Ahimè che gran dolore il nostro, o Saffo: con mia pena davvero t’abbandono!”. Ed
io a lei: “Addio, va! E ricordati di me; tu sai infatti quanto bene ti volevo. Ma se non sai, allora io voglio
ricordarti (quante dolci) e soavi cose godevamo; chè di viole e di rose
ed insieme di croco molte corone sul capo ti cingesti a me vicina e molte
ghirlande intrecciate intorno al tenero collo fatte di fiori… e con essenza
di fiori e regale ungesti…, e su morbidi letti…placavi il desiderio,
né v’era festa da cui mancavamo né bosco sacro…”.
-
BALDESAR CASTIGLIONE
Dalle “ Rime “
III
Ecco la bella fronte e il dolce nodo,
gli occhi e le labbra formate in paradiso,
e il mento dolcemente diviso in sé,
per mano di Amore composto in dolce modo.
O vivo mio bel sole, perché non odo
le soavi parole e il dolce riso,
come chiaro vedo il sacro viso
per cui sempre pur piango e mai non godo?
E voi, cari, beati e dolci occhi,
per fare più chiari gli oscuri miei giorni,
avete passato tanti monti e fiumi;
or qui nel duro esilio, in pianti amari
sostenete che, ardendo, io mi consumi,
più che mai scarsi e avari verso di me.
IV
Gentile Euro, che i crespi nodi d’oro
fai girare per il bel volto or di qui or di lì,
fa’ in modo che, mentre spiri bramoso,
non intrichi le ali nei capelli, né le snodi mai;
chè se già tuo fratello Borea potè usare prodi
per porre fine agli ardenti suoi desideri,
il cielo non vuole che qui si aspiri per voi,
né mai si goda di tanta bellezza.
Potrai ben dire, se torni al tuo soggiorno,
né brami restar preso , con mille altri,
come il nostro levante fa scorno al tuo.
Ahimè, che penso? Già ti sentivo acceso,
chè aura non sei, ma fuoco, che d’intorno
voli ai capelli che Amore mi ha teso come laccio.
Dal “ Tirsi “
Il lamento del pastore Iola
VI – Fatto hanno ormai gli occhi miei una fontana
col pianto, ove si può spegnere la sete.
Venite, o fiere, giù da questo monte
a bere senza timore di laccio o rete;
e benché mi cada dalla fronte un fiume,
pastori, avrete fuoco dal petto;
chè neppure una piccolissima parte c’è del mio cuore
che ormai non sia trasformata in fuoco e fiamma.
VII – E tu, ninfa crudele, sei solo causa
della mia trasformazione in così strana figura;
chè così bella di fuori ti hanno fatta gli dei
e dentro poi crudele, acerba e dura.
Ma perché m’ingannassero i miei occhi,
contro ragione ti fece tale la natura.
Le fiere hanno un aspetto spaventoso e strano,
e tu l’animo fiero e il volto umano.
VIII – Umano è il volto tuo? Anzi divino,
chè dentro vi sono anche due chiare stelle.
Le fresche rose colte nel giardino
fanno d’amore le guance tenerelle,
la bocca sparge odor di gelsomino,
due fiori vermigli son le labbra belle,
la gola, il mento e il delicato petto
sono di candida neve e latte coagulato.
X – Le fiere ai boschi pur tornan la sera,
dove hanno riposo dalle loro fatiche;
i boschi a primavera si rivestono di foglie,
mentre erano ignudi nel tempo nevoso.
L’autunno fa l’uva matura e nera
e ogni albero coperto di novelli frutti;
il mio dolore, invece, non muta mai la sua tempra,
e le mie pene sono sempre acerbe.
XI – Ma i giorni oscuri diverrebbero sereni,
se la pietà ti pungesse un poco il cuore.
Allora sarebbero ameni i boschi e le fonti,
se tu fossi con me, o ninfa, in questo luogo.
Andrebbero pieni di dolce latte i fiumi,
se Amore per me ponesse in fuoco il tuo cuore;
e così sonori i miei versi sarebbero,
che invidia ne avrebbero ancora Orfeo e Lino.
XII- Corrimi, dunque, in braccio, o Galatea,
né ti sdegnar dei boschi, o d’esser mia.
Venere nei boschi accompagnar soleva
Il suo amante Adone, e lì spesso si addormentava.
La luna, che è su in cielo così bella dea,
seguiva un pastorello per amore;
e venne da lui nel bosco a una fontana,
perché le donò un velo di bianca lana.
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SEMONIDE AMORGINO
Fr. 7D (trad.di Ettore Bignone)
Diversa Giove delle donne l’indole
da principio creò. All’una origine
dal porco irsuto diede. In terra giacciono,
nella sua casa, tra sozzura lercia,
a lei le cose; e qua e là si rotolano,
in gran scompiglio: e sozza, in vesti sordide,
in mezzo alla sporcizia essa s’impingua.
Trasse il dio l’altra dall’ape subdola,
chè tutto scruta e sa; a lei qualsiasi
ottima cosa, od anco pur tristissima,
celata non resta ;il buono pessimo
dice spesso, ed invece ottimo il tristo.
Sempre d’umore ad ora ad ora è varia.
(Trad.di Filippo M. Pontani)
Viene dal mare un’altra, e ha due nature
opposte: un giorno ride, tutta allegra,
sì che a vederla in casa uno l’ammira:
“ non c’è al mondo una donna più simpatica,
non c’è donna migliore”. Un altro giorno
non la sopporti neppure a vederla
o ad andarle vicino: fa la pazza,
e a chi s’accosti, guai! Pare la cagna
coi cuccioli, implacabile: scoraggia
nemici e amici alla stessa maniera.
Come il mare che sta sovente calmo,
non fa danno e rallegra i marinai
nell’estate, e sovente in un fragore
di cavalloni s’agita e s’infuria.
Tale l’umore di una donna simile:
anche il mare ha carattere cangiante.
(Trad. di Ettore Romagnoli)
Fu madre all’altra una cavalla morbida,
di lungo crine. La fatica e le opere
servili ha in gran fastidio, e staccio e macina
non toccherebbe mai, né l’immondizia
spazzerebbe da casa, o la fuliggine
dal focolare, e t’ama sol per obbligo.
Sta tutto quanto il santo giorno a tergersi,
due volte e spesso tre s’unge di balsami,
ravviata la chioma a fil di pettine,
disciolta, ombrata di corolle floride.
E’ questa donna, certo, uno spettacolo
bello per gli altri; e pel marito un guaio,
se pur non sia re di corona o principe,
che di tali vaghezze allegri l’animo.
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V: MONTI
Pel giorno onomastico della mia donna
( canzone libera )
Donna, parte più cara dell’anima mia,
perché mi guardi muta in atto pensoso,
e le tue pupille si fanno rugiadose
di segrete stille?
Intendo, o mia diletta, la cagione
di quel silenzio e di quel pianto.
L’eccesso dei miei mali ti toglie la favella,
e discioglie in lacrime furtive il tuo dolore.
Ma datti pace, e solleva il cuore
ad un pensiero più degno di me e, insieme,
della tua forte anima. La stella del viver mio
s’appressa al suo tramonto : ma ti giovi sperare
che non morrò del tutto : pensa che un nome
non oscuro ti lascio, e tale che un giorno
fra le italiche donne ti sarà bel vanto il dire :
“ Io fui l’amore del cantore di Basville,
del cantore che vestì l’ira di Achille
di care itale note”.
Soave rimembranza ancora ti sarà
che ogni spirito gentile compianse i miei casi
( tra i lombardi qual è lo spirito che non sia gentile? ).
Ma con tutto ciò poni nella mente
che cerca un lungo soffrire chi cerca
lungo corso di vita. Oh Teresa mia,
e tu parimenti sventurata e cara figlia mia!
Oh voi che sole temperate il molto amaro
della mia triste esistenza con qualche dolcezza,
poco manca che, lacrimando, chiuderete
i miei occhi nell’eterno sonno! Ma sia breve
per causa mia il lacrimare : chè nulla,
fuor che il vostro dolore, sarà che mi gravi
nel partirmi da questo mortal soggiorno
troppo funesto ai buoni, in cui corte
vivono le gioie e così lunghe le pene;
ove non è già bello rimanere per dura prova,
ma bello l’uscirne e far presto tragitto
a quello dei ben vissuti a cui aspiro.
E quivi di te memore, e fatto cigno immortale
( chè l’arte dei poeti in cielo è pregio e non colpa ),
il tuo fedele, adorata mia donna,
ti aspetterà cantando le tue lodi,
finchè non giunga; e molto dei tuoi cari
costumi parlerò coi celesti, e dirò quanta
fu la tua pietà verso il miserando tuo consorte;
e le anime beate, innamorate della tua virtù,
pregheranno Dio che lieti e sempre sereni
siano i tuoi giorni e quelli dei dolci amici
che ne faranno corona : principalmente i tuoi,
mio generoso ospite amato,
che fai verace fede del detto antico,
che ritrova un tesoro chi ritrova un amico.