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Diego, tu dici “la vorace ricerca di non so che” e mi sembra un’espressione felice. Voglio dire calzante. Perché il nome di ciò che cerchiamo, oggi non è più tanto facile dirlo e darlo.
Tutto è diventato così fluido che non sappiamo decidere una volta per tutte se sia una liberazione o sia uno smarrimento.
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Ma via!, siamo tutti uomini comuni.
Voglio dire che ci stanchiamo, facciamo quel che possiamo, abbiamo le nostre fisime, delle volte leoni, altre volte coglioni.
In qualche modo pensiamo. Cerchiamo di guidare la nostra vita con quella cosa che chiamiamo pensiero. Siamo consapevoli fino a un certo punto e siamo consapevoli che oltre questo limite è il buio.
Cerchiamo di lottare contro le cose, ci diamo da fare. E quando lo sforzo ci sembra eccessivo, al di là della nostra portata, semplicemente, ci arrendiamo.
Personalmente, mi sono arresa tante volte. Quando ringalluzzisco tendo a strafare. Ma prima o poi arrivo al limite. E allora mi arrendo. E confesso che ho imparato che nella resa c’è una pace straordinaria, che non sospettavo quando ero più giovane. Allora mi sembrava un disonore. Ora no.
Quando mi arrendo so che la vita è troppo al di là del mio controllo e del mio potere. Che altro potrei fare di più saggio?
Però c’è una cosa nuova. Nella resa io mi affido. In un certo senso, mi abbandono come si abbandona un bimbo ai propri genitori. Ma a chi mi abbandono, io? -
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La cultura dell’etica del lavoro, della performance, porta a vantarci di dormire poco, di mangiare in fretta, di portarsi il lavoro a casa e cose del genere. Ma questa è davvero una virtù? La salute e la serenità non dovrebbe avere la priorità in una vita felice? E ancora: siamo sicuri che chi lavora tanto lavori davvero bene?
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Immaginiamo che scoprissimo che un Dio ci stesse prendendo per il culo. Malgrado il nostro immenso desiderio di vita, siamo condannati a morte fin dalla nascita, i nostri sogni e desideri sono sempre mille miglia lontani rispetto alle condizioni reali, e la maggior parte di noi non ha neanche il minimo indispensabile per una sopravvivenza dignitosa…
In uno scenario del genere avremmo sempre la possibilità di cavarcela discretamente, se decidessimo tutti di imboccarci l’un l’altro, su tutti i piani di sogni e bi-sogni.
Le conclusioni sarebbero esattamente le stesse dettate dalla fede in un Dio dell’Amore che ci spronasse alla carità reciproca per entrare nel Regno dei Cieli.
Dunque?
Gandhi diceva che Dio viene all’affamato sotto forma di un pezzo di pane. Quel pezzo di pane qualcuno deve averglielo dato, all’affamato.
Possiamo immaginare che il Dio avviene esattamente in funzione di ciò che noi facciamo, per noi stessi e per gli altri? -
Buongiorno carissimo
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Buon mercoledì un abbraccio
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