• Donna
  • Verona (VR)
  • Ultima Visita

Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. Era un pomeriggio estivo. Ma le spesse mura della casa regalavano la piacevole sensazione del fresco. E la ragazza stava lì, seduta sul canapè, un braccio appoggiato allo schienale e un fiore rosso tra i capelli scuri. Si era prestata volentieri a fare da modella. Diceva che era una faccenda che riguardava la sua identità. Le donne - diceva - hanno un rapporto complesso con il proprio corpo. E tra il proprio corpo e la loro identità.
    Lui la guardava impregnato da una sorta di erezione dell'anima. E dipingerla era come accarezzarla. Era accarezzarla in una dimensione eterea. Lei, docile eppure distante. Qui davanti e altrove.
    Pensava alla magia della pittura. Pensava alle cose che si dicono, commentando i quadri, per lo più volgendoci alle tecniche, ai materiali, ai colori, allo stile... cose che non toccano mai il cuore, l'essenza, dell'esperienza del dipingere. Pensava alla magia del dipingere, difficile da dire, su cui arduo è comunicare. Ma che gli artisti sanno. E che sanno anche coloro che l'arte sentono dalla parte del fruitore.
    E la vita era magnifica. Diventarne consapevole era felicità pura.
    E sentiva il sogno di grandezza pulsare sotto la corteccia, sotto la pelle del cuore.

    IMG_5046.JPG

  2. Dove corri? Dove vai?

    Fermati un po’. Pensaci.
  

    Quante vite hai? Questa la puoi buttare?
  

    Ma che stai facendo? E per cosa?


    Devi guadagnare da vivere? Devi pagare le bollette? Vuoi comprarti quel televisore nuovo, e poi la macchina, tra quanto la cambi? Naturalmente, il cellulare…


     

    Una nuova giornata?


    Ma è la stessa identica giornata, ripetuta mille volte!

    Ti rigiri nella stessa giornata da quanti giorni? Contali. Trecentosessantacinque per quanto? 

    Dieci? Sono tremilaseicentocinquanta giorni.


    Quanti anni – se ti va bene – rimarrai in questa azienda? 30? 40? Sono quattordicimilaseicento giorni. Quattordicimilaseicento ripetizioni della stessa giornata. 

    Credi che la vita sia ripetere quattordicimilaseicento volte la stessa giornata?
     

     

    Lei si chiamava Cathérine. Era francese.

    Coltivava piante selvatiche. Le lasciava crescere
.

    Ne studiava con cura le qualità per la cucina, la terapia, il sollievo.

    Studiava i metodi più efficaci di tirarne fuori aromi, profumi, sostanze. Per catturarne le doti, per confezionare prodotti.

    Aveva un negozietto. Un’erboristeria. Clienti affezionati.

    
Coltivava piante selvatiche e le lasciava crescere. Si assicurava che potessero crescere al meglio e dare i loro doni.

     

     

    Ora pensava a Cathérine, a quanto si fosse innamorato di lei. Quand’era successo? A quel tempo era ancora studente. Non lavorava ancora in azienda. Chi ha tempo d’innamorarsi davvero, in azienda? Qui al massimo si fanno battute sulle donne. E i più audaci le fottono negli spogliatoi o nei gabinetti. Tutto in fretta…

    Cathérine! Quand’era che venivo a guardare il modo in cui coltivavi le tue piante? Mi facevi innamorare, ma volevo diventare consigliere delegato, esperto project manager, fare carriera. Il mio master alla Bocconi, Cazzo, Cathérine, ero tra i primi, quell’anno, alla Bocconi.

    Mi sono perso qualcosa, strada facendo, Cathérine.
Lo sento. Ma corro sempre. Mi rado, faccio la cacca, prendo il cellulare – lo yogurt, quello non lo dimentico – e poi, via, in auto, nella fascia oraria più impossibile del giorno…

     

     

    AVvXsEgk5ZH2nJt4dU7TbUASnGw3J4RuanJhJ2AP2CvmzQmUNnbhOON1Q4jr_9z35N_qNofWiC4B7cV4JgDnJ4NXhLZ9Y5u9ZMcuUdYrMCI8h0W37HPaJIIwpQNUXX3ZrDZMdlCdgsUaFDE5C6v4hpjr9QedKTKjj6RR101QLpPzVsI9766g5nPdxBkybjr9Zg=w480-h640

     

     
  3. K. aveva lunghe unghie affilate e taglienti e scavava tane nella carne. Aveva una casa di mattoni e cemento, tende di lino dietro alle finestre, un soffitto bianco sopra la testa ed un’auto lucida con cui spostarsi ma non è questo il punto. Nonostante tutto, nonostante tutti i suoi averi, di notte o nelle pause pranzo, usciva, come uscisse da se stesso, si affilava con cura le unghie rapaci e scavava tane nella carne, come un coniglio, una talpa, come un topo.
    K. era senza posa, in perenne ricerca di un rifugio, di una consolazione, di una conferma, di un plusvalore, di giuste reazioni oltre le recinzioni, di inediti rituali, di occasioni occasionali, di brandelli di ideali, di incerti lacerti, di confini affini, di un motivo di resa o di vittoria.
    K. scavava e scavava forse in cerca del centro della (sua) vita dove trovare almeno un frammento di nucleo ancora tiepido e scovarvi un po’ di pace o di effimero silenzio, perso tra la via dello zenith ed il nadir.
    K. era un animale selvatico, aggressivo ed impaurito con gli occhi di latta e lo sguardo di latte che scolpiva e scandiva ogni notte. Un animale acquattato nel bosco dei giorni, con i muscoli in tensione, pronto a scattare, ad inarcarsi, a venerare, pronto ad esercitare la sua personale raccolta indifferenziata di emozioni.
    Ed io sentivo, dentro di me, le sue zampe cieche ed i suoi occhi ansiosi, le tempie protese e le narici pulsanti andare sempre più a fondo senza trovare un fondo, e vedevo cumuli di carne smossa ovunque, in un eterno rimestare, calpestare, mescolare e confondere.
    Poi ricordo di essermi chinata per stringere un po’ di quella carne ormai morta nel mio pugno socchiuso, e infine lasciarla lentamente scorrere via per gravità, verso il basso, tra il palmo e le dita in un lieve ed impalpabile fruscio.

    IMG_0742 3.jpg

  4. Ci siamo. Comincia la settimana e comincia il mese.

    Fermati. Fermati un momento, altrimenti il tempo scivola via troppo in fretta e tu rimani sempre in una sorta di presente iperbolico.
Voglio sentire il tempo che scorre, come l’acqua del torrente sulla pelle. Voglio che gli eventi abbiano il tempo di realizzare una presa su di me, che si trattengano un poco, quel tanto che basta per sentirne il sapore, e la successione.

    C’è stato un tempo in cui ero sempre incazzata con la vita e con gli eventi. Era una continua rottura di palle. Il mio corpo e le mie smorfie sembravano dire a chiare lettere: lasciatemi in pace!

    Mi sembra la vita di un’altra.

    Adesso, ogni minuto, vedo una corrente di vita stracolma che mi viene addosso, mi accarezza, e mi chiede di giocare. Ora accolgo gli eventi come una vela aperta raccoglie il vento. Li lascerò andare, certamente, ma cerco di trattenerli un po’ nelle mani, per sentirne il gusto, per goderne la successione.

     

    Ricordi, quando mi accarezzavi le ascelle?


    Io mi chiedo: c’è qualcosa di meglio che farsi accarezzare le ascelle?


    La luce di questa primavera produce una radiografica dell’anima.
Tutto è limpido – terribilmente limpido – al tramonto del sole.


    La mia stanza è un poligono di luce, verso Occidente.

    Mioddio! Sono viva.
Non riuscirò mai a capire questa cosa.
La mia stanza è traforata dalla luce.


    Ci sono mille pensieri.

    
E io cammino un passo dopo l’altro, credendo di andare in una certa direzione, Credo che ci sto andando. E succedono cose.

    Perché so di non sapere tutto questo?

     

    Facciamo tutto troppo velocemente. Anche l’amore.


    Eppure, quando mi accarezzavi le ascelle, era un volare via per altri mondi, e sentivo che il desiderio amava rallentare.

    Che avventura straordinaria!
 Sono stupefatta.
 Che debbo fare? Pregare? Rendere grazie? Cantare? Ballare?
 Sembra tutto, lì dietro, a portata di mano… eppure, ancora inaccessibile.

    Certo, desidero far fortuna, avere successo. Conosco l’importanza del denaro e della buona fama. Ma c’è qualcosa che mi sfugge, e che… Qualcosa che mi sfugge, eppure chiama. Qualcosa che fa di tutto questo un mistero.

    Ah, viene ancora ad accarezzarmi le ascelle!
 Mi addormenterò così, stordirò la mia coscienza inquieta, in questo modo.

    Quando mi carezzavi le ascelle era aprire una porta su mondi che stanno oltre la tenda. Dove non so niente. E che pure mi chiamano.

     

    IMG_0658.JPG
  5. Come quando, di notte, guardi le stelle. E senti come tutto è immenso. Assolutamente fuori di ogni controllo. E tu ti domandi: ma che cazzo è questa cosa che chiamiamo vita? E la mia vita, cos’è? E ti rendi conto – immediatamente – che con tutta la tua intelligenza, la storia che hai alle spalle, la cultura, le scienze, e anche i tuoi tentativi di entrare in contatto con le forze divine… Insomma, che c’è qualcosa di essenziale che ti sfugge.

    E che è curioso, perfino paradossale, che con tutta questa voglia di vita e di sapere che ti trovi addosso per il solo fatto che sei sveglia e che vedi e che senti, che tu sia lì, come un allocco, consapevole che ti trovi solo sulla buccia di una sorta di coscienza…

     

    IMG_9943.JPG
     

     

     


     

  6. Cosa c’è là fuori?

    
Il giorno che comincia.

    Il cielo promette bene.


    Mi sono svegliata con la voglia di uscire. 

    Fuori è un campo colorato. 


    Anche d’inverno.

     

     

    IMG_5330.JPG