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Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. Tra i sassi, 


    in mezzo ai ciottoli più grossi, 

    
su quel terreno arido e argilloso 


    era spuntato un fiore, 


    grosso, 

    
impacciato. 


    E dal suo tozzo stelo 


    scrutava il territorio 


    sbalordito. 


    Alzò lo sguardo 

    
e vide il sole.

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  2. Capovolgi un ombrello e avrai una barca.

     

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  3. Settembre: il fresco, i cinema che riaprono, le lenzuola  un po’ più pesanti, le felpe leggere la sera. Tutto ciò ci suggerisce che ogni cosa va avanti, che deve andare avanti in qualche modo. I rituali gesti estivi sono ormai conclusi. Settembre si apre a nuovi gesti e i nuovi gesti generano una strana forma di dimenticanza.
     
    In fondo l'essere felici serve ad un sacco di cose (alla nostra pelle, per dire… è più luminosa) ma soffrire non serve proprio a nulla. Un po’ come le zanzare, a che cosa servono? O le cimici, peggio ancora. Quindi perché ci ostiniamo a soffriggere nel soffrire!? Il soffritto fa pure male.
     
    Stanotte c’è una pioggia sottile che bagna ma non bagna, e camminare per i vicoli stretti senza ombrello non è male, pensando a tutte le persone che ci sono ma non ci sono, proprio come questa pioggia qui.
     
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  4. Ho voglia di correre ma mi fermo volentieri ogni tanto.
     
    È allora che sento che sono.

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  5. Certamente! I momenti più belli sono quelli della “zona”. I momenti in cui gli incanti escono dalle mani. Chissà dov’è il cuore in quei momenti? 

    E saprei dire esattamente, con efficacia, quello che provo? E conta molto?
Vengono in mente fantasie che non stanno con i piedi per terra. E le lasci fluire negli spazi di quella geografia che chiamo “altrove”, per qualche motivo. Ma che è qui e ci sei dentro. 

    I momenti in cui le cose nascono. Uno pensa: è questa la logica della creazione? Che non sai niente prima e solo dopo che le cose sono venute alla luce ti rendi conto che è successo?

     

     

     

     

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  6. Ti guardo negli occhi, amico mio, e sento musica.


    Musica è la parola.


    Musica che entra dentro, come un soffio d’anima.


    E mi entra dentro.


    E ci resta.


    A lungo, amico mio.

     

    E si cammina – nei ritagli del tempo

    
Sui sentieri del parco più vicino.



    Si cammina, nelle pieghe del tempo.


    Il tempo occupato dal lavoro e dalle strategie.


    Sarà questo il Sabato della vita?

    
Un sabato esiguo – sull’orologio della vita.


    Sui sentieri del parco…



    Quando siamo lì – nel tempo vuoto – sembra tutto strano.


    Ci vengono pensieri come uccelli tropicali.


    Come se la geografia del quotidiano fosse – di fatto – un paese straniero.


    Il paese di un altro – di altri – un altro paese.



    Perché camminiamo vicini,
sui sentieri del parco – dove corre tutta questa gente?



    Ti guardo negli occhi e sento questa musica.


    Mentre guardiamo, strabici, percorsi alternativi.


    Perché l’arte è entrata nel nocciolo caldo della nostra vita.


    Paradossi e contraddizioni non fanno che eccitare una prorompente vitalità.



    Dove guardano i tuoi occhi, amico mio?

    
E i miei?



    È questo il Sabato?



    Le foglie degli ontani dicono


    Che sono idee nuove quello che cerchiamo.


    Le incontreremo sui sentieri del parco?



    Guarda come corrono i bambini!

     

    E tu sorridi – indimenticabile.


    Quel tuo sorriso che viene dall’anima.


    E io penso: idee nuove, è questo che cerchiamo.



    Camminiamo nel parco più vicino.


    Un ritaglio di tempo – tutto qui.


    Ritaglio nel tempo del lavoro e delle strategie.


    Per un istante abbiamo visto come un altro paese.


    Il nostro?


    E ora?


    Siamo all’estero?

     

     

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  7. Troppa spiritualità, credi, t’ammoscia. 

    È meglio avere spirito e un paio d’ali, 

    molta letizia e muscoli di coscia 

    che saltino leggeri tra i mali.
    Ti stai a lamentare che i vecchi pesi 

    si sono volatizzati, sono morti, 

    che ti senti accecato dei valori 

    e che i sentieri nuovi sono storti.
    Ma non t’accorgi che sei più leggero? 

    Che ti puoi avventurare per il mare aperto? 

    Che puoi seguire col vento il tuo pensiero
    
e provare il piacere d’aver scoperto 
    qualche nuovo paesaggio dell’umano, 

    e del possibile qualche nuovo anfratto?
    
A me piace di più, non mi fa strano 

    che mi senta dal nuovo tanto attratto.
    E mi domando se non fosse mai 

    che da sempre questo dentro ci sia stato 

    e che i padroni, quelli che tu sai, 

    con sti grandi valori l’avessero castrato.

     

     

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  8. Forse Pollyanna è troppo…

    Tuttavia, anche se a volte l’ottimismo può farti sembrare stupido, il cinismo ti fa sempre sembrare cinico!

    Apprezzo molto, moltissimo il coraggio di un impegno positivo, creativo, entusiasta in quello che sei, che fai, che decidi di perseguire a modo tuo, a tutto tondo.
    È la forma più sensibile di idealismo: seguire la propria idea, il proprio sogno, scommetterci e darci dentro.
    Perché non è più tempo di prepararsi a vivere. 
    È tempo di vivere
    La vita è adesso. 
    Ora.
     
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  9. si parte di nuovo.

    Il tempo, un altro regalo.
    Soprattutto la sete e la fame che spingono al viaggio.
    La grande avventura nel fondo del cuore e un orizzonte promettente.
    Io faccio al mondo sconosciuto una preghiera e gli butto addosso la rete dei miei sogni.

     
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  10. Noi arriveremo all’isola del tesoro. Abbiamo il vento in poppa. Passeremo attraverso gli scogli, eviteremo le tempeste o le attraverseremo con determinazione bastarda. Abbiamo il coraggio di chi ha evitato la morte più volte. E ci siamo induriti nelle difficoltà dell’infanzia.

     

     

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  11. Ma il desiderio – come quasi tutto – si mostra ambiguo, ambivalente.

    
La faccia del desiderio che la cultura del risentimento fa propria è quella della mancanza. Si desidera qualcosa che manca. Se ci si focalizza sul lato della mancanza è la mancanza che si espande, nei nostri pensieri e nella vita vissuta. Anche se otteniamo tanto, non ci sarà mai niente che soddisfi l’infinita voragine di ciò che si desidera. Non saremo mai felici su questo versante.

    L’altra faccia del desiderio?


    È tensione vitale, vitalità appassionata, movimento del cuore che mette in moto le ossa e la carne. Energia che ti attraversa e che ti fa fluire.


    Che succederebbe se spegnessimo il desiderio come sembrano – apparentemente – suggerire certe filosofie?


    Che vita sarebbe una piatta quiescenza nel nirvana?

    Cosa sarebbe la mia vita senza i miei sogni?


    Per uscire dalla trappola della cultura del risentimento bisogna rivolgere lo sguardo sul lato vitale del desiderio. Desiderare e sognare ora, qui, adesso. Capire che la vitalità del desiderio adesso è la qualità migliore del mio presente.


    Hai visto mai dei grandi uomini e delle grandi donne che non fossero infiammati dalla passione?


    Hai visto mai grandi realizzazioni che non fossero il parto di sogni coltivati con testardaggine?

     

     

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  12. Sono innamorata della parola. La parola sa dire i pensieri e le emozioni con una lucidità che soddisfa la mia mente. 
Ma la parola che amo di più è quella che è capace di evocare il pensiero nel momento stesso in cui le dita si muovono sulla tastiera. 
C’è questa sorta di comunanza tra la mia fotografia e il mio modo di scrivere: l’immediatezza. Le cose nascono nel momento stesso in cui le mani si muovono.
 È una magia a cui è affidata la mia vitalità.
 Credo che sia una cosa imparentata con il jazz. Anche se non so dire perché.
 Sento che fotografia e parola non sono due binari paralleli. C’è un legame segreto tra loro. Che però non è visibile. 
Sono impegnata a tenere insieme questi due dimensioni espressive, ma senza subordinare l’una all’altra.

     

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  13. Piccoli segnali che avverto all’interno.
    Che infiltrano suggestioni di rinnovamento. 

     

     

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  14. Uccidere è come tagliarsi le unghie dei piedi: all’inizio solo il pensiero ti rende pigro, ma quando cominci a tagliarle ti accorgi che fai molto più in fretta di quello che avevi pensato. Poi credi che passerà parecchio tempo prima di rifarlo, ma quando meno te lo aspetti sono ricresciute.


    Da Kika, Pedro Almodovar

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  15. L’arte di generare ora le mie energie e la mia fiducia è un atto creativo decisivo. Perché si tratta di rompere la linea di continuità del tempo – il prodotto entropico del passato – e di irrompere trasversalmente con un nuovo inizio.
    Era il mito dell’Araba Fenice, che risorgeva dalle proprie ceneri.
    Oggi sappiamo che è possibile.
    È il modo giusto di essere nel presente.
    Il presente non è quello che capita. Ma ciò che ne facciamo.
    La creatività non è questo?

     

     

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  16. – Sonia, l’occhio mi cade sulle tette.

    – Cazzo dici?

    – Porti sempre queste scollature… mi aspetto da un momento all’altro che tutto  scivoli giù e che spuntino sul palcoscenico due tette sguinzagliate. Mi rendo bene?

    – Tette al vento… dici tu… qualcosa del genere?

    – Io dico che la vita è come un aperitivo.

    – Spiegati un po’.

    – Va di moda, no?

    – Dappertutto.

    – Un aperitivo è la stimolazione dei succhi gastrici…

    – Vuoi dire: in attesa di un pasto, una cena, un pranzo.

    – Si dice così: prendiamo un aperitivo?

    A quei tempi, l’aperitivo non era più l’apertura di un processo che portava al pranzo vero e proprio. Gli storici sottolineano il fatto che l’aperitivo poteva tenere il posto della cena. Tutta quella gente, dopo il lavoro, in attesa di una serata speciale… Andiamo a farci un aperitivo? E, lo sai, all’aperitivo tu trovi tre primi di pasta, alcuni bocconcini con formaggio, melanzane, peperoni sott’aceto, e funghetti sott’olio, mortadella tagliata a cubetti su una base di focaccia, un assaggio di salumi della Valsugana e vini in calice garantiti in qualità dalla promozione…Non dimenticare le frittate…

    – Sonia, è una vita che ti voglio scopare…

    – Cazzo dici?

    – Dico che la vita è un aperitivo. Hai il solletico di quel che significa vivere. Ti viene una voglia matta di fare un pranzo pieno della vita. Ma è come se, sempre, solo, ti fermassi all’aperitivo. Sentirne il gusto, l’attrazione – come le tue scollature…
Ma quando si mangia davvero?
    Sonia cammina leggera.
    Il vento le scompigliava i capelli.
    Da sola, camminava sul prato.
    Pensava: la vita è un aperitivo. Senti il gusto, l’attrazione, il richiamo… ma non è ancora il pasto. Forse stiamo andando da qualche parte. Ma io, dove voglio andare?

    Io, ho forse paura di volare?

     

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  17. Non sono onnipotente. Non sono Dio.

    Ma certo il dio mi ha dato uno spazio per essere. Per navigare la mia rotta. Per disegnarla con le mie dita.

    Con lo slancio della mia passione la disegnerò. La sto disegnando.

    E soffierò sul fuoco quando la fiamma accennerà a smorzarsi.

    È la vita che voglio scoprire. Come una bellissima dama voglio svelarla e che mi mostri il suo giardino segreto.

    Il mio amore è la vita.

    Niente che sia basso, grigio, appiattito. Voglio che tutto sia poesia, intensità e gioco.

    Se piango voglio farlo da disperata. E se rido, esultare come una folle. 
    Solo occhi grandi, sgranati, per me.

    Non occhi cisposi.
     
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  18.  – Guarda la luna. È per tutti, ma si rivolge a te, come se fossi l’unico. L’universo è così. Indica a te che sei il centro del modo. Tocca a te inventare il tuo mondo. Non attendere le stelle, o l’oroscopo. Non attendere più. Non hai fatto che attendere. Ora basta. Non attendere. Decidi.

    Prenditi cura della tua vita. Abbi fiducia. La luna ti suggerisce di aver fiducia. Credi che la luna parli a te. Che gli eventi siano rivolti a te. Che tutto quello che ti capita sia un dono per te.

    Smettila di lottare con gli eventi, con l’esistente. Immagina che ciò che avviene sia Dio stesso, il tuo Dio. E che tu possa fare il mondo a modo tuo.

    Questa fiducia è la base di tutto. La fiducia: che puoi immaginare il tuo mondo. La decisione: che dipende da te portare bellezza e senso.

    Abbi cura di te. Perché l’universo ha il dito puntato su di te. Tu sei la cosa più importante. Sii all’altezza. Non aspettare più. Deciditi. Prenditi cura. Il resto verrà da sé.

     

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  19. Forse questo voleva dire il vecchio Aristotele quando affermava che ogni uomo è filosofo.


    Questa inquietudine che genera domande sull’essere, su come essere, su come rispondere al desiderio di vita.
    Forse. Non so. Lui era un altro. E io sono io. Il desiderio di vita è il mio. Quello che agita e muove questa faccenda strana che chiamo Io. Che chiamo la mia vita.

    Ultimamente il fato, o che so io, mi ha condotto all’incontro con la disperazione. Il nucleo denso e oscuro che ho chiamato disperazione. E per cui ho costruito nel bosco uno spazio apposito. Perché mi parli. Per sentire il suo richiamo. Per farmela amica. Per farla maestra e guida.

    Questo ho deciso, nelle mie congetture arbitrarie: che il nocciolo della disperazione è più amica della vita del sedersi gongolante sulla dolce meringa del già fatto, del già realizzato, del già raggiunto.

    Chi mi dirà come uscire dai confini? Chi mi spingerà ad esplorare nuovi territori? Chi, se non la disperazione, potrà rivelare ciò che ancora desidero perché la vita sia piena?

    Ecco che nel punto più oscuro e inquietante di me trovo lo spazio della rivelazione. Nel punto più doloroso, la fonte della speranza. Nel luogo più contratto trovo gli spazi più aperti – indicati, potenziali, dotati di un appello irresistibile.

    Dove sarà il mio Dio? Forse nelle brezze della sera, mentre la luce calante inonda le fronde dei pioppi? O nell’albeggiare rugiadoso del mattino, quando il corpo sente bisogno di fuoco per fronteggiare le temperature autunnali?

    La voce del mio Dio è racchiusa come in un gomitolo negli antri poco illuminati della disperazione.

    La voce della società è ormai la voce del mercato. E la voce del mercato chiede prodotti. La voce della filosofia chiede di essere, e di fare cose che siano espressione dell’essere, ricerca dell’essere.

    Nel bosco io vivo in uno spazio intermedio: lontano dal mercato e più vicino al fare che esprime il desiderio dell’essere.

    
È il luogo in cui il samurai si esercita.


    È il luogo in cui il principe medita.


    È il luogo in cui fare e ascoltare possono congiungersi senza pressioni e distrazioni.

    Oggi, nel bosco, esiste un luogo della disperazione. Un tavolo chiamato “bocconi amari”.
 È lì che mi chiama il mio maestro.

    Che farò domani? Mi domando io.

    
Che farai adesso? Dice la disperazione.

    
Cosa puoi fare adesso per rispondere al desiderio di vivere, di essere pienamente viva?


    E smetto di giocare al solitario per ingannare il tempo.


    E il tempo è nuovamente mio: il mio spazio di ricerca, di lavoro.

    Ma chi sei, Disperazione, per avere tanto potere?
“

    Sono il potere di ciò che ti manca”.

    
La mancanza non è il segno di un fallimento, né motivo di pianto. La mancanza è il pungolo vivace che mi riporta a me stessa, che sfronda le quisquilie. La mancanza è la voce del Daimon – se si vuol dar credito alla mitologia.


    Io vado a braccetto con la mancanza. Mi rende giovane. Che fanciulla affascinante! Perché certo mancanza è madre di Eros. Ed è lei che suscita in me intraprendenza.

    Che venga domani, dunque, con le forze rinnovate dal riposo.


    Per disegnare con mani fresche e passi di danza nuovi luoghi dell’essere. 


     

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  20. Questa gioia d’incominciare la giornata, al risveglio.

    Il piacere della mia casa vascello per navigare l’oceano dell’essere.

    Un cielo terso, fuori che promette sole e aria fresca.

    Continuo a lavorare al miglioramento di me. Alla creazione di me. Mi servo di questa sorta di specchio che si crea nella riflessione.

    È lavorando su di me che incontro gli altri più a fondo.

    La comunicazione è come muovere le gambe seduti ai bordi della stessa vasca: immersi nel medium che ci collega.

    È quello che sono che arriverà agli altri, non quello che recito. Spalancherò gli occhi per vedere la bellezza negli altri, per nutrirmi e godere la vita.

    Non credo più da tempo nella critica costruttiva.
    È avvenuto da sé.
    Preferisco il lavoro di produzione di proposte, alternative, nuove interpretazioni, idee...

    In questa prospettiva scoprire la realtà è un po' inventarla.

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  21. Non scrivo per forza. Scrivo solo quello che emerge dal cuore e chiede di essere condiviso. È facile riconoscerlo. Io sono presente. E ho gioia da questo sentire la vita, nel mio respiro, nel desiderio che affiora, nel canto degli uccelli, nel fragore del torrente, nella brezza tiepida che entra dalla finestra aperta, dal sogno che avvolge ogni cosa, dalla fiducia che fiorisce da sé in questa meravigliosa isola di pace.

     

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  22. Una cosa è certa: mantenere la fiducia, riprendere il cammino con quella forza interiore che osa sfidare ogni negativo.
    Sfidare il negativo – che siano eventi, che siano persone.
    Iniziare con il rafforzamento della fiducia.
    La fiducia non è entropia. È creazione, innovazione, iniziativa.

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  23. Ho voglia di qualcosa di nuovo. Il bisogno di essere libera dal contorno, libera dalla somiglianza, libera dal riconoscere qualcosa che è già nel nostro immaginario.


    Per dire cosa?


    Non so ancora.


    Per adesso mi vengono in mente gli avverbi.

    
Vorrei fotografare gli avverbi.


    Gli avverbi sono quasi tutti parole che fanno riferimento al modo. Il modo in cui si vivono le cose, il modo in cui si fanno le cose, il modo in cui si percepiscono le relazioni tra le cose.

    Io so come voglio il modo. So quali avverbi prediligo. Ma voglio spaziare. Come in una sorta di intrattenimento, una carrellata di avverbi, tanto per saggiare, come quando si tastano i dolcetti, i gelati, le confetture.

    Sarà una fotografia nuova?
 È possibile. Oggi sembra vero.


    Perché ci sono giorni esplosivi. E oggi è uno di questi.

     

     

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  24. Voglio cercare la gioia fin dal mattino. 


    Caricare lo spirito di leggera saggezza.


    Percorrere uno dei sentieri che accudiscono il respiro. 


    Essere lieta della mia ignoranza. 

    
Creare con le mani in tasca.

     

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  25. Quando sto male – come tutti – piango, prego, mi inquieto, dispero, mi abbandono, mi arrendo e mi do da fare.
    Riuscire ad isolarmi nell’adesso è come rannicchiarmi attorno alle mie ferite. Aspetto che passi – se passerà – risparmiando le forze.
    E riesco a trovare anche una certa pace. Mi accontento di essere. O di essere stata.


     

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