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Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. Una passeggiata nel parco. Dove il silenzio è musica. 

    Il canto degli uccelli. Pensieri come farfalle deliziose e l’ombra è colorata. 

     

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  2. Ci sono pinete lungo i sentieri
    dove hai il conforto dell'ombra
    e ti carezza la brezza salmastra del mare.
    Ci sono persone come pinete,
    come te.
     

     

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  3. Che mettendoci passione e inventare con libertà renda la vita più gioiosa e avventurosa è un’immaginazione scommessa che, per me, si è rivelata vera. Cioè, ha prodotto proprio ciò che aveva immaginato. È vera a posteriori.


    La verità non è solo ciò che è, ma anche ciò che avverrà. La verità non è solo un dato di fatto, ma anche il prodotto di una cura.


    Se ci sono verità di cui si deve prendere atto, ci sono anche verità che vanno prodotte. 

    Che l’uomo potesse volare, comunicare a distanza, è stata una cosa non vera per moltissimo tempo. Poi è diventata vera.


    Si può certo stabilire con esattezza ciò che non c’è. Ma chi può porre dei limiti a ciò che ci sarà?

     

     

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  4. a non crederci. Ma questo è possibile. Dal mio balcone vedo il mare! Qui non manca nulla rispetto alle Maldive. Ho l’ombra fresca e la ventilazione, il tavolo e l’acqua ghiacciata con il succo di limone. Una montagna di libri e una miniera di fantasia. Il punto è che mi voglio bene e so che trattare le mie risorse personali, della mente e del corpo, con grande cura è un presupposto decisivo al pari, e probabilmente più, del trattare con la massima cura il rapporto con il mondo. La mia avventura mi ha insegnato questo principio che ho impresso nella zucca con un tatuaggio a fuoco.

     

     

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  5. Ma, all’inizio, c’era del dolore. Un dolore forte e lancinante.
 Succedeva quando l’uomo o la donna che avevamo amato ci lasciava. Senza peraltro capire perché.
 C’era dolore dell’anima. Forte, lancinante. Come quando la società e il mercato sembravano dirci: non c’è spazio per questo. E noi avevamo in cuore desideri e sogni che sembravano la vita.

    C’era dolore. E il dolore stesso ci spingeva a uscire, a salire qualche gradino della scala. Se non volevi morire, finire schiacciato sotto un peso insopportabile.

    Il dolore è dolore, non c’è santi…
 Il dolore del corpo assorbe le forze, il dolore dell’anima esaurisce le energie della vitalità: la fiducia, la speranza, la gioia di vivere. Entrambi possono uccidere.

    Ma il dolore è anche una reazione vitale e mette in moto le risorse estreme, quelle fondamentali. E superare la prova del dolore rende più forti, più coraggiosi, alla fine, più umani.

    Il dolore diventò nostro amico. Come le nostre imperfezioni.
Avevamo coltivato sogni, li avevamo coltivati con cura. Avevamo immaginato scenari in cui i nostri sogni avrebbero danzato. C’era il dolore. Il dolore di constatare che le cose non stavano in quel modo.

    Noi diventammo esperti del dolore. Del dolore dell’anima.
 Il dolore c’insegnò la via della vita.
    Smettemmo di pensarci in continuazione, non appena recuperavamo un po’ di fiato. Ci affidammo a una provvidenza misteriosa, che ci offriva intelligenza sulla nostra vita. Fummo capaci di ammettere ciò che sapevamo da tempo ma che non riuscivamo a confessare: che, così, non eravamo felici. E che dunque la felicità la dovevamo cercare altrove. Da qui a lì!


    E quando uscivamo da quei territori oscuri, da quei viaggi nell’oltretomba, e quando riuscivamo a intravedere i nuovi orizzonti nel territorio aperto, allora finivamo perfino per benedire il dolore che ci aveva visitato. E cominciava la vita. Un’altra volta.

     

    Magda era stata lasciata. L’amore della sua vita sembrava perduto. Si era allontanato, perché? Si sentiva deprivata dei suoi sogni, risucchiata da una sorta di mulinello che la portava a fondo. Tentò di resistere, di contrastare la spinta, di lottare contro la corrente. Non voleva provare quei sentimenti dolorosi. No, non voleva sentire. Poi si rassegnò. Accettò di patire. E si lasciò attraversare dall’ondata amara. Passò un tempo senza data. E non morì. Si ritrovò ancora viva, alla fine della pena.

    Non era morta. E ora che se ne rendeva conto, gli orizzonti della vita erano nuovi. Il richiamo del desiderio era fresco e genuino. Il suo cuore si era allargato. E poteva fare, con maggiore libertà, quello che voleva.

    Il dolore non l’aveva resa cinica. Al contrario, era stata come lavata da incrostazioni illusorie, e si ritrovava fresca e più giovane ad ascoltare il richiamo di quella prospettiva straordinaria che aveva a portata di mano.

     

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  6. Conosceva bene quella strada che porta al Borgo Alto.

    La percorreva ogni fine settimana per andarlo a trovare.

    Ora la guarda da lontano, percorrendo la statale.

    E sorride…
     

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  7.  – Smettetela di rigirare il vostro passato, di riscriverlo da capo a piedi.
    È ora di lasciare i vecchi porti. Voi avete dentro un dono. Coltivate quello. Guardate dalla finestra, verso Oriente.
    Se siete donne, sappiate che anche i vostri genitori, che vi amano tanto, pensano che vi dovete sacrificare. Non credete loro. La vita non chiede sacrifici, ma slancio e coraggio.
    E se vi siete attaccate a uno stronzo, lasciate che vada alla deriva.
    Voi avete il cuore grande.
    Non lasciatevi incatenare.

     

     

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  8.  

     
    Fuoco silvano
     
     
    Incendio d’autunno.

    Il bosco e l’acquitrino.
    Il carice, gli sfagni, assonnati 

    nelle pozzanghere basse.
    Gli alti fusti, di sopra, 

    guidati dal gusto della gioia 

    con mosse elettrizzanti.

    Il sole vi penetra ubriaco 
    
in giochi pirotecnici.
    In regalo parole schiette 

    per gesti intimi di passione. 

    Parole col potere di cambiare 
    
il consueto punto di vista.

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  9. Dove devo andare?

    E come posso sapere tutto fin dall'inizio?
    E sono sicura di desiderarlo davvero?

    Il tempo sarà un'illusione - come vuole Einstein - ma io ci devo passare attraverso.
    Mi capita d'incontrare vie di fuga, momenti di tempo senza tempo. Dove intravedere quella pienezza che mi chiama.
    Ma solo intravedere. Frammenti di luce.

    E il tempo non è solo l'orologio.
    Il tempo è il mio sentiero, il mio viaggio, nella geografia che mi viene incontro.

    È andando che imparai dove dovevo andare.

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  10. In una giornata autunnale come quella di oggi, perché non “Fiori di pesco”?
    Nell'altro emisfero, non è primavera?

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  11. Ed esci un po’ fuori strada – voglio dire: dalle strade più battute, quelle che fai di solito.
    Perché?
    Ti è venuta voglia di rallentare. Vuoi cominciare a guardarti attorno, vuoi godere un po’ del panorama, delle cose, ascoltando le emozioni dell’anima. Hai fatto questa strada mille volte, sempre pensando soltanto alla meta. E a correre…
    E ti rendi conto che non puoi rallentare. Per quello che desideri non servono i limiti di velocità che sono disseminati lungo gran parte del percorso. Hai comunque sempre qualcuno attaccato al culo che sbraita e gesticola perché gli freni la corsa.

    All'improvviso ti trovi su una strada tutta curve, stretta, ma ben asfaltata, che s’inerpica tra i monti, costeggiando i dossi e seguendo il movimento delle vallate.
    Non incroci nessuno. Nessuno ti sta alle calcagna. E finalmente viaggi davvero. Rallenti quanto è necessario a vedere e lo spettacolo è straordinario. Ti lasci colmare il cuore dall’emozione della bellezza, la suggestione delle ombre dei boschi, gli squarci paesaggistici improvvisi alle curve, le case arrampicate su pendii incredibili…
     

    E ti ritrovi a sognare di vivere diversamente. Un mondo alla rovescia, dove non è la vacanza a infilarsi nei buchi lasciati dal lavoro, ma il contrario. Dove non sono i giardini a sistemarsi attorno alla casa, ma la casa nel mezzo di un parco.


    Il finestrino spalancato, ti rendi conto della potenza terapeutica straordinaria della natura e del bisogno che ne hai. E ti lasci incantare dalle suggestioni che ti evoca nell’anima e per il tempo dell’incanto sei uno che va per mare, o su una mongolfiera, o insegue il sole sulla carovana di gitani…
     

    E quando sei arrivato, la magia continua ancora, e ti ritrovi rigenerato, almeno un po’, per affrontare i compiti e i doveri – … semmai un giorno tu possa spezzare totalmente le catene e andare…

     

     

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  12. Mi piace raccontare storie. In definitiva riesco a raccontare bene solo storie che mi riguardano. Che rientrano nella mia storia.
 

    Ma il gusto che provo nel raccontare storie non è solo estetico. Rifletto sul fatto che ogni vita è una storia. La mia. Ma anche quella di ognuno dei miei interlocutori. E arrivo presto alla conclusione che raccontare la propria storia è un modo per fare della propria vita una storia. Infatti, c’è il rischio di dispersione. Mille cose da fare, tanti eventi che accadono. Molti eventi attesi che non accadono… Tutto questo potrebbe disperdere. L’attenzione e la vita. Immagino che lo potrebbe. Oppure fornirebbe materiale solo ad una storia raccontata da un altro. Ma che tu racconti la tua storia è un’altra faccenda. Vuol dire che hai intenzione di vivere una storia.


    Raccontare la tua storia presuppone che tu voglia esserne il protagonista. Che tu voglia una vita a modo tuo. Che tu sappia trovare o inventare un filo conduttore che attraversa tutte quelle molte giornate, tutti quegli innumerevoli eventi, che ti senti dietro le spalle. E anche che, nei momenti di stallo, tu non pensi che sei niente, ma che, anche quando non lo sai, delle cose accadono che ti riguardano.

    Una volta le storie si potevano raccontare solo alla fine. La fine, l’ultimo capitolo, è in realtà il momento in cui si può vedere il filo rosso che ha collegato gli eventi.


    Ma esistevano anche i diari di viaggio. Ed erano storie. Nel diario di viaggio si parte sempre dalla fine, ma dalla fine che ancora non è avvenuta. È la fine desiderata, il sogno che si vuole realizzare. Nel diario di viaggio, sappiamo che siamo partiti per andare là. E raccontiamo quello che oggi è avvenuto in rapporto a quella nostra meta.

    Ed è un po’ di questo genere la storia che io racconto.


    Ho deciso di arrivare là. Ho un mio sogno. E racconto quello che accade alla luce della meta che mi sono prefissa.

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  13. Probabilmente l’abbiamo intuito la prima volta che ci siamo innamorati. Ma poi anche dopo, quando abbiamo visto il primo film, o abbiamo cominciato a dare la colonna sonora alla nostra vita con i nostri CD, e ancora con il computer, e certamente quando abbiamo dipinto, composto musica, imparato a ballare, realizzato il primo viaggio all’estero, la gita in barca a vela, o l’immersione sub, o il primo volo…

    Un sacco di circostanze che ci hanno immesso quasi del tutto naturalmente nella dimensione del fantastico. Dove già ci preparavano ad entrare le nostre fantasticherie prima di addormentarci da bambini, o ci tenevamo le palpebre aperte per seguitare a leggere il romanzo d’avventura. Perché tutte queste cose sono nostre fantasie realizzate. Sogni realizzati.

    È in quelle circostanze che abbiamo sentito un richiamo irresistibile – anche se abbiamo resistito lo stesso. La vita non è condannata al grigiore, alla monotonia, alla stasi.


    La scelta dell’arte è proprio questa: credere nel sogno che prende forma. Credere che la materia del quotidiano, così come il progetto di lunga durata, possano diventare fantastici.


    E si capisce che questa realtà fantastica nasce nella forma di un incontro folle – in rapporto a ciò che pensiamo voglia dire essere ragionevoli – tra noi e ciò che c’è. L’arte è coltivare le condizioni di questa follia. Innanzitutto decidendosi per essa.

    Ma non possiamo ignorare il ruolo che ha avuto la scienza, la tecnologia, nella realizzazione dei sogni. Icaro ci provò con le penne posticce, ma la cosa non funzionò a dovere. I nostri aerei moderni cadono anche, ma sono più efficaci delle penne di Icaro. La televisione, la radio e il telefono mi consentono di superare spazi, vedere e sentire via etere. Certamente è un sogno realizzato. Soprattutto perché non esige virtù paranormali ed extrasensoriali. La tecnologia, e la scienza che implica, hanno ottenuto questo.

    Questo mi fa pensare.

    
Mi fa pensare che a volte cerchiamo una strada magica alla maniera infantile.

    E mi dà da pensare anche questo: che oggi riscopriamo il corpo, l’importanza della sua manutenzione, della sua energia, proprio grazie alla spiritualità, che ci spinge a respirare bene, a muovere le gambe e a ritrovare la forma e l’equilibrio.


    Tant’è che, spesso, la parola spiritualità mi sembra perfino eccessiva.

     

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  14. Il parco. l parco era il suo pensatoio. E il pensiero era la mente stessa del mondo.   E quello che nasceva lì scaturiva da un irresistibile sentimento della bellezza del vivere. Lavorare per fare della terra un giardino era il grande obiettivo. Bisognava allargare la conoscenza, era necessario studiare, progettare, inventare, con un orizzonte grande come il cosmo. La musica era la colonna sonora del lavoro. 

    E il lavoro era amore.

     

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  15. E salire piu su, ogni tanto, a respirare il cielo.

     

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  16. Che giornata!
 Sempre con la testa nelle nuvole. Una situazione in cui il solo vedere  il verde dei fiori e la luce del giorno è una grazia.


    Come quando sei un po’ brillo, dopo cena, e soffia il vento e tu ti rendi conto di vedere solo la punta dell’iceberg della vita.


    La bellezza di avere un tetto e pareti bianche e l’acqua corrente.


    Come ti senti piccolo e come senti grande lo spettacolo in cui sei stato gettato!
     

     

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  17. Là dove si perde tempo e si riesce ad ascoltare il sussurro del vento
    Vengono a galla i sogni
    Che sono la vera ragion d'essere
    Della nostra breve avventura nel mondo.

     

     

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  18. Chi ci spiegherà la vita?
    Spiegare la vita è troppo!
    Il desiderio di sapere fa parte di noi.
    Ma spiegare la vita è troppo!

     

     

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  19. Il silenzio del mattino è qualcosa che si ascolta.

     

     

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  20. il sorriso riconquista il cuore.

    E gli occhi corrono a scrutare il cielo.

    E le mani si rimettono in moto.

    E tutto si presenta davanti la porta.

    E c’è vento in casa…
     

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  21. Volevo imparare a pensare
    Sono convita che diamo troppo per scontato di saperlo fare.
    Di sapere cosa vuol dire.

     


     

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  22. Vibra il tempo, esce da niente,

    
strada piena di luce, stamattina,

    
desiderio intenso, anzi struggente


    rofumato di rosa alpina

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  23. L’inerzia mi trascina e mi lascio trascinare con oziosa beatitudine in un moto rettilineo uniforme. Una beatitudine un po’ incosciente forse, perché giù, giù dentro di me sento che così non può affatto andare. Nel mio profondo percepisco una oscura colpa che vorrei redimere ma allo stato attuale delle cose non riesco a trovare un squarcio nella mia quotidianità che mi faccia intravedere una direzione. E aspetto il redentore.
    Che tu sia per me il coltello” direbbe D. Grossman ed io vorrei un qualcuno-o-qualcosa-coltello che mi faccia a pezzetti. Sono ingabbiata nelle mie giornate tipo, scandite da ritmi tipo, dalle mie sveglie tipo, dai miei sonni tipo, dalle mie colazioni tipo…
    Mi chiedo, cosa ci vuole per cambiare ritmo!? O meglio a cambiare tempo!? Mi fermo un attimo, rifletto… voglio passare da un 4/4 ad un 7/8, da un tempo pari ad tempo dispari, da banali accenti in battere ad accenti in levare. Potrei, come no… mi dico. Mi inquieta il fatto che, voltandomi indietro, non riesca a percepire con chiarezza e definizione i giorni che si susseguono, giorni da catena di montaggio, uno per tutti, tutti per uno! Secondi-minuti-ore-mattinate-pomeriggi-serate-aperitivi-cene-pranzi-e-chipiùnehapiùnemetta. Praticamente sono racchiusa in un liquido amniotico esistenziale.
    Penso agli eventi determinanti che in qualche modo hanno dato una direzione alla mia vita, in che misura li abbia cercati o se siano capitati senza un mio disegno preciso - c’è chi si illude di essere l’artefice del proprio destino, io no. Posso essere l’artefice dei miei stati d’animo, quello sì, ma non è detto che uno stato d’animo cambi la realtà tangibile che mi circonda, magari rimane solo allo stato latente.
    Adesso ho lo stato d’animo del bradipo, con tutto il rispetto per i bradipi – non vorrei che si offendessero, anzi, nel loro ambiente hanno trovato la chiave giusta per sopravvivere, magari se andassero più veloci si estinguerebbero.
    E allora ho deciso. Rallento. No, no…troppo veloce. Più piano, più piano… voglio almeno godermi questo panorama.

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  24.  
    Guardo l’orizzonte e mi rendo conto della limitatezza di quel che so, di quel che faccio, di quel che sono. 
    Nello stesso tempo, l’orizzonte mi dà la consapevolezza del desiderio segreto di andare oltre, di allargare la mia conoscenza e la portata delle mie azioni.
    Il desiderio si precisa. 
    Essere più consapevole, conoscere oltre, guardare con occhi nuovi, trovare azioni che superino il piccolo orto dove mi trovo. 
    Esplorare il mondo, crescere ancora e trovare altri modi per contribuire.

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  25. In realtà era per parlare. Perché apprezzavo molto le tua compagnia quando settimana si andava a fare una scampagnata, mangiando all’aperto, nel bosco o sulla riva del torrente. All’aperto era tutto più energico. La digestione e anche i nostri pensieri. Ci sentivamo esperti di tutto, pur sapendo di non conoscere nulla nella maniera che avremmo voluto. Ma le nostre parole, quelle che ci scambiavamo l’un l’altro, avevano un grande potere: ci inducevano a pensare. 
Perché i pensieri non sono delle frasi incise sulla pietra. Sono momenti di un viaggio, di un cammino. Il pensiero vuole essere sempre vivo, vuole girare sulle cose con le sue capacità, e anche col senso dei sui limiti. E solo continuando a fare attenzione, a posarsi sui temi nei vari momenti della vita, solo così contribuisce alla vitalità del tutto. 
E quelle discussioni non volevano scrivere una Bibbia. Volevano farci pensare. Pensare all’aperto. Che è molto diverso che pensare al chiuso, nel proprio studio, o nell’ambiente di lavoro.


     

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