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Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. Ho sempre desiderato che la vita fosse magica. Nel senso della lampada di Aladino. Il ragazzo baciato dalla fortuna che trova la lampada con tanto di Genio, pronto ad esaudire i suoi desideri. Magari solo tre, ma con la possibilità di incatenare ancora il potere gestendo argutamente l’ultimo di essi…

    Quante delle favole da bambini contengono i doni magici concessi al protagonista! Bisogna essere in un certo modo per ricevere i doni? O c’è un arbitrio totale della Fortuna? E se tutto consistesse nel prendere coscienza che i doni magici li abbiamo già ricevuti? E che si tratta solo di usarli in maniera appropriata?

    Non desidero un’impresa con tanto di organizzazione, burocrazia e mansioni ben definite, orario di lavoro e procedure e protocolli…
Desidero scorrazzare di qua e di là, con una lampada magica nella bisaccia, essere conquistata dai tuoi occhi, incantata dai sogni, meravigliata dagli eventi, sorpresa dai risultati…

    Sto qui, a poche centinaia di metri dal fiume, vicino a una boscaglia amica… ma i miei occhi sono sul mondo intero. I miei pensieri nascono nel mio particolare e sbocciano sull’umanità nel suo insieme, fanno treccia con la mia microstoria e respirano le correnti d’aria che muovono la Storia.

    Tutti i giorni attraverso un ponte. È l’operazione fondamentale per il mio desiderio di senso. Da questa parte sto squadrando un cubetto di granito e basta, dall’altra sponda sto costruendo una Cattedrale.
 È la magia fondamentale. Ho i doni per farla.

    Ho conosciuto la passione e l’entusiasmo quando mi sono innamorata la prima volta. Da allora ho considerato quello stato d’animo come il prototipo della vita vera. Ho fatto di tutto per provare gli stessi sentimenti in ogni cosa che facevo. Non riesco a immaginare un senso senza la passione d’amore.

    Il mio cuore è diventato pacifico. Non lotto più contro niente e nessuno. Sono pronta a contribuire a ciò che nutre, che guarisce, che cura l’erba bambina.


    Mi piace lavorare sorridendo. È col sorriso che abbraccio i miei amici. È il dono che preferisco profondere ogni giorno.

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  2. Lo so che te lo sei fatto diverse volte questo discorso. Ora te lo riproduco. Ti ci riconoscerai. 
Ti sei detto quanto segue.


    Sono venuto al mondo senza averlo deciso. Non c’ero. Mi ci sono trovato. Un po’ per volta. Perché quando mi sono accorto di esserci c’ero già da tempo. E mi chiedo: che senso ha? 
Quando mi hanno detto che sono nato perché i miei genitori avevano fatto certe cose, beh, sì, qualcosa della mia venuta al mondo l’ho afferrata. Ma dal mio punto di vista, voglio dire dal punto di vista di una storia narrata dal protagonista, all’inizio, quell’inizio in cui all’improvviso tu ci sei stato – e prima non c’eri – e non te ne sei nemmeno accorto – e che te ne sei accorto più tardi come se la consapevolezza fosse un frutto tardivo dell’essere – beh, voglio dire che all’inizio, se tu volessi raccontare la tua storia, c’è un vuoto, uno strapiombo oscuro che ti tronca il discorso.
Tu sei comparso – te ne sei accorto dopo che questo era avvenuto – e non sai veramente perché, chi, cosa…

    Io ci ho pensato diverse volte. E rimango ogni volta senza parole. E a scriverci sopra ne uso tante proprio perché di fatto non ho le parole che ci vorrebbero. Questo mi batte in testa: mi sono trovata tante volte a raccontare di cose fatte, di avventure, di emozioni, di accidenti e di decisioni, insomma di cose che potrebbero riempire una storia…, ma a partire da un inizio in cui… io non c’ero e quindi che non saprei narrare.
 Io non posso finire di meravigliarmi del fatto che mi sono accorta di esserci e che potevo raccontare di me una storia quando già era successo che ci fossi, che venissi al mondo. Ma quella storia, quella che mi ha portato ad esserci, quella non avrei saputo davvero come raccontarla

     

     

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  3. Come fai ad andare a dormire quando i pensieri ti accendono l’animo?
    Vorresti fermare il tempo?
    No, vorresti che questo tempo non finisse mai.
    E temi che, addormentandoti, gli dai il permesso di cambiare.

     

     

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  4. Le nostre vite, per quanto modeste, contengono spunti decisamente interessanti. L’esercizio del pensiero durante una passeggiata in mezzo alla natura produce spesso idee capaci di aprire nuovi orizzonti per la nostra avventura umana.
    Sarebbe bello se riuscissi a scrivere soltanto per me stessa. Se non volessi così tanto essere apprezzato dal prossimo potrei forse pensare cose che mi fanno apprendere davvero.
    Molto spesso mi trovo a pensare a come salvare il mondo dai mali che lo affliggono mentre so così poco sugli effetti della digestione sul mio umore.

     
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  5. Sotto le nubi la città era incantata. 


    Un giallo senso di mistero batteva i rintocchi del tempo. 

     

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  6. Gli amici con cui sto bene sono quelli che hanno una storia da raccontare.
    Con lui voglio avere una storia.
    Con me – è questo il punto – io voglio una storia – la mia storia.

     

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  7. Comunque la cosa era interessante. Mi piaceva esserci e non facevo tante domande. Però per dirlo a parole, erano le parole inventate prima di me e usate da altri che mi si imponevano.
 All’inizio, non volevo imparare a parlare. Mi sembrava una forzatura. Una violenza. Io – fosse stato per me – avrei continuato a vivere senza parlare. Solo facendo e sentendo. In silenzio. C’era bisogno di dirlo?

    
La gente però parlava e sapevo che avrei dovuto imparare a parlare anch’io. Un giorno mi ci son messa d’impegno e ho incominciato a imparare le parole.
 Le parole sono grandi. Hanno un potere fantastico. Poi sono veramente tante. E combinate insieme possono fare frasi spettacolari. E possono perfino ottenere dei risultati, vale a dire, creare le cose che dicono.
 Sono diventata presto brava con le parole. E ho anche imparato a fingere, dicendo con le parole cose che non erano, soprattutto se riguardavano me.
 Mi sono anche accortoa che raccontando parole-bugie agli altri riuscivo perfino a ingannare me stessa. E di qui sono passata al teatro, dove le bugie si dicono sapendo tutti che sono tali. E quindi non sono più bugie.

    Io non credo nei miti, nelle favole e nelle leggende. Le trovo solo infinitamente affascinanti. E vorrei inventarne di indimenticabili.
 So che quello che dicono le favole è quasi sempre vero, in qualche modo.
 Con le parole vorrei fare centro nel bersaglio, ma senza usarle come fa il chirurgo in sala operatoria.
 Preferisco prima parlare e poi cercare di capire quello che ho detto, piuttosto che il contrario. Ma se è possibile, vorrei che dire e pensare coincidessero.
 So che le parole non si mangiano, ma aspiro a trovare da mangiare anche solo facendo parole. Però che siano parole che toccano il cuore e che rivelino qualcosa. Altrimenti non le sopporto.
 Anzi, penso che avvelenino


     

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  8. Di fatto la mia mente predilige la logica a posteriori: prima faccio qualcosa e poi capisco perché l'ho fatto... o comunque ci trovo mille ragioni!

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  9. Terrò il corpo snello e camminerò con gioia lungo la strada. 

    Guarderò oltre il canale, oltre la linea degli alberi e delle case. È da quella parte che mi spinge il richiamo. 


    Verrò a patti con quello che ho fatto, con quello che sono stata. 

    Siamo in molte qui dentro. 

    E diverse sono adultere e trasgressive. Ma tutte me.

    
Ogni giorno mi distribuisco in molte cose e poi mi ritrovo: un appuntamento segreto con me stessa.


    Ci sono ancora tante cose che attendono.


    Grata di vita, ho voglia d’avventura.


    Di buonora mi metto in viaggio, guardando oltre il canale.

     

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  10. Stanotte ho sognato un vecchio saggio, con il volto di James Hillman, che mi sussurrava all'orecchio: "Tratta tutte le cose come se avessero un'anima!".
    ... Sto facendo le pulizie di casa….

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  11. Non finivo più di sostare nella meraviglia, oggi. 

    È lì che lo stupore di essere al mondo si fa gratitudine intesa, mentre gli occhi si riempiono più che possono di cose. 

    E com’è bello avere più stimoli di quanti si riesca a digerire, più abbondanza di quel che si possa mettere in tasca! 

    La parola viene a mancare mentre il desiderio di dire si fa gigante. 

    E il cuore allarga i suoi confini, cimentandosi col Tutto. 

     

     

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  12. Semplice, per star bene dovremmo eliminare le cause dei nostri mali da dentro di noi, soprattutto.

     

     

     

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  13. Ti scrivo solo ora perché gli avvenimenti incalzavano e non ho avuto il tempo…


    Il nostro mondo è diventato sempre più veloce e mutevole, e l'abbiamo voluto noi, perché così è più bello.

    
Ci siamo resi conto che ci sono infinite altre possibilità.


    E stiamo addestrando il nostro corpo e la nostra mente a intraprendere una nuova navigazione.

     

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  14. Noi d'altra parte sappiamo benissimo che non possiamo tornare indietro. La nostra vita ci appare nel bene e nel male come una entità rivelata come un dogma a cui noi dobbiamo e sentiamo di dover obbedire. 
    Anche gli amori per certi aspetti sono cosi. All'inizio la scoperta di un mondo nuovo, una giungla piena di creature sconosciute. La nostra curiosità ci fa avanzare. Passo dopo passo lentamente ci affezioniamo alle cose, ai gesti, agli odori. Quando quelle cose quei gesti quegli odori diventano inaspettatamente abituali e risaputi è troppo tardi per tornare indietro indenni. Il prezzo dell'abbandono è il dolore.

     

     

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  15. Tutto scorre ma io sto ferma.
    In silenzio ascolto dentro di me.
    E lascio che quel che sento mi guidi.
    Così riprendo il cammino.
    Senza preoccupazione.
    Solo il desiderio.
    Non le voglie, il desiderio.
    E lascio che il desiderio mi guidi.
    E tutto accade.
    Io stessa accado.
    Piena di meraviglia.

     

     

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  16. C’è musica sulla strada.


    Un richiamo insistente, irresistibile.

    
Questa è l’avventura, la mia.


    Ho fatto dell’inquietudine il mio motore.


    Mi struggo ogni giorno.


    Non posso star seduta.


    Sono un arco teso.

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  17. Melanconia (dedicato a Claudio)

     

    Oramai ragionavo per metafore. E in maniera piuttosto sbrigativa. Per esempio, dicevo: “questa gente è vecchia”, anche se mi trovavo tra trentenni. Era presuntuoso, lo so. Il fatto è che avevo una certa inquietudine addosso. Non mi rassegnavo allo stato delle cose, né mi era più sufficiente coltivare una sorta di spiritualità. Mi sembrava che mancasse qualcosa di decisivo, qualcosa di fondamentale.
È come quando stai raccontando una storia che non è ancora finita. Una storia in corso di… e che, fino a quel momento, non lascia intravedere l’esito.

    Poi, c’era dell’altro. Malgrado il mio vigore fisico, avvertivo i segni dell’età. Il metabolismo era più lento, la fatica nei lavori del bosco mi lasciava nelle braccia e nelle mani una traccia a lungo sensibile. E mi sembrava che non fosse ancora il tempo di…
Insomma, il tempo passava. Il tempo era passato. Ne era passato tanto, di tempo, e ancora…

    Certo, ero in grado di elencare tutta una lunga serie di vicende, di fatti, di risultati, di conquiste, di esperienze che potevano placare un po’ la perplessità connessa con la domanda che m’interrogava perennemente sul valore della mia esistenza. Ma tutto quel passato era incapace di smorzare l’inquietudine che sentivo nel profondo – checché ne pensassero gli altri, in genere così generosi nei miei confronti.
Ad essere spregiudicatamente sincero, mi pareva, ancora una volta, che la mia vita fosse inutile.

    Non mi tormentavo per il male fatto. In realtà non ho mai fatto del male intenzionalmente a qualcuno. Anche se so di aver fatto soffrire e creato problemi. Ma non era questo. So che i piatti li rompe chi li lava. E ho sviluppato una sorta di compassione per quel che mi riguarda, sufficiente a non darmi rimorsi se nel mio viaggio ho urtato qualcuno.

    Era qualcosa di più struggente, di più profondo. E ne scaturiva quella sorta di melanconia che non si lascia tradurre facilmente in romanticismo e poesia, ma si trasforma piuttosto in una puntura lancinante proprio nel centro del cuore.

    Sapevo che si trattava di quella parte del Sogno che non era stata realizzata. Quella parte del Sogno che tutto il traffico del passato non era stato in grado di trasformare in realtà. Questa era la fonte dell’inquietudine.

    Erano gli altri ad essere “vecchi”? o non ero piuttosto io?
Io, che non mi ritrovavo più addosso la forza e lo slancio di continuare a cercare, a fare, a intraprendere?

     

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  18. I ragazzi vogliono far fortuna. E i vecchi sentirsi utili fino alla fine dei loro giorni. E qualche pazzo vuole tentare quello che non ha mai provato.

     

     

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  19. «Ma allora, cos’è che ti conforta?» «La certezza della mia libertà interiore, » disse lui dopo aver riflettuto « questo bene prezioso, inalterabile, e che dipende solo da me perdere o conservare. La convinzione che le passioni spinte al parossismo come capita ora finiscano poi per placarsi. Che tutto ciò che ha un inizio avrà una fine. In poche parole, che le catastrofi passano e che bisogna cercare di non andarsene prima di loro, ecco tutto. Perciò prima di tutto vivere: Primum vivere. Giorno per giorno. Resistere, attendere, sperare». Irène 
     
    Némirovsky, “Suite francese”

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  20. “Quello”. Aspetto quello. Cerco quello. Prego per quello.

    Ricordo quando ho scoperto il potere del pronome dimostrativo. “Quello!” È il primo gesto. La prima mossa. Il primo orientamento del cuore. Anzi, della mente. La mente ancora vuota di parole, di occhiali, di dettagli importanti. Dice: “Quello”. E già la prua della nave punta in una direzione.

    “Quello” è freschezza, è letizia, è una sorta di innocenza riconquistata, o ricevuta nuovamente in dono. Una seconda innocenza. Quell’innocenza che ti visita da adulto o da vecchio. Ha tutto il sapore della consapevolezza. Ogni suo aspetto diventa piacevolmente esteso e tonificante. “Quello”.
    “Quello” è dove mi porta il desiderio prima ancora che diventi consapevole a se stesso. Dove sono destinato – si potrebbe dire – non senza cautela.
 Dove le cose e l’universo mi orientano. Veramente quello.

    “Quello” dice anche: no, no, no…
Tanti no a richiami o visite che non hanno il sapore delle bollicine. Le tipiche bollicine della freschezza.

    “Quello”: è là che voglio andare, che desidero, che prego.

    E mentre vado in quella direzione, m’interrogo anche e interrogo, acciocché quello si mostri e mi parli di sé. Che mi parli di sé perché io possa parlare di me.

    Non parlatemi solo di sesso, neanche tantrico.
 Non parlatemi solo di denaro, nemmeno come energia.
 Non parlatemi solo di mercato, neanche come comunicazione.
 “Quello” è molto di più. Anche se non vedo il suo volto chiaro, quello sa già che è molto di più.

    “Quello” è qui vicino. Non è lontano come la sua non visibilità potrebbe far pensare. È vicino come il Regno dei Cieli. Lo si potrebbe toccare allungando la mano. Un “da qui a lì” potrebbe bastare.
 È come il profumo del caprifoglio nel bosco, anche quando non vedi la pianta.

    Dicendo “Quello” io lo cerco servendomi della parola. E va bene per adesso. Così come sono. Dove sono e in risposta a questa domanda che mi abita così intimamente.
 E so che la parola non lo potrà mai imprigionare. Mai rinchiudere in una gabbia. Meglio tenere la mano aperta e allargata, come nell’acqua. Perché è solo lasciandolo scorrere che lo puoi sentire. Se stringi, è il nulla ciò con cui ti ritrovi.

    E io non stringo. Dico: “Quello” è ciò che desidero, che cerco, che prego. E lascio la mano allargata, la parola nella sua modestia – eppure tanto audace.

     

     

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  21. E ti lasci portare dalla corrente.


    E fai tutto quello che viene da fare.


    E non temi perché la corrente è vita.


    Stai danzando, probabilmente. O canti.


    Dai una forma bella a tutto ciò che tocchi.


    E attraversi d’amore ogni persona in cui t’imbatti.

    E i dormienti ti prendono per matta. Ma sorridono, poi, perché tu li svegli. Dai loro il benvenuto alla vita.

    E si dimentica tutti i pensieri della sera prima.


    E il desiderio dipinge il film della tua avventura.


    E capisci come era sciocco esitare.


    Com’erano deboli i fantasmi che ti trattenevano per il lembo delle maniche.

    E il quotidiano – la solerte operosità di tutti i giorni – scivola come d’incanto nella forma bella del tuo sogno.


    E, se parli, sei ispirata. Se suoni, improvvisi. Se tocchi, incanti. Se pensi, i pensieri ti danzano tra le dita. E gli occhi si rovesciano a cavalcioni del sorriso.

     

     

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  22. La domanda importante diventa: cosa stiamo sognando? 

    Stiamo sognando qualcosa? 

    I nostri sogni sono nostri, o sono sogni presi a prestito? 

    Addirittura, subiti dalla cultura mondana dominante?

     

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  23. I colori, se non supportati dall'immaginazione, lentamente svaniscono e non riusciamo più a vederli. Questo vale anche nei confronti di chi ci è estremamente vicino. 

     

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  24. Prepararmi alla giornata stando al sole è per me un vero piacere. Un momento di connessione con quello che sono, che sento, con le paure e con i sogni. È un momento per ricostruire la fiducia, la speranza. Per diventare più consapevole della bellezza e del dramma.

     

     

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  25. Ester amava i cappelli. Ne aveva uno rosso, a forma di foglie sovrapposte. Lo metteva la sera. Le piaceva andare nelle luci della città, quando la luna era grossa. Malgrado fosse bionda, aveva una voce scura. Cantava nel locale. Quasi tutte le sere. Tranne il lunedì. Suonava il piano con energia e i testi delle canzoni erano suoi.
 Era bella, attraente, sexy. Ma non ti fare strani pensieri. Il suo cuore era abitato da passioni più potenti del sesso. Non aveva nessun uomo, pur attraendone tanti. Chi poteva starle vicino, a lungo – a questo vulcano?

    Quanto vorrei un caffè! – mi disse. E fece segno al cameriere. Ordinammo due caffè doppi in tazza grande. Io volli anche una grappa.

    Ho perso mia madre a 19 anni. E mio padre due anni dopo. Dall’età di 22 anni sono sola a lottare per la vita… Siamo sempre dei negri, siamo sempre degli schiavi. La lotta per i diritti civili non dovrebbe mai cessare. Ci sono sempre nuovi traguardi da raggiungere. Le maglie della vita civile sono sempre troppo strette. La gente ha le prigioni nella propria testa.

    Avevo sentito la sua canzone, nel locale inebetito dal fumo e l’avevo invitata al tavolo, dopo. Il ritmo era penetrante e il testo mi aveva sorpreso. Non ne sapevo niente. Niente di niente.
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    l testo diceva che Dio ha messo un seme dentro ognuno di noi, come se fecondasse la Terra. Diceva che Dio ama la Terra come la sua Donna. E che le ha messo un seme dentro l’utero. Diceva che Dio ha disseminato nel suo grembo in abbondanza, pazzo per i fianchi della Terra. E che ogni seme è qualcosa di unico, come vuole l’amore. E che tu sei un pezzo di terra con un seme di Dio. 

    
Diceva cose di questo genere, con quella voce scura, da scuoterti nelle viscere. E il ritornello martellava: È il tuo destino, negro! Fai crescere quel seme. È un dono per te, negro, è un dono per la vita.

    Non sono contro nessuno. Non voglio lottare contro niente – diceva.
 Ho lasciato spegnere rancore e vendetta. Mi sono innamorata della mia libertà. Canto, compongo canzoni e canto. Mi guadagno da vivere in questo modo. Non voglio padroni, non voglio servire. Il mio sogno è un mondo in cui ogni uomo e ogni donna possano far crescere quel seme.

    Questa è la mia vita. Questo è tutto. Proprio tutto. E questo è il mio dono.


    Io amo la gente, e amo il mondo. Ma lo voglio amare a modo mio.
 Bevo e fumo, ma ho il cervello attaccato. Non credere.

    Aveva il cappello rosso in testa. E c’era la luna piena, o quasi.

     

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