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A dire il vero non saprei come sopportare la vita se non trovassi il tempo per leggere libri di filosofia, romanzi e saggi che mi facciano pensare, che mi tengano in moto sia il cervello che il cuore; senza avere giornate libere da impegni per andare a passeggio nei boschi o in montagna e respirare l’aria fresca dell’aperto di prima mattina, osservando un paesaggio dall’alto. Se non trovassi il tempo per scambiare comunicazioni emotive con gente che come me si emoziona di fronte agli eventi e aspira a conoscere l’amore un po’ più a fondo di quanto sia successo finora. Come potrei lavorare per un’azienda in cui per tante ore al giorno, alla settimana, al mese, all’anno… dovessi occuparmi soltanto di implementare le mie performance per alzare i grafici dei profitti degli azionisti? Come potrei reggere il peso dell’esistenza se dovessi considerare okei soltanto quelle attività che portano a risultati quantificabili in termini di prezzo? Ma non è il caso di denunciare come fattore altamente inquinante, pari almeno al riscaldamento globale, questa visione unidimensionale della nostra vita?
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Nella vecchia casa di famiglia, nel centro del paese, il ragazzo batteva direttamente alla tastiera del computer la tesina che doveva presentare il giorno dopo.
Stava mettendo a fuoco un concetto che l’aveva letteralmente rapito e trasportato nel mondo della filosofia.
Si trattava dell’anti-fragilità, un concetto che superava quello di resilienza. In sostanza era la qualità di diventare migliore dopo eventi stressanti. Non semplicemente essere flessibile e riadattarsi tale e quale al mutamento. No, piuttosto evolvere, crescere, espandersi…
Il ragazzo si rendeva conto che questo concetto corrispondeva esattamente alla sua esperienza personale. Era diventato più forte e più creativo dopo ogni evento perturbante che l’aveva colpito di sorpresa… -
Non devi stare nei confini imposti da una concezione fatalista della malattia. “Non c’è più nulla da fare. Rassegnazione, accettazione del declino, limitazione dell’operosità”. A volte sono gli altri che te lo impongono. Ma l’imposizione non funziona senza la tua complicità. In fondo hai già deciso nella tua testa che “ormai posso fare più poco!”. Uscire da questi margini. Bucare i confini. Per conoscere “cosa si può fare così”.
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E, intanto, il desiderio.
Io ho preso sul serio il desiderio. Che chiamo sogno. Da tempo, ho fatto questo. Prendere sul serio il desiderio che ti abita.
Il desiderio. Che meraviglia che tu sia un desiderio. E che mistero. Cosa desideri? Cosa vuoi? E, lo vuoi ancora? Oppure hai lasciato affievolire questa voce che una volta ti sbatteva contro le pareti della tua casa, e ti chiedeva di uscire a avventurarti? -
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Scoprire quello in cui si crede davvero, quello che si sente autenticamente, sentirlo con quell’intensità che caratterizza la circostanza, è come rinascere. E non è, almeno per me, un evento immediato. È piuttosto una storia d’ascolto attento che dura da una vita. Una storia di tentativi e valutazioni a posteriori. Una storia di aggiustamenti e approssimazioni, nella sincerità di una ricerca che già da sola genera respiro e slancio.
È il richiamo del vecchio messaggio del tempio di Apollo a Delfi: Conosci te stesso.
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La figlia del profeta
Allora, immaginiamo un quadro che raffiguri la figlia del Profeta. Fatima, si chiama così?
Questo è il momento in cui la figlia del Profeta nasce alla consapevolezza della vita.
Io vorrei sapere quello che le passa per la testa.
E immagino. Il deserto, i tramonti, la sabbia rosa, i carovanieri, le città, il lusso delle piccole corti… La vita è una specie di sogno. Una sorta di aperitivo. La vita apre alla vita.
Tu sei folle, amico mio – si sta rivolgendo proprio a me!E sorride. Sorride pronunciando parole che escono dal cuore del deserto.
Lei dice: Noi diciamo che è il Dio che ci ha fatto a sua immagine e somiglianza. Il che significa che siamo noi a fare Dio a nostra immagine e somiglianza. Il Dio ha fatto l’elefante, la giraffa e la formica. Non si è rinchiuso in un modello unico. Ha fatto tutto quello che voleva fare. Ha provato a inventare il mondo. Ha inventato un mondo. E, dunque, anche tu puoi inventare un mondo. Non c’è niente che t’imprigioni in un modello. Puoi fare della tua vita il quadro che vuoi. Ma, allora, non cercherai di dare un senso bello alle cose che vivi? Noi troviamo il senso della vita inventandolo. E che le nostre invenzioni siano almeno invenzioni piacevoli. Certo, devono mordere sulla cosa. Devono essere invenzioni che trovano quel che cercano. Una risposta dalla oscura oggettività dell’essere. Ma c’è modo diverso per scoprire l’abbondanza dell’essere che inventare senza economia?
Tu sei libero di inventare – questo dice la figlia del Profeta. Non ci sono errori nell’invenzione e nei tentativi. Ci sono solo mosse che esplorano, animate dalla fiducia.
La fede – dice la figlia del Profeta – la fede è la scommessa che consente l’avventura dell’uomo. La fede è fiducia che muovendo le mani e il cervello potrai trovare ciò che desideri. E vedere meglio i tuoi stessi desideri.È la fede che alleggerisce la fatica e spiana il cammino. La fede è il gesto coraggioso che rende l’orizzonte del possibile ampio quanto l’orizzonte del deserto.
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Dopo una notte senza sogni mi svegliai in una camera a me sconosciuta. Una camera né accogliente, né ostile. Una camera completamente vuota e disadorna, senza finestre né porte ma bianca e illuminata come avesse tante finestre e tante porte. Solo il letto in mezzo, il ritmico riverbero del mio respiro e la sistole e la diastole del mio cuore.
Tra coperte e lenzuola di lino anch’esse bianche e leggere per un attimo ebbi il sospetto di trovarmi in un ospedale ma mi sentivo in ottima forma e non avvertivo intorno a me quell’odore di lisoformio tipico degli ospedali. E poi gli ospedali non hanno lenzuola di lino. Nessun odore. Tutt’intorno un’asetticità inespugnabile, rilassante e senza tempo.
E sulle pareti erano fissati una infinità di chiodi. Chiodi di acciaio, bronzo, rame, ottone di ogni foggia e funzione. Chiodi da falegname, carpentiere, tappezziere, alpinista, calzolaio, maniscalco. Chiodi piantati qua e là senza un ordine apparente, senza una parvenza di senso pratico o di utilità. Chiodi senza quadri, senza nulla che vi fosse appeso.
Pensai allora a quei giochi che quando ero piccola mi piaceva fare sulla Settimana Enigmistica, tipo “Unisci i punti e scopri” ma almeno quei punti lì erano numerati, c’era un ordine chiaro e ben definito da seguire, qui invece non riuscivo a scorgere nessun codice che mi svelasse il disegno celato dietro al caos di quei chiodi. Quindi mi convinsi che ipotizzare l’esistenza di un disegno fosse pura follia.
Fu così che scoprii il puro e inscindibile senso estetico del chiodo, dimenticando improvvisamente tutto ciò che vi si può appendere o ciò che vi è stato appeso. -
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Mi piace alzarmi presto al mattino e sentire l’odore di un possibile giorno. Riempire gli occhi dei sogni più belli che accompagnano il mio viaggio. Pellegrina della bellezza, e del sentire. Sospesa – come piace a me – in questa dimensione da cui partono scorribande per le pianure del mondo. Fluido lo schermo della mente, le immagini vi scorrono danzando: non ci stanno neanche tutte. Sembra tutto altrove eppure i piedi sono a terra. Una grande voglia di dire, di raccontare. Di inventare la mia storia impastando la terra con la fantasia, nel momento stesso in cui le cose accadono.
Non mi manca il passato, non ho nostalgia di qualcosa che avrei perso. Scorro via col presente verso un altrove, che è già dentro di me. Tremo di emozione davanti al possibile e ho fiducia nelle mie forze e nella corrente stessa della vita. I tempi, per me, sono giusti. Quello che avviene, la sorte… mi va bene. È lì che muovo le braccia, i piccoli passi. Mi sembra di saltare, come una giovane navigatrice dell’essere.
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