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Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. Ogni emozione ha una fase ascendente, un culmine ed una fase discendente.
    E poi si stabilizza.
    È l'indole personale a farci scegliere quando abbandonare ogni emozione, se nella prima fase, nel sul culmine o successivamente.
    Certe emozioni, affinché ci rimangano impresse e vive nella nostra memoria e ci lascino davvero qualcosa, è bene abbandonarle al suo culmine.

     

     

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  2. In fondo, rendersi conto della propria ignoranza sul senso della vita non è poi così disastroso come si potrebbe sospettare. L’ignoranza consapevole può regalare grande leggerezza, uno spazio mentale che consente di fare le cose semplici e i gesti gratuiti, semplicemente perché si sente voglia di farli, perché a farli ci si sente bene. 

    Fare le cose che ci fanno sentire bene non è un criterio più che sufficiente?

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  3. “Sì” è una bellissima parola.

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  4. E stavo lì, seduto in quel boschetto 


    a rimirare il mondo spalancato, 

    
io t’aspettavo ed ero circospetto, 


    per quello che temevo e aveo sognato. 

    Tu non tardasti più del sole o il vento 

    
e furon forti le tue tinte ardenti, 


    e mi lasciasti sol col cuor contento

    quando del giorno i lumi furon spenti.

     

     

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  5. Pensare e fare. Mi piace il pensiero. Preferisco i pensieri ai lunghi ragionamenti. E amo pensare saltando di palo in frasca, guidata da libere associazioni ed eventi casuali. È  questo il modo in cui avviene la mia ideazione delle cose. Non è un lavoro a tavolino è danza, per dare una forma bella alla vita!

     

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  6. Certamente non lo so 


    che significa davvero 


    la parola che il pensiero 

    
dice con “felicità”. 


    Se qualcuno mi domanda, 


    con quell’aria un po’ sfacciata 


    quando vuol che si risponda, 


    cosa sia "vita beata", 


    quello che mi viene in bocca 


    senza alcuna esitazione 


    è una "vita colorata", 


    con colori a profusione.

     

     

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  7. Non capisco come si possa continuare a prendere le cose continuamente alla larga. Gira e rigira sulle questioni.  Mica dobbiamo riempire un palinsesto! E si tratta della nostra vita – o sbaglio?
    Insomma, sono convinta che il passo decisivo che abbiamo da fare lo conosciamo benissimo – dentro. E poi ci giriamo attorno. Insomma, mille ragionamenti affinati, e anche sani propositi, generosità a piene mani, compassione, assoluta volontà di non far pagare ad altri il prezzo delle nostre scelte, e via discorrendo…
    Scrupoli? Sensi di colpa anticipati?

    Ma che ne dici del motto: meglio rimorsi che rimpianti!

    Ti sembra aggressivo? Insensibile? Irresponsabile?
     

    Ma intanto, con tutto il tuo senso etico, ti condanni a vittima per l’eternità. Non farai mai un passo, in questo modo.

     
    Non ti sembra che un bell’errore – uno di quelli pieni di cose da correggere, da migliorare all’infinito – sarebbe meglio di un’eterna tergiversazione?

    Hai tenuto conto del fatto che alla lunga saremo tutti morti?

    Senza sfondare il muro della paura di fare errori o di commettere peccati è difficile mettere in moto le cose.

    E se non si mettono in moto le cose, non succede nulla di nuovo.
    E se non succede nulla di nuovo, siamo al punto di partenza – anche se ci abbiamo fatto sopra una bella letteratura.

    Non farlo perché te lo dico io.
    Guardati dentro e guarda le cose.
    Se hai già toccato il fondo, non ci restare ancora un giorno.
     
    Non succederà niente – credimi.
    E tu sarai ancora lì domani sera, e dopo domani sera, e anche il giorno dopo.
     
    Se la devi lasciare, lasciala. Non è detto che lei si uccida. Potrebbe anche scoprire qualcosa di sé che non ha mai potuto scoprire, avvolta dal tuo amore compassionevole.
     
    Sei vuoi cambiare, cambia. É difficile da noi morire di fame.
     
    Credi nella vita e nel desiderio e nel sogno.

    Tu non vuoi fare del male a qualcuno. Vuoi solo vivere, scoprire la vita e gustarla.

     

     

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  8. Per fare le cose che la mente realizza in un istante, ci vuole una vita a muovere le gambe e usare le braccia.

    E tutto ciò avrà un senso, avrà un perché. O no?

    Ma sembra – lo dico per interpretare anche quello che altri avvertono – che a farsi tali domande vieni sospinto in un territorio proibito, dove presumere di trovare una risposta precisa sembra quasi una bestemmia.

    Eppure uno che scrive, che ama scrivere, è proprio in questo territorio proibito alle parole che vuole arrivare. Egli si sforza di trovare espressioni che alludano abbastanza a ciò che non si può dire, abbastanza da poter immaginare che sia stato detto lo stesso.

    E sono disposta a sostenere che la bravura di uno che scrive sta proprio in questo. Non di aver raccontato come ha portato l’annaffiatoio per dieci volte dal greto del torrente fino alle aiuole del suo giardino. Ma di aver evocato in quale altrove  riuscito a mettere il piede, mentre faceva quello.

    E questo lo capiscono bene tutti coloro che, facendo cose molto concrete e limitate – perfino banali – stanno perseguendo un ideale, come fare fortuna, trovare l’America o costruire una Pipeline che porti l’acqua dolce imprigionata nei poli alle zone del pianeta inaridite dalla siccità.

    Se del leggendario arciere si disse che colpì un capriolo, mirando alla luna, di costoro si deve dire che puntando al capriolo essi mirano alla Luna.

    E allora credo che se immaginiamo che la nostra vita sia un viaggio – anche se ci muoviamo raramente dalla nostra città – è probabile che stiamo puntando, con il timone stretto nella mano, verso una qualche costellazione che abbiamo scelto come guida. E che quella costellazione sia la fonte di un dono che allarga gli orizzonti e ci gonfia i polmoni. Ci dona il respiro della nostra storia.
     

     

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  9. La ricerca della bellezza è leggera e piacevole. Meno pesante della ricerca del vero e del buono. E noi siamo disposti a considerare la bellezza come il bagliore stesso della Verità, che ci visita nell’armonia e nella gentilezza, senza drammi e senza tragedia.


    La bellezza ci fa sentire che siamo a casa. Che ci stiamo bene.

    Ma poiché la vita è fatta di cose serie e pesanti, una parte notevole della nostra esistenza rischia di restare fuori della luce della Bellezza.


    Ed ecco la tentazione dell’artista: perché non provare a fare dell’intera vita un’opera d’arte?

     

     

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  10. Immersione.


    Forse, immersione e deriva.


    La giornata scorre. Io cerco con le mani.


    Dentro è un ribollire.


    È tutto quello che c'è, ora.

     

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  11. Listen to me, mister. You're my knight in shining armor. Don't you forget it. You're going to get back on that horse, and I'm going to be right behind you, holding on tight, and away we're gonna go, go, go!

    On Golden Pond 1981

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  12. La nuit, moi et le chat

    Avevi messo il cappellino, quella sera, chissà perché?
    Forse la luce della luna?
    Recitavi un copione che non avevo mai sentito.
    E sondavi il possibile con gesti inappropriati…
    Certo eri bella.
    E avevi occhi pungenti, che foravano la notte.
    Io non pensavo all’etichetta, ma all’amore.
    Non sapevo che fare e feci tutto…

     

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  13. Ho terminato un lavoro, un testo. Mi fermo. Mi ritrovo smarrita. Nello spazio vuoto tra un lavoro e il prossimo (quale?), improvvisamente, non so più dove sto andando, … ho smarrito la mappa più grande, me la sono dimenticata… Dovrei salire su un’altura, vedere più cose insieme, nel quadro globale, sapere dove si collocano le singole azioni…
     

    Una leggera ansia incomincia a filtrare dentro l’anima, promette di riempirla in fretta… Allora mi siedo e cerco di ritornare qui e ora, adesso.
    Vedo la casa che stamani ho riassettato. I pavimenti sono puliti, la luce dalle finestre regala un’atmosfera serena, piacevole, all’ambiente. I fogli degli appunti sul tavolo e quelli appesi alla parete sembrano un quadro. Un collage. C’è un bel silenzio qua dentro. Il cuore batte. 

    Ho steso i panni sul balcone. Due lavatrici. Ho buttato vecchie magliette, vecchi vestiti. Tutto sembra più pulito e leggero. Il pulito leggero mi distende. Questo è il mio orto giardino.

    Sì, sono nel mio orto giardino. Ecco cosa sto facendo: lavoro al mio orto giardino.

     

     

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  14. Cos’era in gioco? 
Di cosa stavamo parlando? 
Cos’è che uno cercava quando decideva di troncare una lunga relazione, ormai priva di vita?
 O quando cambiava lavoro, o decideva di mettersi in proprio?
 Non era solo l’eccitazione della passione, o il desiderio di fare fortuna…
C’era qualcos’altro che sfuggiva sempre di mano, quando sembrava di esserci proprio sopra.

    Cos’è che accende lo sguardo dei ragazzi quando dicono che fanno un sacco di casino? 
E cosa ti accende in quel modo quando racconti di quella volta che…?

    Il mio amico Diego ha inventato una sorta di teoria. La chiama la Teoria del Residuo.

    Lui sostiene che nel nostro desiderio è contenuto molto di più di ciò che riusciamo a definire come l’oggetto del desiderare. Questo di più, che sfugge alla definizione dell’oggetto del desiderio, lui lo chiama Residuo.
 Tanto per dire che c’è, ma che puoi anche rassegnarti a non afferrarlo con le parole.

    Lui sostiene che quando ci annoiamo di qualcosa che pure abbiamo conquistato con l’eccitazione della passione, è il Residuo che fa capolino. Come se ci dicesse: fuochino, fuochino! Ci sei vicino, ma non era questo. Ed è in questo modo che ci rimette in moto. E ricominciamo daccapo…

    Il residuo è dunque l’Oggetto Oscuro del Desiderio. Ciò che cerchiamo quando cerchiamo tutte le altre cose che diciamo di cercare.
 E sarebbe proprio per questa differenza tra il residuo e gli oggetti desiderati che quando li raggiungiamo, dopo un po’, tutto si sgonfia. E a volte riusciamo perfino a tormentarci l’animo.

    Ma è anche per questa distinzione, che sarà oscura, ma non è del tutto inconsapevole, che avviene una sorta di miracolo. Avviene che, inseguendo un oggetto del desiderio, riusciamo a trovare tante altre cose, e un orizzonte più vasto, che amplia, allarga la stessa portata del desiderare…


     

     

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  15. Eccola che arriva la notizia brutta. È morta una cara amica. La brutta malattia. 

    Gli occhi si allargano sbarrati, come per vedere, oltre le forme usuali della vita, semmai si capisca qualcosa. Il cuore ha voglia di piangere.

    L’idea di un dio insensibile al nostro sgomento perché si muore è bruttissima. Resta tuttavia nell’elenco delle cose pensabili. Un brivido attraversa il corpo, da capo a piedi.

    La parola vien meno. Tu capisci che il tuo continuo parlare è per tenere a bada domande e ipotesi terrorizzanti. Ah, se potessi scorrere tra una cosa e l’altra, per tutto il tempo, senza che mai mi sfiorasse il pensiero che si muore!

    Che triste quest’idea di una vita che sembra non farcela contro la morte. Che sembra condannata ad essere una passione inutile.

    Beati quelli che credono senza esitazione che la morte è già vinta dall’amore!

    Ma io?

    Ma ecco il mio umore muta. Curiosamente sento avanzare dentro di me come una spinta dignitosa, che mi raddrizza la schiena e distende il mio volto. Ed ecco che, all’improvviso, capisco che sono in grado di sorridere. Di sorridere a questo evento che sta in fondo alla mia strada.

    Sorriderò per prima alla nera signora che si aggira tra i vicoli delle case. La guarderò negli occhi e le sorriderò, per prima. Sì, per prima.

     

     

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  16. E come facciamo se non andiamo regolarmente a camminare nel bosco?

     

     

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  17. Passeggiare sulle Scotland Highlands guardando il mare.

    Ricordare che il mondo é più grande da qui.
    Lasciare riecheggiare le grandi domande a cui non si ha risposta.
    Lasciarsi sedurre dall'incanto ...

    E rinforzare i polpacci.

     

     

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  18. Finalmente. All’acero sono spuntate le foglie. È riuscito ad agguantare gli squarci di sole sotto questo cielo giaguaro solcato da nubi ed il suo sistema fisiologico gli ha suggerito che era il caso di sbrigarsi: i segni erano sufficienti. E così, senza troppi indugi, ha fatto diligentemente il suo mestiere di albero. Mica si può stare lì a pensarci troppo su, dopotutto le riserve erano quasi esaurite.
    La chioma da magra e trasparente si sta facendo sempre più fitta ed intricata, da grigia e cinerea a verde con tenui riflessi marroni, da esile e slanciata a globosa e panciuta e pian piano i vuoti diventano pieni. Il suo stato di dormienza è terminato, la linfa elaborata torna a pulsare sotto la corteccia e la clorofilla non si lascia sfuggire neppure un fotone. Adesso al più sottile refolo di vento la chioma vibra con tutte le sue foglie nuove nuove. No, non è più lo stesso albero, è decisamente qualcosa di diverso. Coerentemente diverso. Apparentemente diverso.
    E di questo si è accorta pure la gazza: infatti non la vedo più. Ogni tanto si libra nei paraggi con il suo volo oscillante ed incostante, rallenta indecisa, ma non si ferma e prosegue oltre. Il loro sodalizio si è rotto, non si assomigliano più: le foglie occludono la vista all’uccello e l’albero non vuole più intrusi tra i suoi delicati rami.
    La gazza... chissà dove andrà adesso: magari a scrutare orizzonti liberi sulla cima di qualche altro albero ormai morto dove le foglie non spunteranno mai più. Neppure tra cento primavere.

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  19. Terra mater

    Credo che siamo in tanti ad essere stati richiamati dal tema della Leggenda Personale che Paulo Coelho ha fatto risuonare in ogni angolo del mondo. Perché è esattamente quello che il nostro cuore sogna. Che ognuno di noi, venendo al mondo, ha un suo compito e una sua missione. Che essere al mondo non sia senza significato. Che essere vivi voglia dire essere destinati personalmente a qualcosa. Che la nostra vita individuale sia un’avventura speciale dotata di senso.

    Nessun sapere scientifico ci darà la certezza su questa faccenda. Però, nessun sapere scientifico ha la forza di escludere che il nostro sogno possa realizzarsi. Che i nostri desideri profondi abbiano una loro verità.

    E allora, in tanti, incominciamo a interrogarci per capire cosa, dentro di noi, è in grado di segnalare il senso della nostra vita. E lo facciamo uscendo dai ruoli che troviamo già descritti nella società. Cercando di ascoltare i segnali, semmai gli eventi e il nostro cuore siano in grado di darci delle indicazioni.

    E ci rendiamo conto che, scommettendo su questa ipotesi piuttosto peregrina, in certi casi perfino folle, qualcosa si accende nel fuoco che ci portiamo dentro. E che la vita comincia ad essere avventurosa – anche se paradossale.

    Senza la protervia assertiva della certezza assoluta, noi incominciamo a disegnare itinerari possibili che ci congiungano a ciò che – in negativo – immaginiamo come pienezza del vivere.

    Io lo faccio, fronteggiando quotidianamente lo scetticismo del mio cervello. E vado raccogliendo, giorno per giorno, note di viaggio. Una sorta di diario di bordo del navigante.

    Cosa definisce la mia leggenda personale?
 E sono indotta a cercare nel baule magmatico dei miei desideri.
 E vado scoprendo che non si tratta poi tanto di cosa fare – del tipo: il medico, la violinista, o la fotografa…
 Mi sembra che i tratti della leggenda personale stiano più nel modo di fare quelle cose. Il modo viene ad indicare uno stile di vita. Una situazione in cui non solo ciò che ami, ma come lo ami fare – vale a dire nel rispetto di quello che ti trovi a scoprire che sei – è decisivo.

    E questo, mentre ti spinge lo sguardo lontano, verso il futuro, ti riporta ad osservare con cura il quotidiano, l’oggi, il qui e ora. E si crea un curioso paradosso: che mentre tu proietti il film davanti a te, lontano ancora nel tempo, tu sei impegnato a vivere il come già ora.
 Quello che sogni è nel domani, ma vuoi che sia già nel presente. E sai che la tua creatività per il futuro si cimenta già in ciò che sei capace di aggiungere all’oggi.
     

    Io – per esempio – sento che è l’arte che mi chiama. Ma sento anche che la mia leggenda personale è tratteggiata da una sorta di immagine che mi vuole come un albero fecondo, una donna perennemente incinta, partoriente. Ed è per questo che sto la maggior parte del tempo nella mia tana, nel pensatoio, intenta a mettere al mondo pensieri. E ad affidarli al vento.


    Mi piace essere in perpetuo travaglio.

    Assomiglio alla Terra, di cui son figlia.

     

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  20. Al risveglio la giornata sembra una grande pianura da attraversare. Spazi immensi, invitanti. Ho un viaggio da intraprendere. Voglia di avviarmi.

     

     

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  21. Alain De Botton sostiene una tesi che condivido largamente sul motivo per cui noi amiamo la natura e cerchiamo di rifugiarci in essa il più sovente possibile. Secondo questo  pensatore noi cerchiamo la natura perché essa ci consente di sfuggire alla pesantezza e alla litigiosità, ai conflitti e allo stress dei rapporti umani. Insomma il mondo che abbiamo creato è pesante, stressante e non ce la facciamo più a sopportarlo. Allora ci rifugiamo, almeno per un po’ di tempo, nella camminate in montagna, nei fine settimana ai laghi o negli agriturismi.
     

    La cultura dell’etica del lavoro, della performance, porta a vantarci di dormire poco, di mangiare in fretta, di portarsi il lavoro a casa e cose del genere. Ma questa è davvero una virtù? La salute e la serenità non dovrebbe avere la priorità in una vita felice? E ancora: siamo sicuri che chi lavora tanto lavori davvero bene?

     

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  22. Come sono piccoli i gesti che riusciamo a fare! Piccoli gli oggetti che creiamo. 

    Piccoli i passi che spingiamo sul sentiero. 

    Piccoli per noi stessi, per la nostra mente, per l’immaginazione e il desiderio. 

     

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  23. La luna, qui di sopra, è ormai sovrana, 

    ipnotica lampara della notte. 
     

    Nel buio l’oceano si allontana 
     

    con luci che tra loro fanno a botte. 


    Io resto qui sulla spiaggia silenziosa, 


    scrutando i segni dell’umana impresa. 


    E spero per domani, oltre il riposo, 


    passi sicuri e un’efficace intesa.

     

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  24. Il Dio a cui mi affido, so benissimo che me lo sono inventato – nella speranza di fare centro. E nelle faccende del senso, so benissimo che lavoro d’immaginazione.

     

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  25. o sono colpita dal fatto che in circolo c’è tanto poco entusiasmo. È deprimente. 

    Ma altrettanto irritata lo sono dall’entusiasmo effimero. Quello che nel momento sembra un colpo di cielo. 

    Ma che svanisce alla prima cattiva digestione.

     

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