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Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. Dalla quella parte si apriva una pianura seminascosta da piccoli avvallamenti su cui crescevano alberi sbarazzini, con una strada sterrata che vi s’intrufolava briosa, promettendo sorprese, una volta scavalcato il dosso. 
Era una sorta d’invito. Era come se all’improvviso fossi stata presa dal desiderio di cambiare. Di dare una svolta – come si suol dire – all’intera esistenza. Ma cosa volevo davvero? Qual era il mio sogno?
     

     

     

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  2. Con tutte le cose belle da fare, perché dovrei scegliere la noia?

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  3. Ci sarebbe anche questa idea: la relazione come danza. 

    Parlo della socialità pubblica transitoria. Gli incontri casuali sui marciapiedi o al supermercato, per esempio. 
Trasformare queste circostanze in tempo di danza. Scimmiottando i classici minuetti o balli collettivi di un tempo, con inchini, manfrine e segni di rispetto. 
Arricchendo il solito “come va?”, danzare un minuto, con battute appropriate, inventate sul posto, ma a ritmo di danza (che uno s’immagina in testa).

     

     

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  4. Era speciale. 

    Quel che diceva e come lo diceva. Non so, era lui, diverso, unico forse. 

    Faceva volare.


    Resto incantata da queste persone che sanno illuminare un ambiente con la sola presenza. 

    E se parlano, è un’orchestra che suona.

     

     

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  5. Sto vivendo una fascia di condizioni in cui io esisto, ci sono, opero, sogno, progetto, faccio… ho dei confini ben precisi. Al di sotto di quei confini è stordimento, pesantezza, quasi oscurità. Resta solo preghiera, attesa, rassegnazione, accettazione. Un po’ più sotto ancora, vuol dire il niente.
    Non sono proprio fatta per la malattia. Mi ci rigiro dentro come nelle sabbie mobili. Mi sembrava perfino di non essere mai esistita, o di non esserci del tutto. Ho provato perfino ad offrire il mio disagio per qualche nobile motivo, per qualche persona che sta male – come mi avevano insegnato a catechismo, da piccola e come so che sanno fare i buoni.
    Non ne ho tirato fuori proprio niente di consolatorio.

    Quando ricomincia a rispuntare la speranza , rispunta  anche il sorriso.
    E piano, la gioia per la salute che ritornerà, andrà a finire in colore.
    Insomma ho voglia di ritornare a navigare, veleggiando verso la mia isola.

     

     

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  6. Penso al potenziale creativo racchiuso nella vitalità del corpo, che la disciplina usuale del lavoro solitamente esclude, ignora o ricaccia.

    Penso a un corpo liberato dal lavoro, libero di incanalare la sua energia vitale all’inseguimento dei sogni.

    A queste cose ho pensato e a quelle potenze che la ragione che definisce non riesce ad acchiappare del tutto. Che la coscienza e la brama di sapere non ignora affatto, ma che non riesce a dire se non nei termini di un “non-so-che”, di un “quasi-niente”, e che invece sembrano costituire l’essenziale.

     

     

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  7. Le idee creative migliori, per me, sono quelle che rinnovano le energie e rilanciano l'entusiasmo. Il tempo più bello è quello in cui sei innamorato.

     

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  8. La grandezza non sta nelle cose, anche se le cose ci sono. La grandezza è nel tuo sentire, nel lavoro che fai su te stesso, nell’abbandono alla libertà che scioglie ogni paura, nell’amore che tu sei originariamente come una sorgente.


    Uno spirito libero e caldo entra in ogni cosa che fai, in ogni parola che dici, in ogni gesto della tua mano, in ogni rapporto, transazione, routine… Tutto il tuo mondo diventa altro. E lo senti che questo è vita.

    Non lasciare nulla alla mediocrità. Non abbandonare niente al grigiore dell’insignificanza. Mettiti completamente in ciò che c’è, che fai, che avviene. E sentirai la grandezza.


    Coltiva il tuo sogno. Sognalo in continuazione.

    
La bacchetta magica è qui.

    Ti ami, vero?

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  9. Allora  c’è da fare quel chilometro in più. Da uscire dai tuoi confini. Spesso a occhi chiusi. Con fiducia a priori.

     

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  10. Il nemico è il rancore per la vita. È vero che voi sognate tanto e vi aspettate tanto e che trovate sul piatto che la vita vi offre un pasto insufficiente. Ma se, a partire da qui, voi alimentate il rancore, vi siete fottuti con le vostre mani.

    
Il sogno crede che il desiderio di ciò che manca è affidato alla vostra iniziativa – fiduciosa nell’alleanza segreta della vita stessa.

     

     

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  11. Dai tutta questa importanza alle fusioni, ristrutturazioni, licenziamenti, nuove prospettive di profitti? E alle politiche dell’accademia?

    Fanculo!

    Ti sei innamorato per davvero una volta?


    Hai visto gli occhi di tuo figlio?

    
E i malati terminali?


    Sei stato in qualche missione nel Guatemala?

    
Il tuo capo ti spaventa a tal punto?

    Ci sarà, da qualche parte, nella tua giornata, il momento in cui vedi le cose dal punto di vista degli umani. Il momento in cui pensi a cosa vale davvero e in cosa si può credere.

    Svegliati. 
La tua carcassa batte i colpi. Non sei più un ragazzino.
 

    È tempo di pensare alle cose che valgono.


    Hai ancora paura di morire di fame?

    
Progetti ancora la tua vita per pagare le bollette?

    Lo so che hai fatto sesso solo per mangiare. Niente di male, dal momento che il Dio della vita ha inventato questa faccenda.


    Ma nel tuo cuore c’è altro.


    Tu vuoi una vita vera.

    Ribellati.

    Fanculo!

    Lo sai, dentro, cos’è umano e cosa non lo è.


    Una bella doccia fredda sul grande incanto del grande spettacolo.

    Tutti questi dei della vita economica. Lasciali andare. Che si vadano a far fottere. 
Dillo: Fanculo!

    Cento anni sono pochi. Veramente.


    In una giornata tu puoi amare.
R

    agiona fin che vuoi. Ritornaci sopra. Raccogli il pensiero.

    Non si tratta di programmare la partecipazione a quei dieci corsi.


    Tu lo sai già.


    Sei un po’ brillo? Vedi le cose meglio.


    Diglielo a tutto questo andazzo: Fanculo!

     

     

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  12. Oggi c'è il sole ma 

    vorrei incontrarti in un giorno di pioggia. 
    Sentire la pioggia sui vetri che ci divide da tutto. 
    Vorrei stendere i miei pensieri a sgocciolare sul tuo corpo. 
    E asciugarci così.
     

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  13. David aveva un’amica per il racconto delle storie. Il suo nome adesso mi sfugge. Mi verrà in mente di sicuro più avanti. David le raccontava la sua storia prima ancora di realizzarla. Perché era convinto che si poteva fare ed era utile farlo. Pensava davvero che la storia nasce prima in testa e con le parole. E poi diventa fatti, intrecciandosi con il movimento delle cose. E allora, voglio dire quando le cose erano capitate, si ritrovava con la sua amica – che diavolo! non mi viene in mente come si chiama… - e si rimetteva a raccontarla di nuovo. E succedeva che preparava così il prossimo passo. No, non lo “preparava”: lo avviava.

     

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  14. Ho sentito l’autunno 

    
e l’odore pungente dell’inverno 

    
entro le rughe del corpo 


    scolpite dal tempo.


    E il sussurro bambino d’irrefrenabile gioia 


    che spinge le foglie a uscire in primavera, 

    
e i fiori 
e i frutti a fine estate.


    Camminando su prati da poco recisi


    folle la mente sprigiona 


    sogni d’incredibile vigore

     

     

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  15. Le parole sono un dono straordinario. Senza parole come faremmo a dare un volto ai nostri pensieri? Ma le parole, anche, sono una trappola: le rigiri sulla lingua e sembra che non dicano altro che quello che hai già sentito, letto, immaginato. E qui, invece, si tratta di afferrare qualcosa che va più a fondo, che morde nella polpa stessa delle cose, che tocca il nocciolo del frutto maturo. Qui si tratta di usare le parole come una fionda. Che ti proiettino oltre.

     
    E allora si tratta di lasciare le parole e di andare alle immagini che si trascinano dietro. E molto più ancora: di andare dalle immagini a guardare proprio dentro la vita. Per afferrare un senso ulteriore. Oppure per ricevere un messaggio nuovo.
     
     
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  16. Conversazione al sole

     
    - Eh sì, Le persone di successo hanno una grandissima autostima.

     
    - L’autostima è dunque ciò che ci separa da loro?

     
    - I guru dell’auto aiuto suggeriscono di fingere di essere come loro finché non lo diventiamo davvero…

     
    - Ma a forza di fingere di essere qualcun altro non rischiamo di perdere la fede nelle abilità che davvero abbiamo?

     
    - Forse…
- Un eccesso di fiducia in se stessi può bloccare quel desiderio di miglioramento che ci spinge a lavorare sodo per diventare davvero competenti.

     
    - Già…
- Forse invece di crederci invincibili conviene imparare ad amare anche l’incertezza, l’esitazione e la confusione.

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  17. Mi hanno regalato un segnalibro con annotati i diritti del lettore (da Daniel Pennac). Il sesto è il diritto al bovarismo.

    Lo trovo giusto. Non forse nel senso del triste destino di Emma che Flaubert conduce inesorabilmente fino al suicidio.
 Ma certo nel senso di riuscire a vedere le cose diversamente da quelle che “sono”, a sognare delle felicità “irrealizzabili”, “irraggiungibili”.

    E questo perché la definizione di ciò che è e di ciò che è possibile fornita dal senso comunemente diffuso continua ad essere piuttosto taccagna. E, lungo il cammino dell’esistenza, siamo piuttosto incoraggiati dagli eventi a perdere il senso dell’abbondanza che aveva ispirato ancora le nostre fantasie di bambini.

    Ecco allora che i libri, e la lettura, possono nutrire – contrastando l’entropia – il sogno, la speranza, l’operosità gioiosa, la fiducia, …
 In una parola, l’arte di coltivare la gioia di vivere, sollevando quotidianamente dalla melma la nostra energia vitale.

    Ed è questo che fa la differenza.
     

     

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  18. Curiosamente immaginare al ribasso è una scommessa. Immaginare che le fantasie siano mere illusioni senza costrutto.
    Immaginare che quello che conta sia soltanto ciò che si tocca e  si guadagna.
    Tutta la nostra vita pratica, concreta, è come sospesa a un cielo di immaginazioni e di scommesse.

     

     

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  19. Lunga l’attesa. Poi, finalmente, arriva Primavera. Colori, ancora pallidi di notte, si affacciano timidi in cerca di sole. Un fuoco dentro, caminetto del corpo, distende rigori antichi. Sogni con ali colorate, farfalle del desiderio, tentano le porte del tempo. È ora…

     

     

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  20. Nutrire il sogno è un lavoro. Meraviglioso, appassionante, emozionante.
    Una delle mie massime preferite è: se sei capace di immaginarlo, sei capace anche di realizzarlo.
    Il sogno si nutre costruendo immagini che lo rappresentino, che lo dispieghino.
    Lo si fa, spontaneamente, nelle fantasticherie.
    Si può assumere la responsabilità attiva della fantasticheria.
    Svilupparla come farebbe un regista fantasioso.
    Il sogno, una volta innescato, cresce da solo. Come le opere d’arte nelle mani degli artisti.
    E guida i tuoi gesti.
    È il sogno che parla di te, che fa uscire all’aperto quello che sei nella ghianda. Il sogno è l’epifania della tua anima.

     

     

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  21. Tutti gli esperti dicevano che la cosa non era possibile, finché venne qualcuno che non lo sapeva e la fece.

     

     

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  22. Ivo s’ammantò, per decenni, del cromatismo smaltato di certi sogni che si fanno alle sette di sera, nella sala da tè, mentre intorno è profumo e bisbiglio e qualcuno, seduto di fronte, sorride.
    Ivo conobbe Jiro, giovane del kabuki, una notte che ambedue dormivano sotto cartoni mézzi d’umidità, a poca distanza l’un l’altro, dietro una palazzina verde di muffa. Ivo puzzava senza essere vecchio. Jiro fu gentile e passò la notte a parlargli.
    Negli anni, Jiro riuscì a darsi una posizione invidiabile. Guadagnò molti soldi, grazie alla cura che impiegava nel soddisfare i clienti. Il compito d’Ivo, d’allora, fu tenere in ordine casa e giardino e prenotare, ogni dì, alle sette di sera, quel tavolo per due alla sala da tè, per bere gyokuro.
    La notte, poi, Ivo faceva da femmina o maschio, a seconda di quel che, durante il giorno, Jiro aveva dovuto subire.

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  23. Vorrei vivere così per tutto il giorno 

    come i sogni che si fanno a primavera, 

    vorrei stendermi nei prati a mezzogiorno 

    per attendere che giunga la sera…

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  24. Scena finale di “Gocce d’acqua su pietre roventi” di F. Ozon: il cadavere di Franz giace per terra con addosso solo il cappotto di Vera. Vera ha bisogno d’aria, cerca in ogni modo di aprire la finestra. Insiste. Vanamente. Non ce la fa. Sembra bloccata da qualche oscuro incantesimo. È un limite invalicabile.
    "Io non ho bisogno di te. Tu hai bisogno di me"
    E allora rimane ansimante come un bestia in gabbia con i palmi delle mani appoggiati al vetro guardando fuori: occhi sciolti, vuoti e persi, nel buio. 
    Poi, impotente e rassegnata, abbassa lo sguardo. 
    La macchina da presa lentamente si allontana e lei diviene sempre più piccola ed insignificante, prigioniera di quell’elegante appartamento. 
     
    Una devastante sensazione di claustrofobia mi assale. 
    E quella finestra bloccata, quelle mura, quell’arredamento cosi ricercato non sono solo un luogo fisico ma un luogo mentale, una metafora di qualcos’altro. 
    Indubbiamente è più facile fuggire da un luogo fisico piuttosto che da un luogo mentale che ti segue e ti persegue sempre, comunque e dovunque.
     
    Il mio luogo mentale ha mura molto spesse, porte blindate, finestre sigillate, il citofono rotto e non ho ancora trovato un varco, un passaggio segreto per uscire completamente fuori, una botola magica. Certe volte sento delle voci disarticolate e sconnesse, dei labili rumori all’esterno, sento il fischio di treni che passano ma non conosco gli orari e non li voglio conoscere, certe volte vorrei stabilirmi qui, crearmi i miei spazi, le mie comodità, ed uscire solo per fare frugali spese come i pastori che scendono dalla montagna per andare al paese una volta ogni tanto, certe volte… si, certe volte progetto la fuga da qui, sarebbe una grande impresa, tipo fuga da Alcatraz, non so… ma come dice E. De Luca “nelle imprese la grandezza sta nell’avere in mente tutt’altro”. E poi in fondo non mi piace neppure la parola “fuga”: ero e sono sempre io, e sono qui ed ora pure grazie a ciò che ero. 
    E allora si, adesso me ne voglio stare così… “sotto le stelle sparse in cielo come un chilo di farina”.

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  25. Maria e Anna sono due amiche in vacanza al mare. Ogni mattina, quando è ancora fresco e c’è poca gente in giro, vanno a correre. Fanno lo stesso percorso, corrono affiancate, ma lo fanno in maniera diversa. 
Chi le osserva nota nel volto una differenza evidente. Maria è sorridente, concentrata e si vede che prova piacere. Anna ha il volto teso, sofferente. Controlla in continuazione l’orologio contapassi e misuratore delle funzioni del corpo. È protesa a raggiungere gli obiettivi che si è prefissa e che sono annotati nel suo strumento elettronico. Si vede che non vede l’ora di arrivare fino in fondo e di raggiungere l’obiettivo mettendo fine alla fatica.
Quando ne parlano, ormai sistemate sotto l’ombrellone sulla spiaggia, Maria dice ad Anna che lei corre per il piacere di correre. È talmente concentrata sulle sensazioni che prova nel corpo, che non ha altri pensieri. Si nutre di quelle sensazioni come di un’esperienza che la carica, la rende felice. Stando a quel che prova, la corsa potrebbe durare all’infinito.
Anna ascolta, poi volta la testa di lato, perplessa.


     

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