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Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. Ho capito presto che il perfezionismo era una trappola. Non dovevo fare cose perfette. Dovevo fare. Non dovevo essere perfetta tutti i giorni: dovevo semplicemente ricominciare ogni mattina. Mi sono specializzata nell’arte di ricominciare ogni mattina. Di rinascere.
 Qualsiasi cosa fosse capitata il giorno prima, bella o brutta, io la lasciavo andare e, al risveglio, mi dicevo: nasco adesso. Sono nata ora. Incomincio adesso.

    Ho il desiderio di essere una benedizione per tutti quelli che incontro nel mio cammino. Ce l’ho dentro, non è un proposito della volontà. Diciamo che mi piace pensare una cosa del genere.
 Ma non faccio niente per recitare una parte. Non voglio essere più buona di quella che di fatto sono. Né voglio amare più di quanto un altro accetti di essere amata.
 Semplicemente, mi fido. Mi fido che restando fedele a me stessa sarò come un albero fecondo. E che altri mangeranno dei suoi frutti.

    Un albero rosso?

     

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  2. Tenere gli appunti in disordine rende difficile trovare quello che cerco ma consente di trovare quello che non sapevo di voler trovare.



     

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  3. La vita non è poggiata sul sapere, ma sulla scommessa – che, in un certo senso – è fede. Il sapere è sempre a posteriori. Viene dopo. Dopo che hai trovato. Dopo che hai ottenuto.
    Nasciamo ignoranti – ma intraprendenti. E impariamo – prima –ciò che altri hanno imparato. Ma ancora non è la nostra vita.
    La nostra vita incomincia quando incominciamo a esplorare di persona le nostre proprie scommesse.

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    1. vitto071

      vitto071

      ciao , bellissima foto :) 

  4. Le persone girano per casa, mentre fanno le pulizie, lavano i pavimenti e caricano la lavatrice, e si domandano cosa possono fare di utile. E come possono dare il loro contributo. 

    Insomma: vogliono essere vivi, che in fin dei conti vuol dire alimentare la vita dentro e darla fuori.

     

     

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    1. ok1803

      ok1803

      bellissima foto :)

  5. La figlia del profeta

     

    Allora, immaginiamo un quadro che raffiguri la figlia del Profeta. Fatima, si chiama così?


    Questo è il momento in cui la figlia del Profeta nasce alla consapevolezza della vita.


    Io vorrei sapere quello che le passa per la testa.

    
E immagino.
 Il deserto, i tramonti, la sabbia rosa, i carovanieri, le città, il lusso delle piccole corti…
 La vita è una specie di sogno. Una sorta di aperitivo. La vita apre alla vita.

    Tu sei folle, amico mio – si sta rivolgendo proprio a me!


    E sorride. Sorride pronunciando parole che escono dal cuore del deserto.


    Lei dice: Noi diciamo che è il Dio che ci ha fatto a sua immagine e somiglianza. Il che significa che siamo noi a fare Dio a nostra immagine e somiglianza.
 Il Dio ha fatto l’elefante, la giraffa e la formica. Non si è rinchiuso in un modello unico. Ha fatto tutto quello che voleva fare. Ha provato a inventare il mondo.
Ha inventato un mondo. 
E, dunque, anche tu puoi inventare un mondo. Non c’è niente che t’imprigioni in un modello. Puoi fare della tua vita il quadro che vuoi.
Ma, allora, non cercherai di dare un senso bello alle cose che vivi?
 Noi troviamo il senso della vita inventandolo. E che le nostre invenzioni siano almeno invenzioni piacevoli. 
Certo, devono mordere sulla cosa. Devono essere invenzioni che trovano quel che cercano. Una risposta dalla oscura oggettività dell’essere.
 Ma c’è modo diverso per scoprire l’abbondanza dell’essere che inventare senza economia?

    Tu sei libero di inventare – questo dice la figlia del Profeta.
Non ci sono errori nell’invenzione e nei tentativi. Ci sono solo mosse che esplorano, animate dalla fiducia.

    La fede – dice la figlia del Profeta – la fede è la scommessa che consente l’avventura dell’uomo.
La fede è fiducia che muovendo le mani e il cervello potrai trovare ciò che desideri. E vedere meglio i tuoi stessi desideri.


    È la fede che alleggerisce la fatica e spiana il cammino. La fede è il gesto coraggioso che rende l’orizzonte del possibile ampio quanto l’orizzonte del deserto.


     

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  6. Lo so che ci sono sul pianeta problemi immensi. Mi colpiscono maggiormente quelli che riguardano l’alimentazione, la salute, e la pace.


    Sento – come tanti – il peso della mia impotenza.
 È facile immaginare, pensare e disegnare con la testa.
 Ma la realtà è un’altra faccenda. Ha una sua resistenza. Una sua durezza.
 Ti fa sentire che tu sei poco.

    Non potendo salvare il mondo con due parole, con uno slancio del cuore e con un gesto delle mani, ho pensato di lavorare all’orticello che mi stava vicino. Lavoro su me stessa. Sfamo me stessa, cerco la salute per me, e diffondo pace nella mia giornata.

    Forse, così facendo, sarò un diapason che farà entrare in risonanza altri mondi umani attorno a me. 

    Forse.

    Chi lo sa?

     

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  7. Mi è stata regalata un’anima inquieta, desiderante, mai accontentata da ciò che c’è.
Esplora il possibile cavalcando il desiderio, il sogno. 
È l’anima di Eros e Psiche di cui parlavano gli antichi – credo.

    Ho un’anima ingorda. Impegnata costantemente a fare i conti con la sua stessa ingordigia. Non ha ancora imparato a coltivare il suo appetito in maniera decorosa.

    E poi ho avuto un tempo.
 Un tempo da vivere.
 Un tempo che è un flusso di eventi e circostanze concrete.

    Ho lottato a lungo col tempo e con la concretezza delle cose.Ho lottato proprio per sfuggire ai conti col tempo, per aggirarne con un escamotage il peso e la densità. La viscosità faticosa di ciò che chiamiamo mondo.

    Poi ho capito che il tempo poteva essere un amico dell’anima e del desiderio.
 Ho imparato a guardare gli eventi con lo sguardo dell’alleanza.
 Ho accettato l’ipotesi che il tempo fosse una grazia. Un nastro trasportatore di opportunità e di insegnamenti.
 Ho cercato di educare l’anima a guardare il tempo come un fratello.

    E ora spero che questo viaggio nel tempo – che è la mia storia e la mia ricerca – mi conduca in un luogo dell’essere dove anima e tempo danzino insieme.

     

     

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  8. Io non voglio lavorare. Io voglio essere me stessa, esprimermi liberamente e con passione. Trovare nei risultati il riconoscimento della bellezza della mia avventura. Inventare le modalità mie di stare nel mondo così com’è, ma senza esserne schiava.

    Non voglio che la creatività sia una delle tante scuole a cui mi sottometto. Voglio che la creatività sia la mia avventura, il modo in cui io conduco la mia nave nell’oceano della realtà. Fino alla meta.

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  9. Io penso che tutta la vita è così.
La tua fame non sa di cosa ha fame finché non trova il cibo, la ricetta, il frutto…
La fame segue la legge di Eros, che – secondo il mito greco – è figlio di Penia e Poros, vale a dire: di Mancanza e Intraprendenza.

     

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  10. Ora ne vedo meglio il profilo.

    Non è quel sorriso coraggioso che tu spingi avanti per fronteggiare le difficoltà, l’umore che scende, le cattive notizie.
    Quel sorriso che esprime la tua volontà di andare incontro alla vita per primo. Di fare il primo passo…
     

    È quell’altro. Quel sorriso che ti sorge da dentro come un fiore, o come un fungo di stagione, quando cambia la luna, ha piovuto a dovere e c’è stato il primo sole. Il sorriso che viene da sé.

     

    E questo sorriso senza sforzo che si presenta come dono.
    Ti viene da sorridere.

     

    È la vita che torna a visitarti. Sembra dirti che aveva avuto delle cose da fare nel frattempo, che era stata molto occupata. Ma è come se ti stesse prendendo in giro. Come se avesse orchestrato tutto lei, da tempo. Per condurti a questo punto.

     

    E ora, quel sorriso, è come il premio. Il dono. La festa.

     

    E, ora che una nuova alba ha occhieggiato nella mia avventura, risorge, fresco come un ragazzino in pantaloni corti, il mio desiderio compagno, quello che mi rigira la vita come si rovesciano le tasche, che mi fa saltabeccare a molle nel sentiero del possibile e m’invita – con una certa premura – a saltare fuori della tazza, a uscire dal vicolo, a guardare più avanti, a esplorare l’ignoto, a disegnare i miei sogni sulla faccia della terra, come se fossero l’eco del sogno di Dio su di me.
    O anche senza di me. Perché il sogno è bello in se stesso. Perché quello è il quadro che dev’essere fatto. Quello che mi ha rubato l’animo e mi ha fatto dimenticare tutto il resto.

     

     

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  11. (Dedicato a Cristiano e Andrea)

    Mi piace sentirti dire che vuoi andare a Barcellona, iniziare una nuova vita, e mettere su la tua impresa. Hai un buon lavoro, un ottimo stipendio e quello che fai non ti dispiace affatto. Ma tu vuoi andare a Barcellona.


    C’è qualcosa nel tuo spirito indomito che t’impedisce di star seduto comodo e tranquillo sulla tua poltroncina. Ed è proprio questo che mi piace di te.

    Te lo dicevo nel vigneto. Ne parliamo ancora un po’?


    Era la faccenda di Pinocchio. Sai, ho rivisto il film di Benigni qualche giorno fa. E mi ci son messa a pensare sopra.


    Da ragazzina Pinocchio mi piaceva assai. 

    
Il libro Cuore mi piaceva anche, ma non come Pinocchio. Pinocchio era un burattino selvatico, insofferente delle regole sociali. E io credo di sapere molto bene quello che vuol dire.

    
Collodi e De Amicis – ho studiato – hanno scritto questi due romanzi come romanzi di formazione nel momento in cui si costruiva l’unità d’Italia e bisognava attrezzarsi per comportamenti adeguati. Insomma, diventare bravi ragazzi.

    Pinocchio è dunque il ragazzino selvatico che diventerà un bravo ragazzo – alla fine del libro. È chiaro che Pinocchio è simpatico soprattutto finché rimane burattino, non va a scuola, si prende gioco dei carabinieri, e ne fa di tutti i colori perfino con Geppetto, che – cosa veramente straordinaria – è riuscito a metterlo al mondo semplicemente con una sega.

    La svolta della storia avviene quando scopre che, a vivere a quel modo, sta diventando un asino. Questo lo spaventa a morte e allora si converte. Lui che non ne voleva sapere di scuola e di lavoro, ritornerà a scuola – miracolosamente motivato e sorridente – e si metterà a sgobbare per portare il latte a Geppetto e per ricomprargli la giacca. Nel film di Benigni questa parte è veramente molto esplicita. Pinocchio lavora a una macina, facendo proprio il lavoro dell’asino che non ha voluto diventare.

    Sarebbe come dire – correggimi se vado fuori le righe – che per non diventare un asino si mette a sgobbare come un asino!

    Questa riflessione mi è parsa veramente sconvolgente. Dunque, eccolo qua l’inghippo, la trappola dei bei discorsi formativi che cercano di promuovere l’adeguamento – o l’adattamento – alla società e alle sue regole. Per non diventare un asino, sgobbare come un asino!

    E allora?
 Dov’è la differenza?

    Ho letto con attenzione le teorie dei giusnaturalisti. Norberto Bobbio le presenta in maniera intellettualmente fantastica. 
Pinocchio me lo fa ritornare in mente.

    I giusnaturalisti s’impegnarono a pensare razionalmente il passaggio dallo stato naturale dell’uomo – immaginato come totalmente libero, ma anche pieno di pericoli e di limitazioni – allo stato civile, dove si trovava più potere collettivo, più sicurezza e tanti altri vantaggi, ma si era sottoposti all’autorità di un potere, e quindi si doveva rinunciare in tutta o in parte (dipende dagli autori) alla propria libertà naturale.

    Insomma, è la situazione di Pinocchio.
 

    O sei libero, giocherellone, e fai quel che più ti aggrada – ma allora diventi somaro, non fai parte del consesso civile, sei fuori… Oppure rinunci al tuo spirito di gioco e alla tua indipendenza assoluta e stai alle regole. E quali sono, te lo diciamo noi.

    Beh, non hai l’impressione che in questo giro di ragionamento, per quanto liscio possa apparire, si nasconda una trappola? Una sorta di pressione a un passaggio troppo frettoloso?

    Io penso di sì, perché infatti, tu che hai un buon lavoro, un buono stipendio, e quello che fai non ti dispiace affatto…, tu mi dicevi – con gli occhi che si accendevano – che volevi scappare a Barcellona, e mettere su qualcosa di tuo. E il nostro amico, che condivide il tuo sogno barcellonese  – in treno per Milano – mi manda un messaggio in cui mi confessa che è stato contento nel vignote “scoprendo che alla nostra età è ancora possibile giocare”.

     

     

     

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  12. Ci sarebbe anche questa idea: la relazione come danza. 

    Parlo della socialità pubblica transitoria. Gli incontri casuali sui marciapiedi o al supermercato, per esempio. 
Trasformare queste circostanze in tempo di danza. Scimmiottando i classici minuetti o balli collettivi di un tempo, con inchini, manfrine e segni di rispetto. 
Arricchendo il solito “come va?”, danzare un minuto, con battute appropriate, inventate sul posto, ma a ritmo di danza (che uno s’immagina in testa).

     

     

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  13. Adesso ne sparo una che non mi renderà certo popolare tra gli innamorati.

    
Prima però voglio dare il giusto tributo – sincero – all’innamoramento.

    Forse qualcuno potrà dire che il culmine della sua esperienza è stato il raggiungimento di un obiettivo economico. Lo so che non si tratta tanto dei soldi, quanto della sfida e dell’impegno. È l’eccitazione dell’avventura che riesce. Il tripudio di aver raggiunto un proprio obiettivo.
Ma la maggior parte delle persone che conosco – e io con loro – hanno provato il culmine dell’esperienza del vivere quando sono stati innamorati e ricambiati.


    A fronte di questa esperienza tutte le cose belle della vita sono acquerelli.

    Il sogno di un amore vero e grande abita i nostri cuori. 
Anche quando il realismo ci fa concludere che non è più l’epoca, la stagione, anche allora resta nel cuore come l’eco di un richiamo fortissimo, ideale.

    Se domando a molte persone – soprattutto donne – qual è il loro sogno, mi rispondono: l’amore. Un vero amore. Un grande amore.
Incontrare l’uomo o la donna della propria vita disegna un quadro che rappresenta per molti il massimo.

    Ed ecco la doccia fredda.


    Io sono arrivata alla conclusione che la propria Leggenda Personale non può essere definita come l’incontro con un partner d’amore. 
Non che questo sia poco. Anzi, è moltissimo.
 Ma la propria Leggenda Personale ci mette in contatto con una dimensione diversa. Una dimensione che travalica di molto anche la più bella storia d’amore che possiamo desiderare.

    La propria Leggenda Personale concerne il dono che abbiamo ricevuto e il dono che abbiamo da dare alla vita.
 Non è rinchiusa nei confini della dedizione che possiamo offrire alla persona unica che amiamo.
 È una dedizione che sfonda ogni confine.
 Che ti fa sentire figlio dell’universo e libero da ogni contratto, impegno, patto, e passione.

    Puoi abbandonare padre e madre, marito, moglie e figli per seguire la tua chiamata personale.
 E anche l’amore più appassionato può apparire una piccola isola nel tuo viaggio.

    Perciò io dico a me stessa e a te: ama, ama appassionatamente, ed esulta se sei ricambiato. Ma non lasciare che questo grande amore diventi oppio della tua coscienza.
 Nella tua Leggenda Personale c’è una grandezza che va oltre.
 E non ti sentirai appagato se la definisci soltanto come l’incontro del tuo grande amore.

    La tua Leggenda Personale ha finestre e porte spalancate.
 Non ti lascia stare tranquillo sulla sedia della tua cucina, come nel letto della tua passione.

     

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  14. Capii in quel modo che per liberarmi e volare avrei dovuto imparare di nuovo a sognare. Lo feci.



     

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    1. vitto071

      vitto071

      bellissima foto :)

  15. Ogni situazione offre molto più di ciò che cogliamo di primo acchito.


    La cura dell’Essere – che è un modo simpatico e appropriato di definire la Filosofia – non scivola via rapidamente sulle prime impressioni. Ma si ferma. Opera intenzionalmente uno sforzo per arricchire la percezione.

    I ragionamenti filosofici non sono fine a se stessi. Si adoprano per consentire nuove percezioni dello stato delle cose. È – alla fine – la percezione che decide del modo con cui traffichiamo con i dati di fatto. Per quanto i ragionamenti sottili e logici siano da apprezzare, alla fine l’intelligenza deve accettare il paradosso e riuscire a conviverci.

    Benché in un mondo investito dal cambiamento dobbiamo imparare ad essere flessibili e adattabili illimitatamente, l’impatto del cambiamento non può essere navigato se non impariamo a fermarci in maniera adeguata. Fermarci per pensare, per acquistare consapevolezza.

    Il cambiamento aumenta la varietà delle esperienze che ci entrano in corpo. Questa varietà può arricchirci soltanto se impariamo a digerirla. Altrimenti ci frantuma. Paradossalmente, in un mondo in cui domina la rapidità diventa ancora più fondamentale andare adagio, quantomeno fermarsi periodicamente. Ogni giorno.


    Fermarsi, sedere (considerare) e guardare, consente di non essere sequestrati dal cambiamento, dalla variabilità, dalla rapidità. E, in certi casi, permette una visione più lucida del mutamento stesso.

    Di fatto, non dobbiamo andare lenti. Dobbiamo procedere al tempo giusto che ci consente di digerire le esperienze. Al nostro ritmo.
 È questo procedere al nostro ritmo che permette di mantenere la gioia dell’esistere. Altrimenti la corrente ci risucchia ogni energia e ci strappa le carni con i suoi detriti.

    E così, mentre impariamo ad essere snelli e leggeri, per scattare al momento opportuno, noi impariamo anche a fermarci e ritrovare il nostro ritmo per digerire l’esperienza e goderne.

     
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  16. Volevo imparare a pensare
    Sono convita che diamo troppo per scontato di saperlo fare.
    Di sapere cosa vuol dire.

     


     

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  17. È bello ritrovarsi viva al risveglio e poi, nel corso della giornata, ricordarsene un po’. Essere vivi, presenti, osservatori di una storia infinita è qualcosa di magico, di miracoloso. 

    Se non sei distratto, assorbito nelle cose da fare, tutto assume l’aspetto di una meraviglia e di un’immenso punto interrogativo.

     

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  18. Ci vuole un luogo magico, una situazione speciale. Per qualcuno è una stanza, per Luana era una boccia d’acqua piuttosto capace con un pesce rosso che vi nuotava dentro.
Era il suo stratagemma per aprire l’animo ai doni dell’immaginazione. Era davanti a quella boccia che Luana sognava la sua vita.
Era convinta di una cosa. Che la gente sbaglia quando pensa che l’immaginazione sia una fuga dalla realtà, che sarebbe di per sé grigia e prosaica.
L’immaginazione è sì un allontanamento, ma non dalla realtà, piuttosto da quel modo pigro di guardare alla realtà senza alcuno sforzo di fantasia.
L’immaginazione offriva invece il dono sorprendente di vedere le cose e gli eventi avvolte nella meraviglia. L’immaginazione regalava alla vita quell’energia creativa che rende ogni cosa lucente.

     

     

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  19. La maggior parte delle persone con cui parlo portano il discorso sulle questioni di cuore e su quelle del lavoro. Le domande concernono quasi sempre il desiderio di uscire da una routine che è diventata grigia, insignificante, talvolta soffocante e tormentata. 

    Sospetto che, sotto le parole “amore” e “lavoro”, ci sia uno strato più profondo della carne viva dell’esistenza. Il desiderio che pulsa in questa carne viva, calda e irrequieta è il desiderio di una vita eccitante, avventurosa e succulenta, più che sostare a tempo indeterminato in strutture di sicurezza.

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  20. In quel periodo, non ne volevo più sentire di illuminazione e di itinerari interiori, anche se sapevo che io stessa avevo avuto un percorso interiore.
    In quel periodo andavo nel bosco e il vigore che cresceva nel mio corpo mi sconsigliava di insistere con gli itinerari spirituali.
    Mi dicevo – tra me e me – che la spiritualità aveva avuto un compito importante nella nostra epoca: quello di liberarci dallo stress e dalla pedissequa adorazione dei must sociali, o della stessa appartenenza al mondo.
    Ma, dopo che questo era avvenuto, ed era avvenuto davvero, nel corpo e nell’anima, non si poteva insistere.
    Mi dicevo: cazzo! Tutta questa spiritualità ha avuto il compito di farci desiderare di nuovo di star bene. Respirare bene, essere allegri, e restare in contatto con le energie della vita.
    È stata una gran cosa. Ma ora è tempo di andare avanti.

     

     

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  21. La ricerca della bellezza è leggera e piacevole. Meno pesante della ricerca del vero e del buono. E noi siamo disposti a considerare la bellezza come il bagliore stesso della Verità, che ci visita nell’armonia e nella gentilezza, senza drammi e senza tragedia.


    La bellezza ci fa sentire che siamo a casa. Che ci stiamo bene.

    Ma poiché la vita è fatta di cose serie e pesanti, una parte notevole della nostra esistenza rischia di restare fuori della luce della Bellezza.


    Ed ecco la tentazione dell’artista: perché non provare a fare dell’intera vita un’opera d’arte?

     

     

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  22. Non solo nel senso che molti sogni si sono realizzati.
 Già questo ispira un sentimento di meraviglia che è difficile esprimere. 
Ma anche nel senso che la vita reale e concreta ha acquistato molti dei caratteri generali del sogno. Cosa che dà – per me – all’espressione di Calderon de la Barca, secondo cui La vida es sueño, un significato del tutto particolare.

    La mia vita è diventata sempre di più sogno. Una leggerezza che assomiglia al volo. Eventi che capitano come per incanto. Desideri che si ritrovano ad avere la pelle e le ossa. Un orizzonte che sembra indifferente agli attacchi del tempo e ai limiti della biologia…
     

    Forse l’amore per la bellezza, la via della bellezza, la capacità dello sguardo di vedere la bellezza, è un corridoio dell’essere che conduce in quell’altrove che il cuore sogna da sempre… Chissà?

    Non so dire queste cose, non so spiegarle. Non ho nessuna rivelazione sulle meccaniche celesti. Mi piace raccontare quel che succede, quel che si sogna, quello che comporta il credere nei propri sogni.

    Non so suggerire accorgimenti per vincere in borsa, vendere meglio, gestire un’organizzazione produttiva o di servizi.
In queste cose il mio pensiero è semplice, primitivo: credi in quello che fai, fai quello che ami, dacci dentro con passione ed entusiasmo. Accetta gli eventi portati dal tempo come situazioni ricche di possibilità, comunque si presentino. Ama ciò che accade chiedendogli di mostrarti la strada per dare un contributo alla tua avventura. Godi giorno per giorno del tuo trafficare con le cose, le persone, gli eventi. Dai alla materia della vita che ti viene incontro la forma più bella che sei capace di immaginare.
Attento a non lasciarti distrarre dalla polvere della vita. Riportati a te stesso facendoti continuamente la domanda: cosa sto facendo? È qui che voglio andare? È questo che mi preme davvero? È questo che fa la differenza?

    Non ti preoccupare di apparire folle, irragionevole. Godi di fare a modo tuo. Non devi soddisfare l’aspettativa di nessun altro che di quella voce che ti porti dentro. Se è impossibile non avere un dio, cerca di avere quel dio che è amico dei tuoi sogni. Se il tuo dio non si comporta secondo le tue aspettative, prendi tu l’iniziativa nei suoi confronti e fallo arrossire di vergogna (!). Perché gli dei sono figli dell’immaginazione umana, e spesso, anche quando è ben intenzionata, l’immaginazione umana mette il mistero in una gabbia che va smontata.

    Ama e dona. Fallo per il piacere di amare. Non chiedere nulla in cambio. Non ne hai bisogno.
Accogli, però, a braccia aperte tutti i doni della vita. Esulta, mangiali, nutritene.

    E, finché hai occhi aperti guarda e ammira. Finché hai polmoni che si aprono, respira e godi di essere vivo.

     

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  23. La vita va presa come una sorta di esperimento continuo. Tu sei un laboratorio. Tenti, rifletti, e ritenti, finché impari abbastanza da fare un altro passo in avanti. Verso ciò che riconoscerai come il luogo dove ti senti a casa. Dove farai festa e sosterai per un po’. 
Per ripartire di nuovo: perché l’avventura continua.

     

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  24. Ma il desiderio – come quasi tutto – si mostra ambiguo, ambivalente.

    
La faccia del desiderio che la cultura del risentimento fa propria è quella della mancanza. Si desidera qualcosa che manca. Se ci si focalizza sul lato della mancanza è la mancanza che si espande, nei nostri pensieri e nella vita vissuta. Anche se otteniamo tanto, non ci sarà mai niente che soddisfi l’infinita voragine di ciò che si desidera. Non saremo mai felici su questo versante.

    L’altra faccia del desiderio?


    È tensione vitale, vitalità appassionata, movimento del cuore che mette in moto le ossa e la carne. Energia che ti attraversa e che ti fa fluire.


    Che succederebbe se spegnessimo il desiderio come sembrano – apparentemente – suggerire certe filosofie?


    Che vita sarebbe una piatta quiescenza nel nirvana?

    Cosa sarebbe la mia vita senza i miei sogni?


    Per uscire dalla trappola della cultura del risentimento bisogna rivolgere lo sguardo sul lato vitale del desiderio. Desiderare e sognare ora, qui, adesso. Capire che la vitalità del desiderio adesso è la qualità migliore del mio presente.


    Hai visto mai dei grandi uomini e delle grandi donne che non fossero infiammati dalla passione?


    Hai visto mai grandi realizzazioni che non fossero il parto di sogni coltivati con testardaggine?

     

     

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  25. È vero, da qualche giorno è autunno. 

    Nei miei occhi tuttavia, sfilano ancora i colori dell’estate.

     

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      proprio perfetta questa foto , bellissima :)