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Su di me

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    12 marzo
  • Situazione sentimentale
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  1. Mentre percorro il mio cammino…

    
Guardo i volti delle persone. Come fossero parole. Cerco il senso di quello che vogliono dire. Come se i volti fossero la parola corporea del desiderio dell’anima. Della ricerca di una storia. Cerco quella vibrazione che mi accomuna alla loro storia. Cerco un’immagine di me stessa nei volti delle persone.


    I volti delle persone come linguaggio. E spesso si tratta di un linguaggio che si dice da sé, dentro di loro. Di cui loro stessi non sono chiaramente consapevoli.

    
Come io stessa sento ma non sono del tutto consapevole.
E spesso nasce, da questo incontro di volti, una qualche intuizione.


    Guardavo il volto di Andrea, l’altra sera.


    Avevano servito merluzzo fresco con olive e patate. La luce delle lampade, il respiro leggero della notte sul lago… Guardavo il suo volto, mentre parlava, con una certa eccitazione. Non parlava neanche di lavoro – benché sia impegnato in un’attività piuttosto gravosa. Anche se è il suo lavoro. Come si dice? La sua missione.


    Lui la vive così. Parlava di qualcosa che era dentro il lavoro e fuori di esso.
     

    C’erano zanzare? Sì, ricordo le zanzare. Il lago. Il caldo. È estate, ormai..
     

    E mi sono rimasti impressi quegli occhi.


    A volte non ricordi le parole, i concetti. Ma ricordi gli occhi. E gli occhi hanno un loro discorso. Che si dipana dietro le parole. E che poi, magari a casa, prima di andare a dormire, tu traduci nelle tue parole. Come faccio io adesso.


    Cosa diceva Andrea quella sera? Ricordo poco. Perché si dicono tante parole in fretta, per riempire gli spazi di una serata tra amici. E non sono neanche nostre parole. Solo gesti di cortesia. Solo gesti di ospitalità. E quando le parole sono gesti, non importa ricordare le parole.


    Veramente, dentro di me pensavo altro. Pensavo: com’è bello essere parte della vita. Com’è bello aver avuto questo dono di vedere e sentire qualcosa della vita! Dicevo più o meno queste cose, dentro di me. Perché era una di quelle sere in cui tutto sembra miracolo.


    E c’erano quegli occhi. Ed Andrea che parlava – non credo parlasse di lavoro. Ma non ricordo le parole.


    E quegli occhi entravano nel mio discorso. Sembrava si staccassero da quello che Andrea diceva. Che si staccassero dalla stesso Andrea. Ed entravano nel mio discorso. Erano due occhi interlocutori. Parlavano con me, indipendentemente da Andrea. Che strano!


    Mi sembrava perfino irrispettoso. Insomma, Andrea… eppure, tant’è!


    Non so come, non so spiegare, ma quegli occhi mi richiamavano.

    Mi dicevano che il centro è da quella parte. Sincerità radicale. Quello che senti davvero, quello che vedi davvero. Quello che pensi davvero.


    E: affidati. Credici. Credici completamente. Qualcosa del genere.


    Si sa, queste sono parole. Ma come si fa a dire gli umori, i moti del cuore, i richiami dell’anima?


    E vedevo dentro i miei ricordi come una traccia di storia. La traccia di una ricerca di sincerità radicale. Una sorta di integrità.

     

     

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