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A poche centinaia di metri dal lusso che si affacciava sul Lago Maggiore, ecco la dimora del barbone Borromeo. Ogni sera, il derelitto vi tornava, sapido della dolce voluttà con cui ci si avvicina al luogo d’incontro con l’amante segreta.
La casa era invasa dall’edera: senza tregua, la rampicante era a cibarsi di qualche residuo, uno stipite intatto, un muro di calcinacci o un’intonaco umido e marcio.
Borromeo stendeva la coperta sulla parte di pavimento che, in quel momento, gli sembrava più solida e meno malsana. Il sonno arrivava presto.
Col sonno sopraggiungeva anche il sogno, che era sempre lo stesso: qualcuno lo abbracciava e la presa era forte e umida, scintillante di gocce d’acqua verde e melmosa, e un tepore odoroso di acquitrino gli massaggiava la nuca, finché l’artiglio non stringeva e strozzava e uccideva il respiro.
Lontano, sopra qualche isola del Lago, un bassista elettrico cercava - senza freni o inibizioni - un dub che non trovava, neanche per caso.