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-
Il mio posto è
accanto a te,
e quando ti brillano
gli occhi di felicità
e il buon umore
ti sprizza fuori
da ogni poro,
e quando l’angoscia
e la disperazione,
la paura e il pessimismo
ti attanagliano il cuore.
Al sorgere del nuovo
giorno e al calar del sole,
sempre mi avvinghio te
e attendo speranzoso
le tue ambite effusioni
e paradisiache dolcezze.
-
Grazie per il lusinghiero accostamento.
2019
Ch’io ricordi,
l’inverno scorso
è stato tra i più duri,
pertanto percepito
lunghissimo ( geniale
pensiero di Einstein ).
Non è mancata però
La consolazione
Delle manifestazioni
D’affetto familiari
Di moglie, figli e nipoti.
Per loro io paterfamilias
Dovrei esser eterno,
ma l’eternità appartiene
solo ai sentimenti
e alla poesia, come voleva
il Romanticismo ottocentesco.
-
CARDUCCI
Per le nozze di mia figlia ( 1880-81 )
O nata quando su la mia povera
casa passava come uccel profugo
la speranza, e io disdegnoso
battea le porte de l’avvenire;
or che il piè fermai su ‘l termine
cui combattendo valsi raggiungere
e rauchi squittiscon da torno
i pappagalli lusingatori;
tu mia colomba t’involi, trepida
il nuovo nido voli a contessere
oltre Appennino, nel nativo
aere dolce de’ colli tòschi.
Va’ con l’amore, va’ con la gioia,
va’ con la fede candida. L’umide
pupille fise al vel fuggente,
la mia Camena tace e ripensa.
Ripensa i giorni quando tu parvola
coglievi fiori sotto le acacie,
ed ella reggendoti a mano
fantasmi e forme spiava in cielo.
Ripensa i giorni quando a la morbida
tua chioma intorno rozze strisciavano
le strofe contro a gli oligarchi
librate e al vulgo vile d’Italia.
E tu crescevi pensosa vergine,
quand’ella prese d’assalto intrepida
i clivi de l’arte e piantovvi
la sua bandiera garibaldina.
Riguarda, e pensa. De gli anni il tramite
teco fìa dolce forse ritessere,
e risognare i cari sogni
nel blando riso de’ figli tuoi?
O forse meglio giova combattere
fino a che l’ora sacra richiamine?
Allora, o mia figlia, - nessuna
me Beatrice ne’ cieli attende –
allora al passo che Omèro ellenico
e il cristiano Dante passarono
mi sgorga il tuo sguardo soave
la nota voce tua m’accompagni.
-
MONTALE
Da “ Quaderno di quattro anni “
Domande senza risposta
Mi chiedono se ho scritto
un canzoniere d’amore
e se il mio “ onlie begetter “
è uno solo o è molteplice.
Ahimè,
la mia testa è confusa, molte figure
vi si addizionano,
ne formano una sola che discerno
a malapena nel mio crepuscolo.
Se avessi posseduto
un liuto come d’obbligo
per un “trobar “ meno chiuso
non sarebbe difficile
dare un nome a colei che ha posseduto
la mia testa poetica o altro ancora.
Se il nome
fosse una conseguenza delle cose,
di queste non potrei dirne una sola
perché le cose sono fatti e i fatti
in prospettiva sono appena cenere.
Non ho avuto purtroppo che la parola,
qualche cosa che approssima ma non tocca;
e così
non c’è depositaria del mio cuore
che non sia nella bara. Se il suo nome
fosse un nome o più nomi non conta nulla
per chi è rimasto fuori, ma per poco,
della divina inesistenza. A presto,
adorate mie larve!
-
La mia no -cari saluti.
Il mio posto è
accanto a te,
e quando ti brillano
gli occhi di felicità
e il buon umore
ti sprizza fuori
da ogni poro,
e quando l’angoscia
e la disperazione,
la paura e il pessimismo
ti attanagliano il cuore.
Al sorgere del nuovo
giorno e al calar del sole,
sempre mi avvinghio te
e attendo speranzoso
le tue ambite effusioni
e paradisiache dolcezze.
-
CARDUCCI
Per le nozze di mia figlia ( 1880-81 )
O nata quando su la mia povera
casa passava come uccel profugo
la speranza, e io disdegnoso
battea le porte de l’avvenire;
or che il piè fermai su ‘l termine
cui combattendo valsi raggiungere
e rauchi squittiscon da torno
i pappagalli lusingatori;
tu mia colomba t’involi, trepida
il nuovo nido voli a contessere
oltre Appennino, nel nativo
aere dolce de’ colli tòschi.
Va’ con l’amore, va’ con la gioia,
va’ con la fede candida. L’umide
pupille fise al vel fuggente,
la mia Camena tace e ripensa.
Ripensa i giorni quando tu parvola
coglievi fiori sotto le acacie,
ed ella reggendoti a mano
fantasmi e forme spiava in cielo.
Ripensa i giorni quando a la morbida
tua chioma intorno rozze strisciavano
le strofe contro a gli oligarchi
librate e al vulgo vile d’Italia.
E tu crescevi pensosa vergine,
quand’ella prese d’assalto intrepida
i clivi de l’arte e piantovvi
la sua bandiera garibaldina.
Riguarda, e pensa. De gli anni il tramite
teco fìa dolce forse ritessere,
e risognare i cari sogni
nel blando riso de’ figli tuoi?
O forse meglio giova combattere
fino a che l’ora sacra richiamine?
Allora, o mia figlia, - nessuna
me Beatrice ne’ cieli attende –
allora al passo che Omèro ellenico
e il cristiano Dante passarono
mi sgorga il tuo sguardo soave
la nota voce tua m’accompagni.
-
C’è maggiore felicità
Per un uomo deluso
O arido di cuore ?
Quando incontra
La donna della sua vita
E si sente subito attratto ?
Il cuore sobbalza e trepida
Fin che non la rivede.
E pensare a lei diventa
Sempre più continuo
E consolante.
E’ il top quando vede
Gli occhi di lei
Brillare di luce
E divenire languidi
D’amore
-
MONTALE
Da “ Quaderno di quattro anni “
Domande senza risposta
Mi chiedono se ho scritto
un canzoniere d’amore
e se il mio “ onlie begetter “
è uno solo o è molteplice.
Ahimè,
la mia testa è confusa, molte figure
vi si addizionano,
ne formano una sola che discerno
a malapena nel mio crepuscolo.
Se avessi posseduto
un liuto come d’obbligo
per un “trobar “ meno chiuso
non sarebbe difficile
dare un nome a colei che ha posseduto
la mia testa poetica o altro ancora.
Se il nome
fosse una conseguenza delle cose,
di queste non potrei dirne una sola
perché le cose sono fatti e i fatti
in prospettiva sono appena cenere.
Non ho avuto purtroppo che la parola,
qualche cosa che approssima ma non tocca;
e così
non c’è depositaria del mio cuore
che non sia nella bara. Se il suo nome
fosse un nome o più nomi non conta nulla
per chi è rimasto fuori, ma per poco,
della divina inesistenza. A presto,
adorate mie larve!
-
Ora che son vittima
di lunga e fastidiosa
convalescenza,
non segni di apprensione,
malessere e insofferenza
vorrei leggere nel tuo viso
e nei tuoi atti quotidiani,
ma chiari segni di comprensione
e di tenerezza.
-
MONTALE
Ai tuoi piedi
Mi sono inginocchiato ai tuoi piedi
o forse è un’illusione perché non si vede
nulla di te,
i miei peccati
attendendo il verdetto con scarsa fiducia
e debole speranza non sapendo
che senso hanno quassù, il prima e il poi
il presente il passato l’avvenire
e il fatto che io sia venuto al mondo
senza essere consultato.
Poi penserò alla vita di quaggiù
non “ sub specie aeternitatis “,
non risalendo all’infanzia
e agli ingloriosi fatti che l’hanno illustrata
per poi ascendere a un dopo
di cui sarò all’anteporta.
Attendendo il verdetto
che sarà lungo o breve grato o ingrato
ma sempre temporale e qui comincia
l’imbroglio perché nulla di buono è mai pensabile
nel tempo,
ricorderò gli oggetti che ho lasciati
al loro posto, un posto tanto studiato,
agli uccelli impagliati, a qualche ritaglio
di giornale, alle tre o quattro medaglie
di cui sarò derubato e forse anche
alle fotografie di qualche mia Musa
che mai seppe di esserlo,
rifarò il censimento di quel nulla
che fu vivente perché fu tangibile
e mi dirò se non fossero
queste solo e non altro la mia consistenza
e non questo corpo ormai incorporeo
che sta in attesa e quasi si addormenta.
-
Cessa di figurarmi
Quale scellerato coniuge
Ch’ha violato ingiustamente
La fede nuziale.
E’ vero: ho perduto l’anello nuziale,
Ma per stupida fatalità!
Non è mai mutato
Il sentimento che nutro per te
Negli abissi del cuore.
E il mio pensiero
È sempre
Rivolto a te soltanto.
Credimi:
è l’unica realtà!
-
Dalle stelle precipiterei
Negli abissi,
Se tu cessassi di amarmi
Per tua o per mia colpa.
Il cielo dell’anima mia
Sarebbe sempre coperto di livore
O in tutto simile a notte fonda.
Buio sarebbe il futuro,
Spenta ogni speranza di vita.
-
Se è vero
Che ancor m’accetti
Quale amante e sposo
Indissolubilmente a te congiunto,
E’ vero anche
Che la tua fiducia traballa
E ti rode la gelosìa latente
-
Credimi – immotivata.
Quali prove ancora
Ti attendi?
T’amo ancora…
come sempre
E mai potrei…
Fare a meno di te!
-
-
Se è vero
Che ancor m’accetti
Quale amante e sposo
Indissolubilmente a te congiunto,
E’ vero anche
Che la tua fiducia traballa
E ti rode la gelosìa latente
-
Credimi – immotivata.
Quali prove ancora
Ti attendi?
T’amo ancora…
come sempre
E mai potrei…
Fare a meno di te!
-
-
Soffocami di baci,
Colmami di carezze,
Promettimi amore eterno,
Anche se non lo merito
Del tutto
Per le mie incomprensioni
E il mio innato maschilismo.
Ti vivo sempre accanto,
A fianco a te,
Unica donna e padrona
Della mia vita.
Orsù, sorridimi
Come sempre hai fatto
In tanti momenti belli,
Sempre vivi nella memoria,
in eterno incancellabili.
-
QUASIMODO
“ E la tua veste è bianca “
Piegato hai il capo e mi guardi;
e la tua veste è bianca,
e un seno affiora dalla trina
sciolta sull’omero sinistro.
Mi supera la luce, trema,
e tocca le tue braccia ignude.
Ti rivedo. Parole
avevi chiuse e rapide,
che mettevano cuore
nel peso d’una vita
che sapeva di circo.
Profonda la strada
su cui scendeva il vento
certe notti di marzo,
e ci svegliava ignoti,
come la prima volta.
“ Antico inverno “
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma :
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po’ di sole, una raggera d’angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d’aria al mattino.
-
QUASIMODO
“ E la tua veste è bianca “
Piegato hai il capo e mi guardi;
e la tua veste è bianca,
e un seno affiora dalla trina
sciolta sull’omero sinistro.
Mi supera la luce, trema,
e tocca le tue braccia ignude.
Ti rivedo. Parole
avevi chiuse e rapide,
che mettevano cuore
nel peso d’una vita
che sapeva di circo.
Profonda la strada
su cui scendeva il vento
certe notti di marzo,
e ci svegliava ignoti,
come la prima volta.
“ Antico inverno “
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma :
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po’ di sole, una raggera d’angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d’aria al mattino.
-
scompaiomatorno ha aggiunto una reazione
-
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MONTALE
Sorapis, 40 anni fa
Non ho mai amato molto la montagna
e detesto le Alpi. Le Ande, le Cordigliere
non le ho vedute mai. Pure la Sierra
de Guadarrama mi ha rapito, dolce
com’è l’ascesa e in vetta daini, cervi,
secondo le notizie dei dèpliants turistici.
Solo l’elettrica aria dellEngadina
ci vinse, mio insettino, ma non si era
tanto ricchi da dirci “ hic manebimus “.
Tra i laghi solo quello di Sorapis
fu la grande scoperta. C’era la solitudine
delle marmotte più udite che intraviste
e l’aria dei Celesti, ma quale strada
per accedervi? Dapprima la percorsi
da solo per vedere se i tuoi occhietti
potevano addentrarsi tra cunicoli
zigzaganti tra lastre alte di ghiaccio.
E così lunga! Confortata solo
Nel primo tratto, in folti di conifere,
dallo squillo d’allarme delle ghiandaie.
Poi ti guidai tenendoti per mano
fino alla cima, una capanna vuota.
Fu quello il nostro lago, poche spanne d’acqua,
due vite troppo giovani per essere vecchie,
e troppo vecchie per sentirsi giovani.
Scoprimmo allora che cos’è l’età.
Non ha nulla a che fare col tempo, è qualcosa che dice
che ci fa dire siamo qui, è un miracolo
che non si può ripetere. Al confronto
la gioventù è il più vile degli inganni.
-
Nei “ Sassi di Matera “al calar del sole
Fino agli anni Cinquanta
Or che nella corte del vicinato
Sirio lentamente s’asconde
Dietro i crinali dell’Appennino,
Si smorza il chiasso dei fanciulli.
Ad una ad una escono dalle case-grotte
Le madri e le figlie da marito
Ch’hanno di già approntato
Il modesto desinare ai mariti o ai padri.
Han tempo fino all’imbrunire e oltre,
Per spettegolare o lamentarsi,
Quando stanchi e affamati
Gli uomini tornano dai campi seminati
O dai piccoli orti o dalle vigne proprie,
talora dalle altrui proprietà.
L’asino o il mulo a lor dinanzi
Avanzano zoccolando sul selciato sconnesso.
Qual più gonfia qual meno
Donzolano le bisacce
E canta l’acqua di fonte nei barili.
Le fiasche son vuote, più di vino che d’acqua.
La parca cena li ristora, il vino, prezioso
E perciò misto ad acqua, li disseta.
Indi assisi sul muricciolo con gusto
Aspirano tabacco dalla pipa attempata
O dallo spinello fresco di paziente fattura.
Han poco tempo per scambiare
Qualche parola coi vicini di casa,
Già che la stanchezza del duro lavoro
Ormai ha il sopravvento e calano
Le palpebre, di tanto in tanto.
Le donne di casa han sparecchiato
E lavato le stoviglie, non tante.
Ora mettono a letto i loro uomini e bambini,
Spengono i costosi lumi e tornano
A confabular con le vicine.
Che mai si dicon tra loro?
E’ presto detto: nascite, matrimoni e lutti,
Figli e acciacchi, gioie e dolori,
Speranze e delusioni.
Anche l’andamento del tempo
È tema ricorrente, perché dai capricci del cielo
Dipende ogni spiga, ogni legume,
Ogni tronco di vite, ogni dono dell’orto,
Ogn’erba selvatica o medicinale.
Vita semplice e dura, scandita
Dalla vicenda incessante delle stagioni.
Vita breve per ogni sorta di male,
Che non risparmia bambini, gestanti, Puerpere, uomini sfiancati dalle fatiche
Dal primo mane a tarda sera,
Più di rado anziane dalla pelle grinzosa.
Eppur vita tranquilla, più che nel dopoguerra
Frenetico, incalzato da presunto progresso.
-
Nei “ Sassi di Matera “al calar del sole
Fino agli anni Cinquanta
Or che nella corte del vicinato
Sirio lentamente s’asconde
Dietro i crinali dell’Appennino,
Si smorza il chiasso dei fanciulli.
Ad una ad una escono dalle case-grotte
Le madri e le figlie da marito
Ch’hanno di già approntato
Il modesto desinare ai mariti o ai padri.
Han tempo fino all’imbrunire e oltre,
Per spettegolare o lamentarsi,
Quando stanchi e affamati
Gli uomini tornano dai campi seminati
O dai piccoli orti o dalle vigne proprie,
talora dalle altrui proprietà.
L’asino o il mulo a lor dinanzi
Avanzano zoccolando sul selciato sconnesso.
Qual più gonfia qual meno
Donzolano le bisacce
E canta l’acqua di fonte nei barili.
Le fiasche son vuote, più di vino che d’acqua.
La parca cena li ristora, il vino, prezioso
E perciò misto ad acqua, li disseta.
Indi assisi sul muricciolo con gusto
Aspirano tabacco dalla pipa attempata
O dallo spinello fresco di paziente fattura.
Han poco tempo per scambiare
Qualche parola coi vicini di casa,
Già che la stanchezza del duro lavoro
Ormai ha il sopravvento e calano
Le palpebre, di tanto in tanto.
Le donne di casa han sparecchiato
E lavato le stoviglie, non tante.
Ora mettono a letto i loro uomini e bambini,
Spengono i costosi lumi e tornano
A confabular con le vicine.
Che mai si dicon tra loro?
E’ presto detto: nascite, matrimoni e lutti,
Figli e acciacchi, gioie e dolori,
Speranze e delusioni.
Anche l’andamento del tempo
È tema ricorrente, perché dai capricci del cielo
Dipende ogni spiga, ogni legume,
Ogni tronco di vite, ogni dono dell’orto,
Ogn’erba selvatica o medicinale.
Vita semplice e dura, scandita
Dalla vicenda incessante delle stagioni.
Vita breve per ogni sorta di male,
Che non risparmia bambini, gestanti, Puerpere, uomini sfiancati dalle fatiche
Dal primo mane a tarda sera,
Più di rado anziane dalla pelle grinzosa.
Eppur vita tranquilla, più che nel dopoguerra
Frenetico, incalzato da presunto progresso.
-
bellissimi versi!
Grazie @fel55
-
-
MONTALE
Quasi un madrigale
Il girasole piega a occidente
e già precipita il giorno nel suo
occhio in rovina e l’aria dell’estate
s’addensa e già curva le foglie e il fumo
dei cantieri. S’allontana con scorrere
secco di nubi e stridere di fulmini
quest’ultimo gioco del cielo. Ancora,
e da anni, cara, ci ferma il mutarsi
degli alberi stretti dentro la cerchia
dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno
e sempre quel sole che se ne va
con il filo del suo raggio affettuoso.
Non ho più ricordi,non voglio ricordare;
la memoria risale dalla morte,
la vita è senza fine. Ogni giorno
è nostro. Uno si fermerà per sempre,
e tu con me, quando ci sembri tardi.
Qui sull’argine del canale, i piedi
in altalena, come di fanciulli,
guardiamo l’acqua, i primi rami dentro
il suo colore verde che s’oscura.
E l’uomo che in silenzio s’avvicina
non nasconde un coltello fra le mani,
ma un fiore di geranio.
Altra volta salimmo fino alla torre
dove sovente un passero solitario
modulava il motivo che Massenet
imprestò al suo Des Grieux.
Più tardi ne uccisi uno fermo sull’asta
della bandiera : il solo mio delitto
che non so perdonarmi. Ma ero pazzo
e non di te, pazzo di gioventù,
pazzo della stagione più ridicola
della vita. Ora sto
a chiedermi che posto tu hai avuto
in quella mia stagione. Certo un senso
allora inesprimibile, più tardi
non l’oblio ma una punta che feriva
quasi a sangue. Ma allora eri già morta
e non ho mai saputo dove e come.
Oggi penso che tu sei stata un genio
di pura inesistenza, un’agnizione
reale perché assurda. Lo stupore
quando s’incarna è lampo che ti abbaglia
e si spenge. Durare potrebbe essere
l’effetto di una droga nel creato,
in un medium di cui non si ebbe mai
alcuna prova.
-
MONTALE
Quasi un madrigale
Il girasole piega a occidente
e già precipita il giorno nel suo
occhio in rovina e l’aria dell’estate
s’addensa e già curva le foglie e il fumo
dei cantieri. S’allontana con scorrere
secco di nubi e stridere di fulmini
quest’ultimo gioco del cielo. Ancora,
e da anni, cara, ci ferma il mutarsi
degli alberi stretti dentro la cerchia
dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno
e sempre quel sole che se ne va
con il filo del suo raggio affettuoso.
Non ho più ricordi,non voglio ricordare;
la memoria risale dalla morte,
la vita è senza fine. Ogni giorno
è nostro. Uno si fermerà per sempre,
e tu con me, quando ci sembri tardi.
Qui sull’argine del canale, i piedi
in altalena, come di fanciulli,
guardiamo l’acqua, i primi rami dentro
il suo colore verde che s’oscura.
E l’uomo che in silenzio s’avvicina
non nasconde un coltello fra le mani,
ma un fiore di geranio.
Altra volta salimmo fino alla torre
dove sovente un passero solitario
modulava il motivo che Massenet
imprestò al suo Des Grieux.
Più tardi ne uccisi uno fermo sull’asta
della bandiera : il solo mio delitto
che non so perdonarmi. Ma ero pazzo
e non di te, pazzo di gioventù,
pazzo della stagione più ridicola
della vita. Ora sto
a chiedermi che posto tu hai avuto
in quella mia stagione. Certo un senso
allora inesprimibile, più tardi
non l’oblio ma una punta che feriva
quasi a sangue. Ma allora eri già morta
e non ho mai saputo dove e come.
Oggi penso che tu sei stata un genio
di pura inesistenza, un’agnizione
reale perché assurda. Lo stupore
quando s’incarna è lampo che ti abbaglia
e si spenge. Durare potrebbe essere
l’effetto di una droga nel creato,
in un medium di cui non si ebbe mai
alcuna prova.
-
Belvedere
Sui “Sassi” di Matera
Non può mancarci, cara,
La salita al Belvedere.
Che spettacolo si presenta
Ai nostri occhi stupiti!
A fronte,
Sulla dorsale collinare
L’immenso drago
Della nuova Matera
Disteso per vari chilometri
Da nord a sud.
Giù nella profonda gravina
Il torrente omonimo
Si svolge tortuoso e sonnolento.
Soffia il vento lieve e costante
E scompiglia dolcemente
I tuoi setosi lunghi capelli
Mentre fissi sull’altra ripa scoscesa
Le cavità d’accesso
Alle millenarie chiese rupestri.
Poi mi chiedi di avventurarci
Tra quelle sottostanti al Belvedere
E t’incanti a contemplare e studiare
I brandelli di dipinti
Di santi e storia sacra.
Infine mi conduci quasi riluttante
Tra i sassi murgiani
Per esplorare il pianoro.
E cerchi qualche punto appartato
Per coprirmi di baci
E stringermi al tuo petto,
Ebbra di felicità
Per l’insolita giornata.
-
G. UNGARETTI
Da “ Sentimento del tempo “
Scade flessuosa la pianura d’acqua.
Nelle sue urne il sole
Ancora segreto si bagna.
Una carnagione lieve trascorre.
Ed ella apre improvvisa ai seni
La grande mitezza degli occhi.
L’ombra sommersa delle rocce muore.
Dolce sbocciata dalle anche ilari,
Il vero amore è quiete accesa,
E la godo diffusa
Dall’ala alabastrina
D’una mattina immobile.
Ricordo d’Affrica ( 1924 )
Non più ora tra la piana sterminata
E il largo mare m’apporterò, né umili
Di remote età, udrò più sciogliersi, chiari,
Nell’aria limpida, squilli; né più
Le grazie acerbe andrà nudando
E in forme favolose esalterà
Folle la fantasia,
Né dal rado palmeto Diana apparsa
In agile abito di luce,
Rincorrerò
( In un suo gelo altiera s’abbagliava,
Ma le seguiva gli occhi nel posarli
Arroventando disgraziate brame,
Per sempre
Infinito velluto ).
E’ solo linea vaporosa il mare
Che un giorno germogliò rapace,
E nappo d’un miele, non più gustato
Per non morire di sete, mi pare
La piana, e a un seno casto, Diana vezzo
D’opali, ma nemmeno d’invisibile
Non palpita.
Ah! Questa è l’ora che annuvola e smemora.
-
Succede anche a voi ,
Giovanna e cari amici
Compagni di viaggi ,
Di ricordare il nostro
Piero , col sorriso ,
Mentre recitate per lui
Un nostalgico “ requiem “ ?
Come dimenticare
La sua impetuosità
Nella discussione
E il suo linguaggio
Talvolta scurrìle !
Giovanna, tu l’hai amato
Tanto , ma sappi che
Anche a noi manca
Perché gli abbiamo voluto
Tanto bene e provato per lui
Tanta simpatìa.
Per consolarci,
Crediamo fermamente
Che il suo spirito
È ancora fra noi
E continua a canzonarci.
-
Perché trepidi
E a tratti piangi
Se non è ancora giunta
L’ora mia ?
Prega il Cielo
Che ci lasci svegliare
Ancora accanto
E augurarci
Il nuovo buon giorno.
-
Forse inconsapevole
Persino l’odore
Cerco di te
Come cucciolo.
Metafora
Di mia madre
Perduta anzi tempo?
Piuttosto
Di quella metà
Dell’anima mia
Che mi dà gioia
E inseguo continuamente.
-
Soli.
Altro non può desiderare
Chi è innamorato come me.
Esser soli
È natura congeniale all’amore.
A volte basta
Guardarti mentre taci e pensi.
E poche parole
Bastano
Per rompere il loquace silenzio.
Una mia carezza,
Il tuo rossore
Basta pure
Per intonare il canto dell’amore
E toccare il cielo con un dito.
-
Solo ti chiedo
Che tu mi lasci
Sognare ancora
Cieli sereni,
Mare azzurro
E monti innevati.
E tu solo mi chiedi
Vita tranquilla
E trasparenza di pensieri,
Amore sincero e unico.
Troppo preziosa è
La felicità coniugale.
Tu lo sai, io lo so.
Ma a noi non costa nulla
Proteggerla,
Perché l’amore di mezzo secolo
E’ pietra di diamante.
-
Certe notti
Non vedo l’ora
Si faccia giorno,
Sì che possa rivedere
In piena luce il tuo volto
E i tuoi occhi luminosi
Per la gioia o , talvolta, tristi.
E’ allora che mi chiedo
Cosa ci riserva la vita
Per quel dì e per quelli
A venire e trepido
Per te più che per me.
-
“ Fidàti colloqui d’amore “
Ci porta il lento
Risveglio del mattino
E la pace effusa della sera.
Il tuo capo
Sul mio petto,
Il tuo braccio avvinto
Come laccio,
Ti dico parole di miele,
E tu rafforzi la tua morsa
E miagoli come gattina
In calore.
Ma talora per un nonnulla
Mi serbi rancore
E mi porgi solo le terga,
in tutto simile alla folle Luna.