- Donna
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- Brescia (BS)
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Ci sono trappole nel linguaggio. S’impara a riconoscerle un po’ per volta. Betty Edwards – una maestra fantastica nell’arte del disegno – diceva: “Quando ad un bambino dici che quello è un cane, smetterà di guardarlo”. Ormai ha un nome. E col nome un concetto. E le parole si mettono insieme. La logica è il loro campo magnetico d’aggregazione. Ne nasce un quadro di significati. L’occhio si sposta sul quadro e, pigramente, non ritorna a ciò che ha visto e che potrebbe continuare a guardare. Allora nascono le definizioni, e la voglia di vivere si veste di quelle definizioni come di vestiti al pranzo di gala della cultura. E ci sono i maestri di cerimonie. E i galatei. A questo punto hai perso il contatto.
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hai piani per questo weekend? ho letto che le città inizieranno a ripopolarsi!
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Quale mobile (mi sembra di capire tu sia un esperto) mi consiglieresti in un salotto blu?
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Noi sentivamo che il centro della faccenda era l’amore. E sapevamo di essere ignoranti – terribilmente ignoranti – in materia. Il nostro sentimento era pieno di nostalgia per ciò che avrebbe potuto essere, di quello che le nostre storie passate sarebbero potute diventare. E sentivamo che questa era ignoranza. Come rimpiangere i libri e i film letti o visti.
La punta della nostra coscienza ci diceva che l’amore era davanti, e che doveva essere scoperto e inventato. Noi sentivamo che non c’erano limiti a questo. Né l’età, né il denaro, né il sapere.
Non eravamo noi a provare l’amore, ma era l’Amore che aveva preso noi e ci trascinava per territori nuovi. E volevamo essere leggeri. E, oltre a pulire le nostre cantine, sapevamo che dovevamo camminare agili e veloci per i sentieri che il tempo ci portava. In fondo, pulivamo le nostre cantine, e gettavamo nei cassonetti decenni di passato, solo per essere leggeri come gli opliti. Per avere gambe agili e piedi robusti. E braccia pronte ad afferrare i rami. E a nuotare nel mare della vita.
La luce e l’aria di quell’Agosto – che molti dicevano morto – ci dava come l’abbrivio di un discorso e di un racconto che solo noi avremmo potuto continuare.
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La luna, finalmente,
e qui sotto, il lampione.
La luna è una focaccia
di senape spalmata,
ti mostra quella faccia
un po' maleducata.
Sembra che voglia ridere
di tutti i tuoi pensieri.
E se ne sta lì fissa,
senza domani o ieri.
"Che fai tu luna in ciel?",
domanderà il poeta.
E lei silente osserva
restandosene quieta
e suscita nel cuore
quella domanda strana
che urge il senso a tutto,
da splendida puttana.
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Buongiorno Cri! Piacere di conoscerti! Nuova da queste parti?