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Risposte agli aggiornamenti di stato pubblicati da pierreroche

  1. Ci hai abbandonato oppure sei silente e osservi?

    1. pierreroche

      pierreroche

      sono andato via...

      per sempre...

      sono tornato da dove sono venuto... dal nulla.

    2. (Guarda 2 altre risposte questo aggiornamento di stato)

  2. – Nel passato se uno aveva un segreto e non voleva
    assolutamente che qualcuno lo sapesse, lo sai che faceva? –

    – Non ne ho la minima idea. –
     

    – Andava in montagna e cercava un albero,
    scavava un buco nel tronco,
    e vi bisbigliava il suo segreto e richiudeva il buco col fango,
    così il segreto non sarebbe stato scoperto mai da nessuno. –

     

    – Ma tu pensa quanta fatica,
    io invece cercherei una donna per raccontarlo e sfogarmi. –

     

    – Non siamo tutti uguali. –
     

    – Dici bene, non siamo tutti uguali,
    io non ho segreti al contrario di te,
    tu invece ti tieni tutto dentro,
    dai su coraggio raccontami qualcosa…
    si tratta di una donna vero? –

     

    – Neanche io ho segreti. –
     

    – Avanti smettila, siamo vecchi amici,
    giuro che non lo dirò a nessuno. –

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    1. pierreroche

      pierreroche

      é in queste pagine... ma é segreto tra le tante righe non scritte, non dette... e vissute dentro di me.

    2. (Guarda 4 altre risposte questo aggiornamento di stato)

  3. – Nel passato se uno aveva un segreto e non voleva
    assolutamente che qualcuno lo sapesse, lo sai che faceva? –

    – Non ne ho la minima idea. –
     

    – Andava in montagna e cercava un albero,
    scavava un buco nel tronco,
    e vi bisbigliava il suo segreto e richiudeva il buco col fango,
    così il segreto non sarebbe stato scoperto mai da nessuno. –

     

    – Ma tu pensa quanta fatica,
    io invece cercherei una donna per raccontarlo e sfogarmi. –

     

    – Non siamo tutti uguali. –
     

    – Dici bene, non siamo tutti uguali,
    io non ho segreti al contrario di te,
    tu invece ti tieni tutto dentro,
    dai su coraggio raccontami qualcosa…
    si tratta di una donna vero? –

     

    – Neanche io ho segreti. –
     

    – Avanti smettila, siamo vecchi amici,
    giuro che non lo dirò a nessuno. –

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    1. pierreroche

      pierreroche

      É un dialogo tratto da un film: in the Mood for love - forse hai visto il film...

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  4. Il castigo

     

    Non ti avevo mai vista alla guida.

    C'eri tu al posto del conducente in quel momento, le mani strette sul volante della tua macchina nuova.

    La strada aveva qualche disconnessione di carreggiata a tratti per colpa dello sterrato, altre volte causa dei dossi spuntati dalle radici. Dei grandissimi pini secolari ci accompagnavano sull’orlo del tragitto.

    La campagna si apriva verso un’area incontaminata naturale e si riempiva di colori in fiore. L’orizzonte si univa alla distesa di un prato verde. Il tuo maneggio abituale distava ancora pochi chilometri; eri solita trascorrere qualche pomeriggio con il tuo cavallo.

    L’abbigliamento che indossavi era tipico dell’occasione a differenza mia che ero solo un visitatore curioso delle tue passioni. La tua camicia era bianca e aderente; aveva un colletto orientale alto che tu lasciavi sbottonato fino alla quarta asola. Eri solita e abituata a fare così, dicevi che il tuo décolleté era una delle tue parti migliori e su questo fatto, più di una volta, il mio sguardo interessato e affascinato te ne aveva data piena certezza. Il cotone era di un candido ancora più bianco alla luce primaverile; aderiva ad ogni tua forma rafforzandola voluminosamente.

    Sopra portavi una giacca di velluto blu sbottonata per guidare più comoda. Il pantalone colore fango attaccava perfettamente ad ogni tua piega. Aveva il rinforzo interno demarcato da delle cuciture che tratteggiavano la particolarità dello stile. In parte il pantalone veniva coperto da dei stivali di pelle alti fino al ginocchio. Quel tuo abbigliamento ti faceva molto più risoluta del solito e metteva forse troppa evidenza di rigore verso ciò che disapprovavi:

    – Non dovresti scrivermi di notte soprattutto se sei stanco di giornata! –

    – Beh scusami, ma stanotte avevo un’ora in più da recuperare per via del cambio d’orario legale –

    – Rischi poi di addormentarti nel momento in cui dovresti essere più sveglio, a quel punto mi arrabbierei davvero – mentre mi pronunciavi queste parole imboccavi la stradina d’ingresso del ranch facendo sobbalzare l’auto da una cunetta.

    – e se poi ti arrabbi che fa? – te lo dicevo con intenzione di sfida pur non comprendendo se effettivamente in quel momento fossi alterata davvero o se stessi solo scherzando con indifferenza.

    Per un attimo rimanevi in silenzio. Il mio sguardo rivolgeva verso il tuo per nulla condizionato dal mio e attento nell’ultima manovra. La mia insolenza unita anche forse ad un maliziosa provocazione non trovava sosta: – quindi? Se ti arrabbi che fai? –

    Improvvisamente frenavi di colpo parcheggiando l’auto. Per il terreno sconnesso le ruote presero a slittare sull’ultimo metro. Un polverone di coda si alzava dietro i nostri retrovisori.

    Ora eri tu a cercare il mio sguardo allarmato dalla frenata; ti voltavi verso di me con una risposta secca e coraggiosa:

    – ti metterò in castigo, chiaro? –

    Lo riferivi tra il serioso e un leggero ghigno di sorriso che non lasciava intendere cosa stavi mai tramando nella mente. Lo stavi dicendo con ironia? E se fosse un rimprovero o un’intimazione? Deformazione professionale pensavo, da maestra, ma allo stesso tempo iniziai a valutare, in maniera del tutto sciocco e inappropriato, un intento malizioso della ipotetica penitenza.

    – beh allora dipende tutto dal castigo – provavo a risponderle con chiara istigazione.

    Dopo essere scesa la tua portiera si chiudeva bruscamente; che ti fossi innervosita sul serio? Ragionavo dentro di me rispetto a quanto poco ti conoscevo.

    Io uscivo più prudentemente e cautamente mi avvicinavo a te seguendoti, mentre ti ridirigevi verso la scuderia. Il tuo passo era sostenuto, gli stivali battevano a terra con vigore.

    Non cercavo di raggiungerti, ti tenevo a due metri. Un po’ perché non avevo ancora intuito lo stato d’animo della tua conversazione, un po’ perché quel pantalone da fantino ti stava magnificamente indosso e non volevo di certo perdermi il movimento dei fianchi che ondulavano poco sotto la giacca.

    – mi stai guardando il culo? –

    – Cosa? – rispondevo quasi incredulo perché forse era la prima volta che ti rivolgevi così a me.

    – mi sembra che tu abbia bisogno di una lezione –

    Poco dopo eravamo nella scuderia.
    Il profumo del fieno era inebriante; il suono del respiro vivo dei cavalli interrompeva a tratti il silenzio. La fila dei box ai lati rimanevano taluni aperti e altri chiusi. Lo zoccolo dei tuoi stivali risuonava lungo il corridoio andando a sfumare rispetto al mio passo. Ti avevo per un attimo perduta nel momento che arretravo per scorgere meglio i cavalli. Alcuni erano bianchi, bruni… altri neri. Non mi ero mai interessato a questo mondo e non conoscevo affatto nulla di tutto ciò.

    E’ avvenuto verso la metà del corridoio, in un istante nel quale ero affacciato ad uno scomparto vuoto, che improvvisamente avvertivo una energica frustata sui glutei. Nel momento che mi sono girato ti ho vista con il tuo frustino in mano stretto dai guanti neri.

    – ma che fai? Ma sei pazza? Mi hai fatto male! –

    Nel vederti così non pensavo altro che indietreggiare mentre tu all’opposto venivi avanti, sempre più, pressandomi volontariamente verso l’interno del box e chiudendoti così alle spalle l’unico varco di uscita.

    – ma che fai? Ma sei impazzita? –

    – te l’ho detto, mi sembra che tu abbia bisogno proprio di essere ben educato –

    Nei pochi passi che mi rimanevano per addossarmi ad un angolo, agitavi la frusta davanti a me, lanciandomi qualche colpetto sulle gambe e sulle braccia, ma erano più leggere rispetto alla prima per la quale ero ancora indolenzito. In quel momento mi accorgevo che avevi anche un sottile sogghigno sulle labbra, un dettaglio che mi rassicurava su una volontà meno dolente rispetto a quanto sembravi asserire inizialmente.
    Allo stesso tempo, oltre ad agitare il frustino, mi accorgevo che con una mano facevi saltare ulteriormente qualche altro bottone della tua camicetta scoprendo ancora di più la fenditura di pelle tra i due seni che si spalancava senza nulla indosso. I capezzoli rimaneva invece coperti sotto il cotone e nella penombra si poteva scorgere visibilmente la punta del loro fermento.

    Arrivato in fondo alla stanza, l’ombra si faceva più fitta e lasciava alludere a quel lato d’oscurità che oltre ad essere caratteristica di quel frangente, lo era anche in corrispondenza alle nostre personalità e ai nostri intenti.

    Con le spalle ormai al muro facevi l’ultimo passo verso me con il tuo corpo quasi pungendomi con i tuoi capezzoli a punta. Alzavi la frusta con l’estremità del cuoio portando la linguetta sotto il mio mento. Con quel fare ancora sinistro e risoluto avvicinavi il viso a pochi centimetri da me. Gli occhi erano affamati.

    In quel momento capivo che c’era una sola volontà e in pochissimo tempo il silenzio fu rotto dal tuo ultimo invito: – sei pronto per la penitenza? –

     

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    1. pierreroche

      pierreroche

      immagino che possa dipendere dalla forza che una persona ci mette....

      non lo so...

      ....sei tu l'esperta....

      ....di equitazione intendo.... 🙂

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  5. Ripenso alle 5 di questa mattina……io che ti chiamavo….e tu che…mi sentivi. Anche se il tutto è accaduto nel sonno… e a distanza.

    Un puro caso?

    Forse.

    Una semplice coincidenza?

    Probabile.

    Ma amo credere che non sia così con te.

    Io penso che un certo tipo di 'comunicazione' possa davvero avvenire fra persone fortemente unite nello spirito…..fra persone tra cui si è stabilita una sorta di simbiosi e che vivono costantemente sintonizzate sulla medesima lunghezza d'onda.

    Purtroppo, noi occidentali non abbiamo un tipo di cultura che ci insegna a privilegiare questi canali comunicativi fra le persone…..

    Però, nonostante questo atteggiamento molto diffuso, la nostra mente tenta ugualmente  di lanciarci dei segnali che è bene non lasciar cadere nel nulla.

    Tempo fa lessi un libro intitolato '…e venne chiamata due cuori'…l'autrice è Marlo Morgan…una donna medico, americana, che ha vissuto un'esperienza unica attraversando il deserto  australiano con un gruppo di aborigeni, catapultata da una realtà 'civile' ad una 'incivile' ma soltanto in apparenza….dove ritrova la sua vera ed essenziale dimensione umana e spirituale che le permetterà di ritornare, dopo mesi, alla sua vita di sempre, totalmente rinnovata nello spirito.

    Mi colpì molto un episodio nel quale descriveva come questi aborigeni, considerati 'selvaggi' dall'esterno,  fossero in grado di comunicare fra loro da una parte  all'altra del deserto per mezzo della telepatìa, consentendo così l'istituzione di una 'rete' di comunicazione che garantisse la sopravvivenza  dei componenti del gruppo….

    Ci sarebbero molte considerazioni da fare su quel libro…..chissà…

    un giorno, forse, lo rileggerò con te….

    1. pierreroche

      pierreroche

      Credo anche io che le anime, quelle che si trovano e si riconoscono in una dimensione tutta loro, riescano anche a comunicare in modo sensoriale, su una lunghezza d'onda a noi sconosciuta dalla fisica...

      ...in questi giorni ne ho la prova certa.

    2. (Guarda 1 altra risposta questo aggiornamento di stato)

  6. Il soggiorno inaspettato

     

    Ti avevo proposto di vederci in quell'appartamento che affittavo giornalmente. Potevi essere tranquillamente un’ospite fra tanti e nessuno poteva sospettare qualcosa sul nostro piano.

    Ti avevo mandato le istruzioni per il check-in come normalmente avveniva per ogni prenotazione:

    – Puoi ritirare le chiavi in via Enrico del Pozzo al Bar Marconi dal proprietario Lorenzo, ti offrirà un caffè e ti consegnerà il pacchetto con dentro le istruzioni; seguile diligentemente. –

    All'interno del pacchetto nero le istruzioni non erano tuttavia quelle abituali; non spiegavano di certo le regole dell'appartamento, erano riformulate su misura rispetto al nostro incontro e soprattutto erano reinventate con attenzione a te.

    Il Bar Marconi sapeva di tabacco e spezie. Al posto del caffè avevi preso del tè nero.

    Lorenzo dall'altra parte del bancone ti aveva domandato qualcosa con la sua solita curiosità e forse anche incalzando dell'interesse verso una donna che veniva a soggiornare sola. La cosa ti aveva alquanto infastidita e glissavi risposte per tagliar corto, cercando di non dare allusioni a proseguire. Tu non eri lì per nessuno se non per me.

    – Ringrazi il proprietario per il tè di benvenuto, ci terrei che lo venga a sapere –

    Lo dicevi trattenendo l’ironia dentro di te, un’ironia in quel momento affine solo ad un pensiero occultato che custodivi in te molto scrupolosamente.

    Avevi salutato Lorenzo incamminandoti così verso il civico dell’alloggio.

    Nel pacchetto appena aperto erano presenti due chiavi: una verde del portone condominiale, l'altra blu per la porta dell'appartamento a destra del secondo piano.

    Appena entrata prendevi un momento l’orientamento ricollegando immagini ed oggetti che avevi visto in foto con gli spazi circostanti che ora sfioravi; le mie fotografie, i libri, i quadri, tutto un po’ sapeva di me.

    Lasciavi la tua borsa e il tuo paltò sulla poltrona per avvicinarti al tavolo e svuotare il pacchetto frettolosamente e mettere mani alle istruzioni ancora da leggere.

    I quattro lati del fogliettino si aprivano con fretta curiosità tra le tue mani.

    “Apri l’armadio in camera e troverai una sola cosa: una mia camicia.
    Vorrei che tu la indossassi e per il resto lascio fare a te…
    Chiuditi a chiave. Togli le chiavi dalla serratura, io entrerò con le mie.
    Non aprire le imposte, lascia tutto chiuso come hai trovato.
    Aspettami comoda in camera da letto; arrivo alle 16.00 in punto.”

    Leggevi quelle parole dapprima un po’ titubante e subito dopo con un senso di eccitazione e strana remissività. Ti trovavi in una situazione nuova. Mai avevi pensato a come ti potesse accendere l’idea di darti delle istruzioni da seguire con dedizione.

    Nel momento che aprivi l’armadio e ti ritrovarti davanti la mia camicia appesa, hai iniziato a riflettere se dovevi farlo oppure no. A te piaceva portare sulla pelle le mie camicie; me lo avevi svelato più di una volta e più di una volta lo raccontavi come una tua particolare fantasia e allora perché privartene in un momento come quello dove tutto era possibile?

    Non hai esitato ulteriormente.

    Hai iniziato con condiscendenza a sbottonare il tuo vestito intero per ritrovarti indosso solo il mio cotone che cadeva come una sottana sopra i tuoi slip. Hai ricalzato le scarpe Décolleté con disciplina per farti trovare ancora più accattivante e in po’ semplicemente perché ti infastidiva sentire il freddo pavimento sotto piedi.

    Davi l’ultimo sguardo all’orologio da muro che segnava ormai le 15.50.

    Ti sedevi paziente ed impaziente ad attendermi.

     

     

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  7. Non serve a niente di particolare

    Solo tornare a pensare che tutto è bello e speciale

    Non si dice mai, ma voglio impegnarmi

    Salvare un pezzo di cuore

    Io non vivo senza sogni e tu sai che è così

    E perdonami se sono forte, sì

    E se poi sono anche fragile

     

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  8. Desidererei ancora scriverti,

                 ma se ti scrivessi, dopo, mi coglierebbe un differente desiderio:

                 quello di chiamarti;

     

    se poi ti chiamassi, dopo, mi coglierebbe un secondo desiderio:

                 quello di vederti;

     

    e se ti dovessi mai vedere, dopo, mi prenderebbe un altro desiderio:

                 quello di toccarti;


    se ti toccassi, mi giungerebbe un desiderio ancora:

                 quello di baciarti;


    ma se ti baciassi, dopo, ci sarebbe un nuovo desiderio

                 quello di fare l'amore con te;


    ma se ti amassi, dopo, mi finirei per un ancora desiderio:

                 quello di viverti

                 di viverti per sempre.

     

  9. L'imprinting

    Sonocresciuto all’interno di un negozio di parrucchiere per signora, viale delle Formaci, Roma. Ricordo le donne in camice rosa, gli odori delle lacche, il rumore del fono e i colori dei bigodini con cui giocavo.

    Ricordo quando tiravo loro il grembiule, le voci che chiamavano per il mio nome, al diminutivo… e le clienti che mi sollevavano di peso per sorridermi con quei visi incipriati e manicure appena fatte – stili di inizi anni settanta.
    Il mondo femminile mi ha sempre affascinato, trattiene in se tutti i particolari che visivamente mi compiace accogliere.
    E’ un mondo accattivante e ne vale sempre il desiderio di esplorarlo – che male c’è?
    Lo faccio comunque con distacco, con una separazione emotiva che non sempre viene compresa ed accettata; le pulsioni attrattive di questo universo sull’uomo si fanno pungenti, colgono e mettono in tensione sempre il nervo più libidinoso, diversamente il pieno controllo di un distacco, mi permette di anatomizzare questo universo, cogliendone sfumature, suoni e anche piaceri.

    Da adolescente, mia madre trasferì il suo negozio da parrucchiera sotto la nostra abitazione; le sue clienti attraversavano un cortile per recarsi dall’ingresso, pochi passi dal giardino al negozio.

    Le conoscevo quasi tutte, erano più di quattrocento, ma nella quantità a me piacevano in particolare quattro.

    Entravo di nascosto in negozio verso l’ora di mezzodì, tutti erano in pausa. Consultavo l’agenda degli appuntamenti settimanali per annotare alla mente in quale giorno e a quale ora fossero passate. La signora Saveria, Rita Vespa, Anna e quella che chiamavano ‘la Professoressa, era anche il sopranome riportato settimanalmente in agenda.
    In cantina, lungo l’intercapedine umida, una piccola finestra dava sul terreno del cortile e da quel nascondiglio, per il breve tratto di strada, potevo osservare le gambe di queste clienti transitare verso l’ingresso del negozio. Era un percorso breve, cinque forse sei passi prima che una di loro salisse i tre gradini.

    Proprio in quell’ultimo istante la posizione poteva essere ancora più ottimale, ma la frazione di secondo era minima. Solo alcune volte sono riuscito a scorgere l’accenno di un ricamo sull’orlo della Professoressa.

    Non ricordo quando ho smesso questo rito, forse quando ho iniziato ad avere maggiori possibilità di osservazioni dirette sulle donne.
    Ma il ricordo di quel diversivo mi riempie di simpatia, leggerezza e di nostalgia.

    1. pierreroche

      pierreroche

      era un gioco così innocente...

      se mi avesse 'beccato' forse per vanitá... avrebbe potuto compiacersi anche lei a questa piccola complicitá... 

    2. (Guarda 1 altra risposta questo aggiornamento di stato)