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Tu non ci credevi,
amico mio di gioventù,
quando ti confessavo
che ero refrattario
e non provavo niente
per altra donna.
Era, invero, quel segnale
misterioso che fa riconoscere
l’amore vero e unico,
l’amore della vita.
Ed era colei cui
pensavo continuamente
e di cui ti parlavo
tanto spesso!
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Torna l'antico sogno: in una splendida
giornata d'aprile, eravamo in gita scolastica.
Sedevamo sotto un salice a consumare
la colazione al sacco. Sazi, fu per noi
tutto un ridere, carezzarci, baciarci.
Giurammo e rigiurammo eterno amore,
e per suggello, a che mai lo dimenticassi,
mi mordesti l'orecchio e le labbra,
crudele d'una fanciulla!
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Dormo…e sogno te.
Mi sveglio…e penso a te.
Di giorno mi fa capolino
Il tuo sorriso luminoso
E mi irradia la felicità
Di amarti, mia unica
Musa ispiratrice.
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Divino è tenere tra le braccia, bramoso,
la mia donna, allor che posso ascoltare
il palpito del suo cuore e sapere per certo
che mi ama: oh, dolce battito della vita!
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È il crepuscolo mattutino
e tu, cara, saluti di buon'ora Lucifero,
il messo del giorno, che rinnova
il dono della vita a noi concesso.
Con impazienza attendi lo sguardo di Febo,
il principe del cielo.
Ma cari a me siete voi, occhi di cielo della mia amata,
quando, messi del nuovo giorno,
mi portate il sole del risveglio.
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Così mi tieni in bilico,
come barca sull'onda.
Per tutta la notte mi rigiro e sobbalzo nel letto,
ora preda dello sconforto, ora in volo di speranza
con la mente e col cuore.
All'alba, col moto della ragione passo in rassegna
i più proficui modi di abbattere ad una ad una
le cagioni delle tue titubanze,
quale paziente maestro contro muro diroccato.
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Ad altro rivolgere non potrei
Il mio quotidiano pensare,
ché ardo di ferventissimo amore
e tanto vorrei riscaldare
il tuo freddissimo petto.
Mi rode fieramente il cuore
una sorta di amoroso verme.
Ma quanto più dura e ritrosa
ti mostri, tanto più
m'accendo e brucio.
Invano m'affatico
di renderti pieghevole
al mio bisogno d'amore.
Lusinghevoli parole a nulla giovano,
fermo rimane il tuo proposito,
ed io sono il più disperato fra gli uomini.
Né so immaginarmi di rinunziare a te
se solo lo penso, mi sento morire!
Ma tu sei ancora più dura e più rigida
di uno scoglio marino
e mostri di sì poco gradire
il mio fervido e caparbio amore.
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OVIDIO
Dall’” Ars amatoria “ : 1, 135- 166
Né le corse dei nobili cavalli
trascurar tu dovrai: con le sue dense
folle molti vantaggi offre anche il Circo.
Ivi non delle dita hai tu bisogno
per dir l’animo tuo, non già per mezzo
di cenni devi attendere risposte;
ma ben vicino ( nulla ti trattenga )
siedi alla bella; stringiti col fianco
più presso che tu puoi contro il suo fianco.
E ben potrai; chè, s’anche ella non voglia,
tutto lo spazio ivi costringe; il luogo
stesso là vuol che tu la donna tocchi.
Cerca un motivo allor per avviare
Il discorso con lei, e siano pure
detti comuni le parole prime.
Chiedile di chi siano i cavalli
che si avanzano, e pronto il tuo favore
a quello da’ ch’è favorito suo.
E quando poi verrà la lunga pompa
dei Numi eburni, a Venere tu plaudi,
patrona tua, con fervorosa mano.
Se, come avviene, alla fanciulla in seno
è per caso un pulviscolo caduto,
pronto col dito scuoterlo dovrai,
e se nessun pulviscolo vi cada,
pur tu scuoti quel nulla; ogni pretesto
buono ti sia per renderlo servigio.
Se troppo le si strascica la veste,
per terra, e tu sollevala, con pronta
man che dal suolo immondo la preservi,
e tosto allora, premio del tuo zelo,
potranno gli occhi tuoi alla fanciulla
consenziente rimirar le gambe.
E bada poi, chiunque sia seduto
dietro di lei, che il delicato dorso
ei non le prema con le sue ginocchia.
Piccoli offici adescano codeste
anime lievi; utile fu per molti
disporre con sagace arte un cuscino;
anche agitar giovò una tabelletta
per un po’ di frescura, e sottoporre
a due piedini un concavo sgabello.
Codesti approcci spesso in tali arene il figlio
di Venere, e colui che l’altrui piaghe
stava a guardar piagato fu egli stesso.
…………………………………………………………..
( Trad. di G. vitali )
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Qui, sur un letto di verde erba,
sotto queste svettanti querce centenarie,
lauri e cipressi ombrosi,
io t'offrirò bevanda d'ambrosia
e uva dai dolci grappoli,
nettare d'amore.
Sarai per me il frutto più polposo,
bruciore nell'anima,
fresca fonte contro l'inestinguibile arsura.
In breve, bruceranno i nostri corpi,
stretto l'uno all'altro,
mormoranti dolci suoni e alate parole.
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MONTALE
Credo
Forse per qualche sgarro nella legge
del contrapasso
era possibile che uno sternuto Via verdi 6 Firenze
potesse giungere fino a Bard College N.J.
Era l’amore? Non quello che ha popolato
con uno orrendo choc il cielo di stelle e pianeti.
Non tale la forza del dio con barba e capelli,
che fu detronizzato dai soci del Rotary Club
ma degno di sopravvivere alle loro cabale.
Credo vero il miracolo che tra la vita e la morte
esista un terzo status che ci trovò tra i suoi.
Che un dio ( ma con la barba ) ti protegga
mia divina. Ed il resto, le fandonie
di cui siamo imbottiti sono meno
che nulla.
Ah!
Amavi le screziature le ibridazioni
gli incroci gli animali
di cui potesse dirsi mirabil mostro.
Non so se nel collège di Annecy
qualcuno abbia esclamato vedendoti e parlandoti
con meraviglia Ah! E fu da allora
che persi le tue tracce. Dopo anni seppi
il peggio. Dissi Ah! e tentai di pensare ad altro.
Rari i tuoi libri, la Bibbia
e il Cantico dei Cantici,
un bosco per la tua età
con tanto di cartello “ cave canem “,
qualche romanzo del Far West e nulla
che fosse scritto per l’infanzia e i suoi
confini così incerti. Tuttavia,
se tu fossi scomparsa allora, anche a te
non sarebbe mancato un tenerissimo
Ah!
Ma più tardi nessuno
o soltanto il buon Dio quale che fosse
accompagnò la tua vacanza con un Ah!
che dicesse stupore o smarrimento.
Forse qualcuno si fermò sull’A
che dura meno e risparmia il fiato.
Poi fu silenzio. Ora l’infante là
dove si sopravvive se quella è vita
legge i miei versi zoppicanti, tenta
di ricostruire i nostri volti e incerta dice
Mah?
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Canto mollemente
le chiomate Càriti,
allor che torna primavera,
e cerco i dolci doni di Afrodite
nell'intatto giardino delle vergini,
ove i germogli della vite
sbocciano sotto i tralci ombrosi.
Allora Eros per me non si placa,
ma irrompe con brucianti follie,
e con oscure dolcezze
mi spinge nelle reti di Cipride,
inestricabili.
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UNGARETTI
Giugno
Quando
mi morirà
questa notte
e come un altro
potrò guardarla
e mi addormenterò
al fruscio
delle onde
che finiscono
di avvoltolarsi
alla cinta di gaggie
della mia casa
sul mare
Quando mi risveglierò
nel tuo corpo
che si modula
come la voce dell’usignolo
che si estenua
come il colore
del grano maturo
nella lucentezza
E nella trasparenza
dell’acqua
la tua pelle d’europea
gentile come le ali delle farfalle
si brinerà
di macchioline more
e mi soffocherai
come una pantera
librata
dalle lastre
squillanti
dell’aria
E socchiuderai
le palpebre
e vedremo
il nostro amore
reclinarsi
dolce
come la sera
mentre sopraggiunge
e le mie pupille
si tufferanno
nell’orizzonte di bitume
delle tue iridi
E ora il sereno
è chiuso
come a quest’ora
i gelsumini
nel mio paese
d’Africa
lontano
Tutto
diluisce
e scompare
in questa oscurità
E ho perduto
Il sonno
e oscillo
come una lucciola
al canto
di una strada
Quando
mi morirà
questa notte
( ……) il5 luglio1917
-
Felice io sono,
che posso trascorrere l'oggi
senza pianto, e cantare,
ispirato dalla Musa
che assiste questo poeta dell'amore,
sia che lodi la luce
ch'effondono gli occhi dell'amata,
sia che enumeri i sospiri e le pene
per la sua lontananza.
-
SABA
Dopo la tristezza
Questo pane ha il sapore d’un ricordo,
mangiato in questa povera osteria,
dov’è più abbandonato e ingombro il porto.
E della birra mi godo l’amaro,
seduto del ritorno a mezza via,
in faccia ai monti annuvolati e al faro.
L’anima mia che una sua pena ha vinta,
con occhi nuovi nell’antica sera
guarda un pilota con la moglie incinta;
E un bastimento, di che il vecchio legno
luccica al sole, e con la ciminiera
lunga quanto i due alberi, è un disegno
fanciullesco, che ho fatto or son vent’anni:
E chi mi avrebbe detto la mia vita
così bella, con tanti dolci affanni,
e tanta beatitudine romita!
-
Oggi che il tempo è noioso,
per pioggia e per freddo,
negli attimi in cui la tacita notte
viene allungando le sue ore,
dormiamo insieme avviluppati
al calduccio delle piumate coltri,
non prima che avremo ultimato
i giochi che Amore
ci avrà ispirato.
-
Scorgo nei tuoi atti
il carattere del mare.
Esso sovente sta calmo, d'estate,
rallegra i marinai e non fa loro danno;
all'improvviso, però,
si agita e divien furioso,
generando uno spaventoso fragore di cavalloni,
e minaccia la vita che prima allietava.
Tale è il tuo umore cangiante:
un giorno ridi, tutta allegra,
sì che a vederti il cuore si allarga;
un altro giorno non sopporti nulla
e fai la pazza se m'avvicino,
in tutto simile alla cagna coi cuccioli,
che tutti scoraggia,
familiari ed estranei.
-
Mi largiscano i Numi
consorte simile all'ape,
sì che la mortal vita
sia prospera e serena.
Ch'io possa dolcemente
Invecchiare con lei
e godere del suo non consueto garbo,
in carità reciproca.
-
L’amore per te mi tiene
come in mare procelloso,
poiché mi dimeno tra
speranza e disperazione.
A volte m’incendio
sognando che Cupìdo
ha veramente trafitto il
tuo cuore, altre volte mi
opprime l’amara
sensazione ch’io m’illuda
soltanto,e perciò tu sia
lontana un miglio da me.
Sogno o realtà? Il dubbio
è gravoso e mi preclude
la felicità. Svelami tu il
segreto della tua anima,
per lenire la mia pena e
porre fine ai miei sospiri.
-
Da “ L’allegria
Di G, UNGARETTI
Mattina
Lasciamoci
disfatti e squillanti
voglio avere
il rimorso
di quest’amore
stanotte
come un latrato
nella volta immensa
del deserto
Oggi
Oggi tutto mi pare valicato
Il mio cuore
oggi
non è altro
che un battito di nostalgia
-
Mi fuggi,
presto m'inseguirai.
Tu che ora rifiuti il mio amore,
presto lo cercherai.
Anche contro tua voglia,
presto mi amerai.
Tal grazia Afrodite,
che ama il sorriso
e tesse gli inganni a uomini e dèi,
mi concederà,
sol ch'io la preghi
umile e insistente.
-
SABA
Carmen
Torna la mia disperazione a te.
Dopo aver tanto errato, oggi il mio amore
torna al tuo fiero mutevole ardore,
più nulla chiede che la tua onestà.
In queste lunghe giornate d’affanno,
che senza lotta e senza pace vanno,
e senza la tua gaia crudeltà;
con la mia solitaria anima invisa,
ho sognato pur io d’averti uccisa,
per l’ebbrezza di piangere su te.
Incolpabile amica, austera figlia
d’amore, se la vita oggi t’esiglia,
con la musica ancora vieni a me.
Geloso sono non di don josè,
non d’Escamillo; di chi prima un canto
sciolse alla tua purezza ed al tuo santo
coraggio incontro alla tua verità.
Né tu forse da me vivi lontana,
da me che all’amor tuo faccio ritorno,
e non cerco a Siviglia il tuo soggiorno.
Solo vagavo il mattino di un giorno
di festa, e tra la folla oscura e vana
tu m’apparivi in una popolana
di Firenze; la tua mano era stesa
a sollevare le tende di una chiesa,
le gialle e rosse tende sull’entrata.
Parevi stanca, parevi ammalata,
ma t’ho riconosciuta io che t’ho amata.
Io che a fatica ho rattenuto un grido,
mi sono meritato un tuo sorriso,
sabato
-
Stringi i denti,
ricacciando indietro le lacrime.
Ma se io ti attiro a me,
allora ti abbandoni alle lacrime
e prorompi in singhiozzi smorzati.
Cosa ti sconquassa il cuore?
Quale vento s'abbatte sulla tua vita?
Non temere, cara. Sfogati.
Come sempre, sarò per te
refrigerio, ché nel barbaglio
del tuo chiaro viso già scorgo
i primi segni del nascente tuo desiderio
e fuoco affiora nelle mie stanche membra.
-
Quartetto
In una istantanea ingiallita
di quarant’anni fa
ripescata dal fondo di in cassetto
il tuo volto severo nella sua dolcezza
e il tuo servo d’accanto; e dietro Sbarbaro
briologo e poeta – ed Elena Vivante
signora di noi tutti : qui giunti per vedere
quattro ronzini frustati a sangue
in una “ piazza-conchiglia “
davanti a una folla inferocita.
E il tempo? Quarant’anni ho detto e forse zero.
Non credo al tempo, al big bang, a nulla
che misuri gli eventi in un prima e in un dopo.
Suppongo che a qualcuno, a qualcosa convenga
l’attributo di essente. In quel giorno eri tu.
Ma per quanto, ma come? Ed ecco che rispunta
la nozione esecrabile del tempo.
Poiché la vita fugge…
Poiché la vita fugge
e chi tenta di ricacciarla indietro
rientra nel gomitolo primigenio,
dove potremo occultare, se tentiamo,
con rudimenti o peggio, di sopravvivere,
gli oggetti che ci parvero
non peritura parte di noi stessi?
C’era una volta un piccolo scaffale
che viaggiava con Clizia, un ricettacolo
di Santi Padri e di poeti equivoci che forse
avesse la virtù di galleggiare
sulla cresta delle onde
quando il diluvio avrà sommerso tutto.
Se non di me almeno qualche briciola
di te dovrebbe vincere l’oblio.
E di me? La speranza è che sia disperso
il visibile e il tempo che gli ha dato
la dubbia prova che questa voce E’
( una E maiuscola, la sola lettera
dell’alfabeto che rende possibile
o almeno ipotizzabile l’esistenza ).
Poi ( sovente hai portato
occhiali affumicati e li hai dismessi
del tutto con le pulci di Jhon Donne )
preparati al gran tuffo.
Fummo felici un giorno, un’ora un attimo
e questo potrà essere distrutto?
C’è chi dice che tutto ricomincia
eguale come copia ma non lo credo
neppure come augurio. L’hai creduto
anche tu? Non esiste a Cuma una sibilla
che lo sappia. E se fosse, nessuno
sarebbe così sciocco da darle ascolto.
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Ti lavino le Grazie
nel recinto sacro di Pafo,
novella Afrodite,
e ti ungano dell'olio divino,
riservato alle membra degli dèi dall'eterna vita,
olio amabile, profumo odoroso.
Come lei, tu ami il sorriso
e tale ne esci dai lavacri ver me
che attonito miro.
Come se le tue guance fossero state dipinte
con l'essenza delle rose; le tue labbra
col fuoco di fiori vermigli; la tua fronte
con il raggio della luna in una notte di plenilunio,
quando dallo stormire delle foglie
nasce profonda quiete.
Sei una vergine dea
uscita dai lavacri della fonte Catusa,
stillante rugiadose gocce di acqua balsamica.
Sei la cosa più bella, sopra la terra bruna:
è Cipride che mi travolge nella brama,
ed io sono come uno degli dei,
felice di annullarmi fra le tue braccia.
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Splendeva la luna
intorno al tuo latteo seno;
una bellissima collana di perle smaglianti
cingeva il tuo tenero crollo;
un ritorto bracciale d'oro bianco
ornava il tuo polso sottile;
una veste splendente,
simile a peplo di vergine achea,
indossavi, più fulgido che bagliore di fiamma.
Eri una dea,
eri Afrodite in persona,
quando le Càriti e le Ore
la rivestono di peplo odoroso dei fiori
di tutte le stagioni,
croco e giacinto,
viola e rosa,
narciso e giglio.
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