- Uomo
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Aggiornamenti di stato pubblicati da fel55
-
Ora che son vittima
di lunga e fastidiosa
convalescenza,
non segni di apprensione,
malessere e insofferenza
vorrei leggere nel tuo viso
e nei tuoi atti quotidiani,
ma chiari segni di comprensione
e di tenerezza.
-
MONTALE
Ai tuoi piedi
Mi sono inginocchiato ai tuoi piedi
o forse è un’illusione perché non si vede
nulla di te,
i miei peccati
attendendo il verdetto con scarsa fiducia
e debole speranza non sapendo
che senso hanno quassù, il prima e il poi
il presente il passato l’avvenire
e il fatto che io sia venuto al mondo
senza essere consultato.
Poi penserò alla vita di quaggiù
non “ sub specie aeternitatis “,
non risalendo all’infanzia
e agli ingloriosi fatti che l’hanno illustrata
per poi ascendere a un dopo
di cui sarò all’anteporta.
Attendendo il verdetto
che sarà lungo o breve grato o ingrato
ma sempre temporale e qui comincia
l’imbroglio perché nulla di buono è mai pensabile
nel tempo,
ricorderò gli oggetti che ho lasciati
al loro posto, un posto tanto studiato,
agli uccelli impagliati, a qualche ritaglio
di giornale, alle tre o quattro medaglie
di cui sarò derubato e forse anche
alle fotografie di qualche mia Musa
che mai seppe di esserlo,
rifarò il censimento di quel nulla
che fu vivente perché fu tangibile
e mi dirò se non fossero
queste solo e non altro la mia consistenza
e non questo corpo ormai incorporeo
che sta in attesa e quasi si addormenta.
-
Cessa di figurarmi
Quale scellerato coniuge
Ch’ha violato ingiustamente
La fede nuziale.
E’ vero: ho perduto l’anello nuziale,
Ma per stupida fatalità!
Non è mai mutato
Il sentimento che nutro per te
Negli abissi del cuore.
E il mio pensiero
È sempre
Rivolto a te soltanto.
Credimi:
è l’unica realtà!
-
Dalle stelle precipiterei
Negli abissi,
Se tu cessassi di amarmi
Per tua o per mia colpa.
Il cielo dell’anima mia
Sarebbe sempre coperto di livore
O in tutto simile a notte fonda.
Buio sarebbe il futuro,
Spenta ogni speranza di vita.
-
Se è vero
Che ancor m’accetti
Quale amante e sposo
Indissolubilmente a te congiunto,
E’ vero anche
Che la tua fiducia traballa
E ti rode la gelosìa latente
-
Credimi – immotivata.
Quali prove ancora
Ti attendi?
T’amo ancora…
come sempre
E mai potrei…
Fare a meno di te!
-
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Se è vero
Che ancor m’accetti
Quale amante e sposo
Indissolubilmente a te congiunto,
E’ vero anche
Che la tua fiducia traballa
E ti rode la gelosìa latente
-
Credimi – immotivata.
Quali prove ancora
Ti attendi?
T’amo ancora…
come sempre
E mai potrei…
Fare a meno di te!
-
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Soffocami di baci,
Colmami di carezze,
Promettimi amore eterno,
Anche se non lo merito
Del tutto
Per le mie incomprensioni
E il mio innato maschilismo.
Ti vivo sempre accanto,
A fianco a te,
Unica donna e padrona
Della mia vita.
Orsù, sorridimi
Come sempre hai fatto
In tanti momenti belli,
Sempre vivi nella memoria,
in eterno incancellabili.
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QUASIMODO
“ E la tua veste è bianca “
Piegato hai il capo e mi guardi;
e la tua veste è bianca,
e un seno affiora dalla trina
sciolta sull’omero sinistro.
Mi supera la luce, trema,
e tocca le tue braccia ignude.
Ti rivedo. Parole
avevi chiuse e rapide,
che mettevano cuore
nel peso d’una vita
che sapeva di circo.
Profonda la strada
su cui scendeva il vento
certe notti di marzo,
e ci svegliava ignoti,
come la prima volta.
“ Antico inverno “
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma :
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po’ di sole, una raggera d’angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d’aria al mattino.
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QUASIMODO
“ E la tua veste è bianca “
Piegato hai il capo e mi guardi;
e la tua veste è bianca,
e un seno affiora dalla trina
sciolta sull’omero sinistro.
Mi supera la luce, trema,
e tocca le tue braccia ignude.
Ti rivedo. Parole
avevi chiuse e rapide,
che mettevano cuore
nel peso d’una vita
che sapeva di circo.
Profonda la strada
su cui scendeva il vento
certe notti di marzo,
e ci svegliava ignoti,
come la prima volta.
“ Antico inverno “
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma :
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po’ di sole, una raggera d’angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d’aria al mattino.
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scompaiomatorno ha aggiunto una reazione
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MONTALE
Sorapis, 40 anni fa
Non ho mai amato molto la montagna
e detesto le Alpi. Le Ande, le Cordigliere
non le ho vedute mai. Pure la Sierra
de Guadarrama mi ha rapito, dolce
com’è l’ascesa e in vetta daini, cervi,
secondo le notizie dei dèpliants turistici.
Solo l’elettrica aria dellEngadina
ci vinse, mio insettino, ma non si era
tanto ricchi da dirci “ hic manebimus “.
Tra i laghi solo quello di Sorapis
fu la grande scoperta. C’era la solitudine
delle marmotte più udite che intraviste
e l’aria dei Celesti, ma quale strada
per accedervi? Dapprima la percorsi
da solo per vedere se i tuoi occhietti
potevano addentrarsi tra cunicoli
zigzaganti tra lastre alte di ghiaccio.
E così lunga! Confortata solo
Nel primo tratto, in folti di conifere,
dallo squillo d’allarme delle ghiandaie.
Poi ti guidai tenendoti per mano
fino alla cima, una capanna vuota.
Fu quello il nostro lago, poche spanne d’acqua,
due vite troppo giovani per essere vecchie,
e troppo vecchie per sentirsi giovani.
Scoprimmo allora che cos’è l’età.
Non ha nulla a che fare col tempo, è qualcosa che dice
che ci fa dire siamo qui, è un miracolo
che non si può ripetere. Al confronto
la gioventù è il più vile degli inganni.
-
Nei “ Sassi di Matera “al calar del sole
Fino agli anni Cinquanta
Or che nella corte del vicinato
Sirio lentamente s’asconde
Dietro i crinali dell’Appennino,
Si smorza il chiasso dei fanciulli.
Ad una ad una escono dalle case-grotte
Le madri e le figlie da marito
Ch’hanno di già approntato
Il modesto desinare ai mariti o ai padri.
Han tempo fino all’imbrunire e oltre,
Per spettegolare o lamentarsi,
Quando stanchi e affamati
Gli uomini tornano dai campi seminati
O dai piccoli orti o dalle vigne proprie,
talora dalle altrui proprietà.
L’asino o il mulo a lor dinanzi
Avanzano zoccolando sul selciato sconnesso.
Qual più gonfia qual meno
Donzolano le bisacce
E canta l’acqua di fonte nei barili.
Le fiasche son vuote, più di vino che d’acqua.
La parca cena li ristora, il vino, prezioso
E perciò misto ad acqua, li disseta.
Indi assisi sul muricciolo con gusto
Aspirano tabacco dalla pipa attempata
O dallo spinello fresco di paziente fattura.
Han poco tempo per scambiare
Qualche parola coi vicini di casa,
Già che la stanchezza del duro lavoro
Ormai ha il sopravvento e calano
Le palpebre, di tanto in tanto.
Le donne di casa han sparecchiato
E lavato le stoviglie, non tante.
Ora mettono a letto i loro uomini e bambini,
Spengono i costosi lumi e tornano
A confabular con le vicine.
Che mai si dicon tra loro?
E’ presto detto: nascite, matrimoni e lutti,
Figli e acciacchi, gioie e dolori,
Speranze e delusioni.
Anche l’andamento del tempo
È tema ricorrente, perché dai capricci del cielo
Dipende ogni spiga, ogni legume,
Ogni tronco di vite, ogni dono dell’orto,
Ogn’erba selvatica o medicinale.
Vita semplice e dura, scandita
Dalla vicenda incessante delle stagioni.
Vita breve per ogni sorta di male,
Che non risparmia bambini, gestanti, Puerpere, uomini sfiancati dalle fatiche
Dal primo mane a tarda sera,
Più di rado anziane dalla pelle grinzosa.
Eppur vita tranquilla, più che nel dopoguerra
Frenetico, incalzato da presunto progresso.
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Nei “ Sassi di Matera “al calar del sole
Fino agli anni Cinquanta
Or che nella corte del vicinato
Sirio lentamente s’asconde
Dietro i crinali dell’Appennino,
Si smorza il chiasso dei fanciulli.
Ad una ad una escono dalle case-grotte
Le madri e le figlie da marito
Ch’hanno di già approntato
Il modesto desinare ai mariti o ai padri.
Han tempo fino all’imbrunire e oltre,
Per spettegolare o lamentarsi,
Quando stanchi e affamati
Gli uomini tornano dai campi seminati
O dai piccoli orti o dalle vigne proprie,
talora dalle altrui proprietà.
L’asino o il mulo a lor dinanzi
Avanzano zoccolando sul selciato sconnesso.
Qual più gonfia qual meno
Donzolano le bisacce
E canta l’acqua di fonte nei barili.
Le fiasche son vuote, più di vino che d’acqua.
La parca cena li ristora, il vino, prezioso
E perciò misto ad acqua, li disseta.
Indi assisi sul muricciolo con gusto
Aspirano tabacco dalla pipa attempata
O dallo spinello fresco di paziente fattura.
Han poco tempo per scambiare
Qualche parola coi vicini di casa,
Già che la stanchezza del duro lavoro
Ormai ha il sopravvento e calano
Le palpebre, di tanto in tanto.
Le donne di casa han sparecchiato
E lavato le stoviglie, non tante.
Ora mettono a letto i loro uomini e bambini,
Spengono i costosi lumi e tornano
A confabular con le vicine.
Che mai si dicon tra loro?
E’ presto detto: nascite, matrimoni e lutti,
Figli e acciacchi, gioie e dolori,
Speranze e delusioni.
Anche l’andamento del tempo
È tema ricorrente, perché dai capricci del cielo
Dipende ogni spiga, ogni legume,
Ogni tronco di vite, ogni dono dell’orto,
Ogn’erba selvatica o medicinale.
Vita semplice e dura, scandita
Dalla vicenda incessante delle stagioni.
Vita breve per ogni sorta di male,
Che non risparmia bambini, gestanti, Puerpere, uomini sfiancati dalle fatiche
Dal primo mane a tarda sera,
Più di rado anziane dalla pelle grinzosa.
Eppur vita tranquilla, più che nel dopoguerra
Frenetico, incalzato da presunto progresso.
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bellissimi versi!
Grazie @fel55
-
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MONTALE
Quasi un madrigale
Il girasole piega a occidente
e già precipita il giorno nel suo
occhio in rovina e l’aria dell’estate
s’addensa e già curva le foglie e il fumo
dei cantieri. S’allontana con scorrere
secco di nubi e stridere di fulmini
quest’ultimo gioco del cielo. Ancora,
e da anni, cara, ci ferma il mutarsi
degli alberi stretti dentro la cerchia
dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno
e sempre quel sole che se ne va
con il filo del suo raggio affettuoso.
Non ho più ricordi,non voglio ricordare;
la memoria risale dalla morte,
la vita è senza fine. Ogni giorno
è nostro. Uno si fermerà per sempre,
e tu con me, quando ci sembri tardi.
Qui sull’argine del canale, i piedi
in altalena, come di fanciulli,
guardiamo l’acqua, i primi rami dentro
il suo colore verde che s’oscura.
E l’uomo che in silenzio s’avvicina
non nasconde un coltello fra le mani,
ma un fiore di geranio.
Altra volta salimmo fino alla torre
dove sovente un passero solitario
modulava il motivo che Massenet
imprestò al suo Des Grieux.
Più tardi ne uccisi uno fermo sull’asta
della bandiera : il solo mio delitto
che non so perdonarmi. Ma ero pazzo
e non di te, pazzo di gioventù,
pazzo della stagione più ridicola
della vita. Ora sto
a chiedermi che posto tu hai avuto
in quella mia stagione. Certo un senso
allora inesprimibile, più tardi
non l’oblio ma una punta che feriva
quasi a sangue. Ma allora eri già morta
e non ho mai saputo dove e come.
Oggi penso che tu sei stata un genio
di pura inesistenza, un’agnizione
reale perché assurda. Lo stupore
quando s’incarna è lampo che ti abbaglia
e si spenge. Durare potrebbe essere
l’effetto di una droga nel creato,
in un medium di cui non si ebbe mai
alcuna prova.
-
MONTALE
Quasi un madrigale
Il girasole piega a occidente
e già precipita il giorno nel suo
occhio in rovina e l’aria dell’estate
s’addensa e già curva le foglie e il fumo
dei cantieri. S’allontana con scorrere
secco di nubi e stridere di fulmini
quest’ultimo gioco del cielo. Ancora,
e da anni, cara, ci ferma il mutarsi
degli alberi stretti dentro la cerchia
dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno
e sempre quel sole che se ne va
con il filo del suo raggio affettuoso.
Non ho più ricordi,non voglio ricordare;
la memoria risale dalla morte,
la vita è senza fine. Ogni giorno
è nostro. Uno si fermerà per sempre,
e tu con me, quando ci sembri tardi.
Qui sull’argine del canale, i piedi
in altalena, come di fanciulli,
guardiamo l’acqua, i primi rami dentro
il suo colore verde che s’oscura.
E l’uomo che in silenzio s’avvicina
non nasconde un coltello fra le mani,
ma un fiore di geranio.
Altra volta salimmo fino alla torre
dove sovente un passero solitario
modulava il motivo che Massenet
imprestò al suo Des Grieux.
Più tardi ne uccisi uno fermo sull’asta
della bandiera : il solo mio delitto
che non so perdonarmi. Ma ero pazzo
e non di te, pazzo di gioventù,
pazzo della stagione più ridicola
della vita. Ora sto
a chiedermi che posto tu hai avuto
in quella mia stagione. Certo un senso
allora inesprimibile, più tardi
non l’oblio ma una punta che feriva
quasi a sangue. Ma allora eri già morta
e non ho mai saputo dove e come.
Oggi penso che tu sei stata un genio
di pura inesistenza, un’agnizione
reale perché assurda. Lo stupore
quando s’incarna è lampo che ti abbaglia
e si spenge. Durare potrebbe essere
l’effetto di una droga nel creato,
in un medium di cui non si ebbe mai
alcuna prova.
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Belvedere
Sui “Sassi” di Matera
Non può mancarci, cara,
La salita al Belvedere.
Che spettacolo si presenta
Ai nostri occhi stupiti!
A fronte,
Sulla dorsale collinare
L’immenso drago
Della nuova Matera
Disteso per vari chilometri
Da nord a sud.
Giù nella profonda gravina
Il torrente omonimo
Si svolge tortuoso e sonnolento.
Soffia il vento lieve e costante
E scompiglia dolcemente
I tuoi setosi lunghi capelli
Mentre fissi sull’altra ripa scoscesa
Le cavità d’accesso
Alle millenarie chiese rupestri.
Poi mi chiedi di avventurarci
Tra quelle sottostanti al Belvedere
E t’incanti a contemplare e studiare
I brandelli di dipinti
Di santi e storia sacra.
Infine mi conduci quasi riluttante
Tra i sassi murgiani
Per esplorare il pianoro.
E cerchi qualche punto appartato
Per coprirmi di baci
E stringermi al tuo petto,
Ebbra di felicità
Per l’insolita giornata.
-
G. UNGARETTI
Da “ Sentimento del tempo “
Scade flessuosa la pianura d’acqua.
Nelle sue urne il sole
Ancora segreto si bagna.
Una carnagione lieve trascorre.
Ed ella apre improvvisa ai seni
La grande mitezza degli occhi.
L’ombra sommersa delle rocce muore.
Dolce sbocciata dalle anche ilari,
Il vero amore è quiete accesa,
E la godo diffusa
Dall’ala alabastrina
D’una mattina immobile.
Ricordo d’Affrica ( 1924 )
Non più ora tra la piana sterminata
E il largo mare m’apporterò, né umili
Di remote età, udrò più sciogliersi, chiari,
Nell’aria limpida, squilli; né più
Le grazie acerbe andrà nudando
E in forme favolose esalterà
Folle la fantasia,
Né dal rado palmeto Diana apparsa
In agile abito di luce,
Rincorrerò
( In un suo gelo altiera s’abbagliava,
Ma le seguiva gli occhi nel posarli
Arroventando disgraziate brame,
Per sempre
Infinito velluto ).
E’ solo linea vaporosa il mare
Che un giorno germogliò rapace,
E nappo d’un miele, non più gustato
Per non morire di sete, mi pare
La piana, e a un seno casto, Diana vezzo
D’opali, ma nemmeno d’invisibile
Non palpita.
Ah! Questa è l’ora che annuvola e smemora.
-
Succede anche a voi ,
Giovanna e cari amici
Compagni di viaggi ,
Di ricordare il nostro
Piero , col sorriso ,
Mentre recitate per lui
Un nostalgico “ requiem “ ?
Come dimenticare
La sua impetuosità
Nella discussione
E il suo linguaggio
Talvolta scurrìle !
Giovanna, tu l’hai amato
Tanto , ma sappi che
Anche a noi manca
Perché gli abbiamo voluto
Tanto bene e provato per lui
Tanta simpatìa.
Per consolarci,
Crediamo fermamente
Che il suo spirito
È ancora fra noi
E continua a canzonarci.
-
Perché trepidi
E a tratti piangi
Se non è ancora giunta
L’ora mia ?
Prega il Cielo
Che ci lasci svegliare
Ancora accanto
E augurarci
Il nuovo buon giorno.
-
Forse inconsapevole
Persino l’odore
Cerco di te
Come cucciolo.
Metafora
Di mia madre
Perduta anzi tempo?
Piuttosto
Di quella metà
Dell’anima mia
Che mi dà gioia
E inseguo continuamente.
-
Soli.
Altro non può desiderare
Chi è innamorato come me.
Esser soli
È natura congeniale all’amore.
A volte basta
Guardarti mentre taci e pensi.
E poche parole
Bastano
Per rompere il loquace silenzio.
Una mia carezza,
Il tuo rossore
Basta pure
Per intonare il canto dell’amore
E toccare il cielo con un dito.
-
Solo ti chiedo
Che tu mi lasci
Sognare ancora
Cieli sereni,
Mare azzurro
E monti innevati.
E tu solo mi chiedi
Vita tranquilla
E trasparenza di pensieri,
Amore sincero e unico.
Troppo preziosa è
La felicità coniugale.
Tu lo sai, io lo so.
Ma a noi non costa nulla
Proteggerla,
Perché l’amore di mezzo secolo
E’ pietra di diamante.
-
Certe notti
Non vedo l’ora
Si faccia giorno,
Sì che possa rivedere
In piena luce il tuo volto
E i tuoi occhi luminosi
Per la gioia o , talvolta, tristi.
E’ allora che mi chiedo
Cosa ci riserva la vita
Per quel dì e per quelli
A venire e trepido
Per te più che per me.
-
“ Fidàti colloqui d’amore “
Ci porta il lento
Risveglio del mattino
E la pace effusa della sera.
Il tuo capo
Sul mio petto,
Il tuo braccio avvinto
Come laccio,
Ti dico parole di miele,
E tu rafforzi la tua morsa
E miagoli come gattina
In calore.
Ma talora per un nonnulla
Mi serbi rancore
E mi porgi solo le terga,
in tutto simile alla folle Luna.
-
SEMONIDE AMORGINO
Fr. 7D (trad.di Ettore Bignone)
Diversa Giove delle donne l’indole
da principio creò. All’una origine
dal porco irsuto diede. In terra giacciono,
nella sua casa, tra sozzura lercia,
a lei le cose; e qua e là si rotolano,
in gran scompiglio: e sozza, in vesti sordide,
in mezzo alla sporcizia essa s’impingua.
Trasse il dio l’altra dall’ape subdola,
chè tutto scruta e sa; a lei qualsiasi
ottima cosa, od anco pur tristissima,
celata non resta ;il buono pessimo
dice spesso, ed invece ottimo il tristo.
Sempre d’umore ad ora ad ora è varia.
(Trad.di Filippo M. Pontani)
Viene dal mare un’altra, e ha due nature
opposte: un giorno ride, tutta allegra,
sì che a vederla in casa uno l’ammira:
“ non c’è al mondo una donna più simpatica,
non c’è donna migliore”. Un altro giorno
non la sopporti neppure a vederla
o ad andarle vicino: fa la pazza,
e a chi s’accosti, guai! Pare la cagna
coi cuccioli, implacabile: scoraggia
nemici e amici alla stessa maniera.
Come il mare che sta sovente calmo,
non fa danno e rallegra i marinai
nell’estate, e sovente in un fragore
di cavalloni s’agita e s’infuria.
Tale l’umore di una donna simile:
anche il mare ha carattere cangiante.
(Trad. di Ettore Romagnoli)
Fu madre all’altra una cavalla morbida,
di lungo crine. La fatica e le opere
servili ha in gran fastidio, e staccio e macina
non toccherebbe mai, né l’immondizia
spazzerebbe da casa, o la fuliggine
dal focolare, e t’ama sol per obbligo.
Sta tutto quanto il santo giorno a tergersi,
due volte e spesso tre s’unge di balsami,
ravviata la chioma a fil di pettine,
disciolta, ombrata di corolle floride.
E’ questa donna, certo, uno spettacolo
bello per gli altri; e pel marito un guaio,
se pur non sia re di corona o principe,
che di tali vaghezze allegri l’animo.
Trad.di Giacomo Leopardi
Ma la donna ch’a l’ape è somiglievole
beato è chi l’ottien, che d’ogni biasimo
sola è disciolta, e seco ride e prospera
la mortal vita. In carità reciproca,
poiché bella e gentil prole crearono,
ambo i consorti dolcemente invecchiano.
Splende fra tutte; e la circonda e seguita
non so qual garbo; né con l’altre è solita
goder di novellari osceni e fetidi.
Questa, che delle donne è prima ed ottima,
i numi alcuna volta ci largiscono.
-
Buona notte, anima mia.
Già dormi,
ma continui ad esserci
nei miei pensieri
e certo poi nei miei sogni.
Sogni d’oro, amore mio.
Mentre, in dormiveglia,
cerco e sfioro il tuo braccio
e intreccio le mie dita
alle tue, già remissive,
ascolto il tuo ritmico respiro.
Sospiro e attendo il tuo risveglio
dal primo profondo sonno
e già pregusto la dolcezza
del desiato amplesso,
mentre la complice Diana,
sorella di Febo Apollo dormiente,
splende appieno in cielo.
-
Oh! Il desiderio
che non muore!
Oh, la dolcezza
del primo mattino!
Svegliarsi anzitempo,
fare l’amore
con l’amata,
e riaddormentarsi
stretti stretti.
Osmosi di calore
e di amore
in soave dormiveglia!