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Quartetto
In una istantanea ingiallita
di quarant’anni fa
ripescata dal fondo di in cassetto
il tuo volto severo nella sua dolcezza
e il tuo servo d’accanto; e dietro Sbarbaro
briologo e poeta – ed Elena Vivante
signora di noi tutti : qui giunti per vedere
quattro ronzini frustati a sangue
in una “ piazza-conchiglia “
davanti a una folla inferocita.
E il tempo? Quarant’anni ho detto e forse zero.
Non credo al tempo, al big bang, a nulla
che misuri gli eventi in un prima e in un dopo.
Suppongo che a qualcuno, a qualcosa convenga
l’attributo di essente. In quel giorno eri tu.
Ma per quanto, ma come? Ed ecco che rispunta
la nozione esecrabile del tempo.
Poiché la vita fugge…
Poiché la vita fugge
e chi tenta di ricacciarla indietro
rientra nel gomitolo primigenio,
dove potremo occultare, se tentiamo,
con rudimenti o peggio, di sopravvivere,
gli oggetti che ci parvero
non peritura parte di noi stessi?
C’era una volta un piccolo scaffale
che viaggiava con Clizia, un ricettacolo
di Santi Padri e di poeti equivoci che forse
avesse la virtù di galleggiare
sulla cresta delle onde
quando il diluvio avrà sommerso tutto.
Se non di me almeno qualche briciola
di te dovrebbe vincere l’oblio.
E di me? La speranza è che sia disperso
il visibile e il tempo che gli ha dato
la dubbia prova che questa voce E’
( una E maiuscola, la sola lettera
dell’alfabeto che rende possibile
o almeno ipotizzabile l’esistenza ).
Poi ( sovente hai portato
occhiali affumicati e li hai dismessi
del tutto con le pulci di Jhon Donne )
preparati al gran tuffo.
Fummo felici un giorno, un’ora un attimo
e questo potrà essere distrutto?
C’è chi dice che tutto ricomincia
eguale come copia ma non lo credo
neppure come augurio. L’hai creduto
anche tu? Non esiste a Cuma una sibilla
che lo sappia. E se fosse, nessuno
sarebbe così sciocco da darle ascolto.
-
Ti lavino le Grazie
nel recinto sacro di Pafo,
novella Afrodite,
e ti ungano dell'olio divino,
riservato alle membra degli dèi dall'eterna vita,
olio amabile, profumo odoroso.
Come lei, tu ami il sorriso
e tale ne esci dai lavacri ver me
che attonito miro.
Come se le tue guance fossero state dipinte
con l'essenza delle rose; le tue labbra
col fuoco di fiori vermigli; la tua fronte
con il raggio della luna in una notte di plenilunio,
quando dallo stormire delle foglie
nasce profonda quiete.
Sei una vergine dea
uscita dai lavacri della fonte Catusa,
stillante rugiadose gocce di acqua balsamica.
Sei la cosa più bella, sopra la terra bruna:
è Cipride che mi travolge nella brama,
ed io sono come uno degli dei,
felice di annullarmi fra le tue braccia.
-
Splendeva la luna
intorno al tuo latteo seno;
una bellissima collana di perle smaglianti
cingeva il tuo tenero crollo;
un ritorto bracciale d'oro bianco
ornava il tuo polso sottile;
una veste splendente,
simile a peplo di vergine achea,
indossavi, più fulgido che bagliore di fiamma.
Eri una dea,
eri Afrodite in persona,
quando le Càriti e le Ore
la rivestono di peplo odoroso dei fiori
di tutte le stagioni,
croco e giacinto,
viola e rosa,
narciso e giglio.
-
Il nostro cammino non
può andare che verso il
tempo infinito. Il caso o
quel ch’è più probabile, il
fato, ci ha uniti noi
ch’eravamo due metà
ed ora siam congiunti per
l’eternità. Anime
immortali e corpi risorti,
amanti qui in terra, non
possono che
“dantescamente” restare
uniti anche nell’aldilà.
-
Il mio amore era più
antico del tuo. Era già
nato, prima di quel dì
che a te fu manifesto.
Oh, come lontanissimo
quell’incanto di primo
incontro, ancora sì pieno
di fascino, seppure
lontanissimo! Avevo
un gran bisogno di
poesia!
-
Mentre innanzi si fa
l’alba, ad asciugare col
suo tenue velo di sposa
le perline di rugiada,
contemplo il tuo volto
ancora di fanciulla e le
tue chiuse palpebre
a spicchio di luna.
Attendo impaziente che si
schiudano e rivelino la
dolcezza dei tuoi occhi.
-
Ho visto i segni del tempo
–sì crudo,ahinoi! – sotto i
tuoi occhi e i piccoli
solchi sulle tue gote.
Non più perle lucenti i
tuoi denti, non più liscia
la pelle del tuo collo, ma
ancora da baciare le tue
labbra, da asciugare le
lacrime che sembri
versare per il naturale
logorìo della vita.
-
Ciù, ciù, ciù…
Non odi, cara,
quell’esserino
sull’albero,
che annuncia il nuovo
giorno e ci richiama alla
felicità del risveglio?
Ed io lì, a contemplarti e
a pendere dalle tue
labbra.
Poi mi dirai, ti dirò quel
che vogliamo udire.
-
Dimmelo tu quanto mi
vuoi bene. Io te ne voglio
tanto, tanto di più, e poi
ancora tanto, luce dei
miei occhi.
-
MONTALE
Previsioni
Ci rifugiammo nel giardino ( pensile se non sbaglio )
per metterci al riparo dalle fanfaluche
erotiche di un pensionante di fresco arrivo
e tu parlavi delle donne dei poeti
fatte per imbottire illeggibili carmi.
Così sarà di me aggiungesti di sottecchi.
Restai di sasso. Poi dissi dimentichi
che la pallottola ignora chi la spara
e ignora il suo bersaglio.
Ma non siamo
disse C. ai baracconi. E poi non credo
che tu abbia armi da fuoco nel tuo bagaglio.
-
Volerti ad ogni costo non
è capriccio, ma amore
sincero e totale.
E’incantesimo quotidiano
che mi strappa alla realtà
e mi colma di infantile
felicità.
-
Come sirena su scoglio
lontano mi attiri e mi
ammalii. Come in sogno,
cammino tra i flutti, per
perdermi con te negli
abissi del mare. Morte
più bella non vorrei.
-
QUASIMODO
A me discesa
per nuova innocenza.
Era beata stanotte la tua voce
a me discesa per nuova innocenza
nel tempo che patisco un nascimento
d’accorate letizie.
Tremavi bianca,
le braccia sollevate;
e io giacevo in te
con la mia vita
in poco sangue raccolta,
dimentico del canto
che già m’ha fatto estrema,
con la donna che mi tolse in disparte,
la mia tristezza
d’albero malnato.
-
QUASIMODO
Foce del fiume Roja
Un vento grave d’ottoni
mortifica il mio canto,
e tu soffri a grembo aperto
la voce disumana.
Da me divisa s’autunna
ai moti estremi giovinezza
e dichina.
La sera è qui, venuta ultima,
uno strazio d’albatri;
il greto ha tonfi, sulla foce,
amari, contagio d’acque desolate.
Lievita la mia vita di caduto,
esilio morituro.
-
Ogni pena ti dirò, ogni
filo di speranza, ogni
progetto per l’avvenire.
Nella gioia saremo in
due,
e così anche nel dolore.
Stringimi più forte – ti
dirò – Stammi più vicino.
Non lasciarmi mai,
amore, se non vuoi la
morte del mio cuore.
Per sempre, per sempre –
mi dirai – ti amerò per
sempre, anche se i giorni
a noi concessi non sono
ormai tantissimi. Sei tu
l’unica gioia, sei tu
l’ultima speranza, il mio
pensiero costante.
-
QUASIMODO
Di fresca donna riversa in mezzo ai fiori
S’indovinava la stagione occulta
dall’ansia delle piogge notturne,
dal variar nei cieli delle nuvole,
ondose lievi culle;
ed ero morto.
Una città a mezz’aria sospesa
m’era ultimo esilio,
e mi chiamavano intorno
le soavi donne d’un tempo,
e la madre, fatta nuova dagli anni,
la dolce mano scegliendo dalle rose
con le più bianche mi cingeva il capo.
Fuori era notte
e gli astri seguivano precisi
ignoti cammini in curve d’oro
e le cose fatte fuggitive
mi traevano in angoli segreti
per dirmi di giardini spalancati
e del senso di vita;
ma a me doleva ultimo sorriso
di fresca donna riversa in mezzo ai fiori.
-
Pensiero dominante,
ansia
struggente, attesa senza
fine. E’ quel ch’io provo.
Però il sogno d’amore
che
condivido con te mi
rasserena l’anima e mi
placa i bollenti spiriti, mi
dà la pazienza che
occorre per attendere di
gustare il
miele della vita, con te!
-
Nella mente spunti al
primo mattino come stella
rilucente. Tale è il tuo
dolce sembiante, che il
cuore impazzisce di gioia,
come pianeta che riceve i
primi raggi del sole e
passa dalle tenebre della
notte alla luce splendente
del giorno. Gran diletto
prova tutto il mio essere
al solo pensarti e a
nutrirsi della nuova linfa
che apporta il tuo
apparire, rinnovando la
voglia di vivere e di agire.
-
U. SABA
La gatta
La tua gattina è diventata magra.
Altro male non è il suo che d’amore :
male che alle tue cure la consacra.
Non provi un’accorata tenerezza?
Non la senti vibrare come un cuore
sotto alla tua carezza?
Ai miei occhi è perfetta
come te questa tua selvaggia gatta,
ma come te ragazza
e innamorata, che sempre cercavi,
che senza pace qua e là t’aggiravi,
che tutti dicevano : “ E’ pazza “.
E’ come te ragazza.
-
Amo pensarti come
fuggitiva ninfa che fende
col bianco petto l’onda
oceanina. Tale galleggi,
di tanto in tanto, quasi a
darmi il tempo di
raggiungerti e
avvinghiarmi al tuo
flessuoso corpo, sol per
bere dalle tue sfavillanti
labbra l’ambrosia marina
e baciare la tua fronte
vaga e stellante.
-
S. Quasimodo
Da “ Oboe sommerso “
Parola
Tu ridi che per sillabe mi scarno
e curvo cieli e colli, azzurra siepe
a me d’intorno, e stormir d’olmi
e voci d’acque trepide; -
che giovinezza inganno
con nuvole e colori
che la luce sprofonda.
Ti so. In te tutta smarrita
alza bellezza i seni,
s’incava ai lombi e in soave moto
s’allarga per il pube timoroso,
e ridiscende in armonia di forme
ai piedi belli con dieci conchiglie.
Ma se ti prendo, ecco :
parola tu pure mi sei e tristezza.
-
Sorriso di miele, volto
rosato, bocca vermiglia.
E’ l’incanto che mi dai
quando ti guardo. Che
gioia sfiorare la tua
chioma color rame! E
abbracciarti con
trasporto, con una
vampata d’amore,
con un fremito
per tutto il corpo! E dirti
all’infinito “ ti amo, ti amo” e
“t’amerò per sempre”. Con te
fino all’ultimo respiro, con te
in ogni dove, al di qua
e al di là della vita!
-
l'hai scritta tu?
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QUASIMODO
Profonda la strada
su cui scendeva il vento
certe notti di marzo,
e ci svegliava ignoti,
come la prima volta.
“ Antico inverno “
Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma :
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.
Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po’ di sole, una raggera d’angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d’aria al mattino.
-
Cosa dirti se non che la
speranza s’affioca di
corrispondenze d’amore?
E di una felicità
inafferrabile?
Ma sempre più esplode il
sentimento, pazzo come
sono di sogni inebrianti.
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QUASIMODO
“ E la tua veste è bianca “
Piegato hai il capo e mi guardi;
e la tua veste è bianca,
e un seno affiora dalla trina
sciolta sull’omero sinistro.
Mi supera la luce, trema,
e tocca le tue braccia ignude.
Ti rivedo. Parole
avevi chiuse e rapide,
che mettevano cuore
nel peso d’una vita
che sapeva di circo.
Profonda la strada
su cui scendeva il vento
certe notti di marzo,
e ci svegliava ignoti,
come la prima volta.
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