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Nicholas Negroponte: "Troppe cose inimmaginabili. I social? Sono come i bar"

Intervista al guru del Mit che si arrende al futuro. "Online non esiste privacy"

di FRANCA FERRI

Pubblicato il 12 aprile 2018 
Ultimo aggiornamento: 13 aprile 2018 ore 06:30

  

 

Il ricercatore Nicholas Negroponte

Rimini, 12 aprile 2018 - Professor Nicholas Negroponte, lei ’immagina’ come la tecnologia può cambiare il nostro futuro fin dal 1985, da quando fondò MediaLab del Mit di Boston. Che cosa è andato come avevate previsto negli anni ’80 e ’90?

"Le cose che avevamo previsto – risponde dopo aver concluso il suo intervento al Forum di San Patrignano – erano in generale l’accelerazione della scienza e della tecnologia. Potevi guardare dove eravamo e immaginare dove saremmo andati, le conseguenze e i risultati. Ad esempio, potevi pensare che con lo sviluppo del gps avremmo avuto i servizi che abbiamo ora".

E cosa non avete previsto?

"Sono successe molte cose che non abbiamo immaginato. Non abbiamo capito che la Rete sarebbe cresciuta così tanto e così rapidamente con lo scopo di fare comunicare le persone. Non solo noi del Medialab: anche gli ’inventori di internet’ non lo immaginavano: pensavano che la Rete avrebbe avuto meno utenti, sarebbe cresciuta meno".

Oggi siamo decisamente più digitali rispetto al 1995, l’anno del suo libro Being digital, il manifesto della rivoluzione digitale. È stata davvero una rivoluzione?

"Più che una rivoluzione la definirei una cultura".

Una cultura buona, cattiva o neutra?

"Nel mio mondo ideale e utopico, non puoi biasimare la fotografia per la pornografia, o biasimare la scrittura per le mail di odio che ti arrivano. Dovremmo separare, dovremmo avere modi di gestire gli aspetti negativi, ad esempio le fake news, senza pensare di eliminare completamente la connettività. Mi dispiace che oggi invece le due cose siano così intrecciate".

A che punto siamo con l’intelligenza artificiale? Quali sono i rischi e le opportunità?

"Il mio miglior amico era Marvin Minsky (lo scienziato statunitense che ha fondato il Laboratorio di Intelligenza Artificiale al Mit, ndr): si è occupato di intelligenza artificiale fin dal 1958. Il suo gruppo di lavoro era il top: quello di cui erano preoccupati non era lo sviluppo tecnico dell’intelligenza artificiale, ma la coscienza, la consapevolezza che richiede. È la direzione in cui stiamo andando comunque, quindi dobbiamo esserne consapevoli e gestire il processo".

Il tema più caldo di queste settimane è la privacy online: come ci si difende dalle violazioni?

"Il modo migliore è capire che non c’è privacy, e non preoccuparsene. Quando usiamo un servizio online, non solo un social network, cediamo automaticamente dati: dove siamo, cosa ci interessa. Molto dello scandalo sta nell’essersi resi conto solo oggi di quel succede da molti anni".

Lei vede un problema particolare coi social network?

"No, i social network sono una forma di comunicazione, il che non è un male di per sé. Lo abbiamo fatti per anni: andiamo al bar e scambiamo opinioni, anche quello è un social network".

Nel suo intervento qui al forum dell’Economia sostenibile, lei ha sottolineato più volte la necessità di essere meno ’orientati al business’. Perché?

"Credo che lavorare per il benessere collettivo, pubblico sia più importante. Le faccio un esempio concreto: da oltre trent’anni, ogni anno escono dal Mit 50 superlaureati. A differenza del passato, oggi in media uno solo di questi 50 resta nella ricerca e lavora per l’interesse collettivo nel settore. Metà degli altri cerca fortuna fondando una start-up, l’altra metà va a lavorare per i giganti dell’hi-tech, e cede a loro eventuali nuove idee brillanti e geniali. Le società private ne guadagnano, ma la società civile no".

Qual è il suo sogno per il futuro?

"Quasi tutti i problemi al mondo si possono risolvere con l’istruzione, che non significa solo apprendimento, ma ’educazione’ in senso ampio. Il mio sogno è che questa educazione cresca".

Qualche passo concreto l’ha fatto, col progetto ’One laptop per child’, computer da 100 dollari per i bambini di paesi in via di sviluppo.

"L’abbiamo avviato nel 2005 con successo: diversi Paesi lo hanno preso in carico, dall’Etiopia al Sudamerica. È una buona strada".

Marco da Frido -Nota Bene-  non possiamo fare progetti esecutivi del futuro, dobbiamo però prenderlo in carico e il FUTURO E’ IL FUTURO DI TUTTI O DI NESSUNO, mi fermo, ecco questo è un concetto noosferico, che diventa tale solo se cominciamo a dibatterlo liberamente, apertamente, serenamente ed è questo "prenderlo in carico" Il futuro, il futuro  non possiamo progettarlo, dobbiamo costruirlo: ” Nulla vale la pena di essere trovato se non ciò che non esiste ancora, l’unica cosa degna del nostro sforzo e quella che ci consente di costruire l’avvenire. Nulla è profano per chi sa vedere.” Pierre Teilhard de Chardin.                                                                                                                                                                                       Frido. 13/11/2020

Dobbiamo mettere insieme un gruppo di persone, disposte A SOGNARE la conquista di Nuovi Orizzonti, i progetti esecutivi, per conquistarli, alcuni ci sono, altri già in iter, dovremo invece abbandonarli per andare avanti, e dovremo dare all’Umanità una visione-missione entusiasmante, che solo un uomo pienamente evoluto potrà realizzare.                     Frido

13/11/2020