Ester amava i cappelli. Ne aveva uno rosso, a forma di foglie sovrapposte. Lo metteva la sera. Le piaceva andare nelle luci della città, quando la luna era grossa. Malgrado fosse bionda, aveva una voce scura. Cantava nel locale. Quasi tutte le sere. Tranne il lunedì. Suonava il piano con energia e i testi delle canzoni erano suoi. Era bella, attraente, sexy. Ma non ti fare strani pensieri. Il suo cuore era abitato da passioni più potenti del sesso. Non aveva nessun uomo, pur attraendone tanti. Chi poteva starle vicino, a lungo – a questo vulcano?
Quanto vorrei un caffè! – mi disse. E fece segno al cameriere. Ordinammo due caffè doppi in tazza grande. Io volli anche una grappa.
Ho perso mia madre a 19 anni. E mio padre due anni dopo. Dall’età di 22 anni sono sola a lottare per la vita… Siamo sempre dei negri, siamo sempre degli schiavi. La lotta per i diritti civili non dovrebbe mai cessare. Ci sono sempre nuovi traguardi da raggiungere. Le maglie della vita civile sono sempre troppo strette. La gente ha le prigioni nella propria testa.
Avevo sentito la sua canzone, nel locale inebetito dal fumo e l’avevo invitata al tavolo, dopo. Il ritmo era penetrante e il testo mi aveva sorpreso. Non ne sapevo niente. Niente di niente. I
l testo diceva che Dio ha messo un seme dentro ognuno di noi, come se fecondasse la Terra. Diceva che Dio ama la Terra come la sua Donna. E che le ha messo un seme dentro l’utero. Diceva che Dio ha disseminato nel suo grembo in abbondanza, pazzo per i fianchi della Terra. E che ogni seme è qualcosa di unico, come vuole l’amore. E che tu sei un pezzo di terra con un seme di Dio.
Diceva cose di questo genere, con quella voce scura, da scuoterti nelle viscere. E il ritornello martellava: È il tuo destino, negro! Fai crescere quel seme. È un dono per te, negro, è un dono per la vita.
Non sono contro nessuno. Non voglio lottare contro niente – diceva. Ho lasciato spegnere rancore e vendetta. Mi sono innamorata della mia libertà. Canto, compongo canzoni e canto. Mi guadagno da vivere in questo modo. Non voglio padroni, non voglio servire. Il mio sogno è un mondo in cui ogni uomo e ogni donna possano far crescere quel seme.
Questa è la mia vita. Questo è tutto. Proprio tutto. E questo è il mio dono.
Io amo la gente, e amo il mondo. Ma lo voglio amare a modo mio. Bevo e fumo, ma ho il cervello attaccato. Non credere.
Aveva il cappello rosso in testa. E c’era la luna piena, o quasi.
non è una città che mi piace molto, ma senza dubbio alcuno, è stimolante e propositiva...
ma vivere no...da andarci come per vedere qualcosa di magico, che ti prende... si ma bella no. scusatemi...so di farmi qualche nemico, ma così penso...