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Aggiornamenti di stato pubblicati da pierreroche

  1. Il castigo

     

    Non ti avevo mai vista alla guida.

    C'eri tu al posto del conducente in quel momento, le mani strette sul volante della tua macchina nuova.

    La strada aveva qualche disconnessione di carreggiata a tratti per colpa dello sterrato, altre volte causa dei dossi spuntati dalle radici. Dei grandissimi pini secolari ci accompagnavano sull’orlo del tragitto.

    La campagna si apriva verso un’area incontaminata naturale e si riempiva di colori in fiore. L’orizzonte si univa alla distesa di un prato verde. Il tuo maneggio abituale distava ancora pochi chilometri; eri solita trascorrere qualche pomeriggio con il tuo cavallo.

    L’abbigliamento che indossavi era tipico dell’occasione a differenza mia che ero solo un visitatore curioso delle tue passioni. La tua camicia era bianca e aderente; aveva un colletto orientale alto che tu lasciavi sbottonato fino alla quarta asola. Eri solita e abituata a fare così, dicevi che il tuo décolleté era una delle tue parti migliori e su questo fatto, più di una volta, il mio sguardo interessato e affascinato te ne aveva data piena certezza. Il cotone era di un candido ancora più bianco alla luce primaverile; aderiva ad ogni tua forma rafforzandola voluminosamente.

    Sopra portavi una giacca di velluto blu sbottonata per guidare più comoda. Il pantalone colore fango attaccava perfettamente ad ogni tua piega. Aveva il rinforzo interno demarcato da delle cuciture che tratteggiavano la particolarità dello stile. In parte il pantalone veniva coperto da dei stivali di pelle alti fino al ginocchio. Quel tuo abbigliamento ti faceva molto più risoluta del solito e metteva forse troppa evidenza di rigore verso ciò che disapprovavi:

    – Non dovresti scrivermi di notte soprattutto se sei stanco di giornata! –

    – Beh scusami, ma stanotte avevo un’ora in più da recuperare per via del cambio d’orario legale –

    – Rischi poi di addormentarti nel momento in cui dovresti essere più sveglio, a quel punto mi arrabbierei davvero – mentre mi pronunciavi queste parole imboccavi la stradina d’ingresso del ranch facendo sobbalzare l’auto da una cunetta.

    – e se poi ti arrabbi che fa? – te lo dicevo con intenzione di sfida pur non comprendendo se effettivamente in quel momento fossi alterata davvero o se stessi solo scherzando con indifferenza.

    Per un attimo rimanevi in silenzio. Il mio sguardo rivolgeva verso il tuo per nulla condizionato dal mio e attento nell’ultima manovra. La mia insolenza unita anche forse ad un maliziosa provocazione non trovava sosta: – quindi? Se ti arrabbi che fai? –

    Improvvisamente frenavi di colpo parcheggiando l’auto. Per il terreno sconnesso le ruote presero a slittare sull’ultimo metro. Un polverone di coda si alzava dietro i nostri retrovisori.

    Ora eri tu a cercare il mio sguardo allarmato dalla frenata; ti voltavi verso di me con una risposta secca e coraggiosa:

    – ti metterò in castigo, chiaro? –

    Lo riferivi tra il serioso e un leggero ghigno di sorriso che non lasciava intendere cosa stavi mai tramando nella mente. Lo stavi dicendo con ironia? E se fosse un rimprovero o un’intimazione? Deformazione professionale pensavo, da maestra, ma allo stesso tempo iniziai a valutare, in maniera del tutto sciocco e inappropriato, un intento malizioso della ipotetica penitenza.

    – beh allora dipende tutto dal castigo – provavo a risponderle con chiara istigazione.

    Dopo essere scesa la tua portiera si chiudeva bruscamente; che ti fossi innervosita sul serio? Ragionavo dentro di me rispetto a quanto poco ti conoscevo.

    Io uscivo più prudentemente e cautamente mi avvicinavo a te seguendoti, mentre ti ridirigevi verso la scuderia. Il tuo passo era sostenuto, gli stivali battevano a terra con vigore.

    Non cercavo di raggiungerti, ti tenevo a due metri. Un po’ perché non avevo ancora intuito lo stato d’animo della tua conversazione, un po’ perché quel pantalone da fantino ti stava magnificamente indosso e non volevo di certo perdermi il movimento dei fianchi che ondulavano poco sotto la giacca.

    – mi stai guardando il culo? –

    – Cosa? – rispondevo quasi incredulo perché forse era la prima volta che ti rivolgevi così a me.

    – mi sembra che tu abbia bisogno di una lezione –

    Poco dopo eravamo nella scuderia.
    Il profumo del fieno era inebriante; il suono del respiro vivo dei cavalli interrompeva a tratti il silenzio. La fila dei box ai lati rimanevano taluni aperti e altri chiusi. Lo zoccolo dei tuoi stivali risuonava lungo il corridoio andando a sfumare rispetto al mio passo. Ti avevo per un attimo perduta nel momento che arretravo per scorgere meglio i cavalli. Alcuni erano bianchi, bruni… altri neri. Non mi ero mai interessato a questo mondo e non conoscevo affatto nulla di tutto ciò.

    E’ avvenuto verso la metà del corridoio, in un istante nel quale ero affacciato ad uno scomparto vuoto, che improvvisamente avvertivo una energica frustata sui glutei. Nel momento che mi sono girato ti ho vista con il tuo frustino in mano stretto dai guanti neri.

    – ma che fai? Ma sei pazza? Mi hai fatto male! –

    Nel vederti così non pensavo altro che indietreggiare mentre tu all’opposto venivi avanti, sempre più, pressandomi volontariamente verso l’interno del box e chiudendoti così alle spalle l’unico varco di uscita.

    – ma che fai? Ma sei impazzita? –

    – te l’ho detto, mi sembra che tu abbia bisogno proprio di essere ben educato –

    Nei pochi passi che mi rimanevano per addossarmi ad un angolo, agitavi la frusta davanti a me, lanciandomi qualche colpetto sulle gambe e sulle braccia, ma erano più leggere rispetto alla prima per la quale ero ancora indolenzito. In quel momento mi accorgevo che avevi anche un sottile sogghigno sulle labbra, un dettaglio che mi rassicurava su una volontà meno dolente rispetto a quanto sembravi asserire inizialmente.
    Allo stesso tempo, oltre ad agitare il frustino, mi accorgevo che con una mano facevi saltare ulteriormente qualche altro bottone della tua camicetta scoprendo ancora di più la fenditura di pelle tra i due seni che si spalancava senza nulla indosso. I capezzoli rimaneva invece coperti sotto il cotone e nella penombra si poteva scorgere visibilmente la punta del loro fermento.

    Arrivato in fondo alla stanza, l’ombra si faceva più fitta e lasciava alludere a quel lato d’oscurità che oltre ad essere caratteristica di quel frangente, lo era anche in corrispondenza alle nostre personalità e ai nostri intenti.

    Con le spalle ormai al muro facevi l’ultimo passo verso me con il tuo corpo quasi pungendomi con i tuoi capezzoli a punta. Alzavi la frusta con l’estremità del cuoio portando la linguetta sotto il mio mento. Con quel fare ancora sinistro e risoluto avvicinavi il viso a pochi centimetri da me. Gli occhi erano affamati.

    In quel momento capivo che c’era una sola volontà e in pochissimo tempo il silenzio fu rotto dal tuo ultimo invito: – sei pronto per la penitenza? –

     

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    1. ghostnick0

      ghostnick0

      Però un frustino da equitazione non lascia indolenziti!  ;)

    2. pierreroche

      pierreroche

      immagino che possa dipendere dalla forza che una persona ci mette....

      non lo so...

      ....sei tu l'esperta....

      ....di equitazione intendo.... 🙂

  2. Ma che la baciai questo sì lo ricordo....

    ....e il.mio cuore le restò sulle labbra.

  3. Oggi c’è il sole, la giornata è di una primavera ormai esplosa ideale per una gita fuoriporta Milano.

    – farà caldo al lago? Se indosso le calze con una rete ampia le gambe respireranno –

    Quello che mi piace di Lei e la sensualità nella sua naturalezza d’espressione, frasi semplici, sintetiche, sempre pronunciate senza furbizia, ma nell’assoluta confidenza del nostro rapporto amicale.

    – Mi allacci la collana? –

    I suoi capelli sono di color londra che diviene ancora più particolare nelle giornate così piene di luce. Anche le unghie in giornate come queste sono colorate di azzurro.

    Oggi indossa un vestito di lino e una camicia con un disegno d’edera blu che si ramifica su un corpo sempre troppo incontenibile. La tela aderisce a quelle rotondità contenendole, ma l’impressione è quella di una corporatura trattenuta che voglia improvvisamente venire fuori dai vestiti ed esporsi a nudo, come un’esplosione imprevedibile, che renda libera la forma agli occhi e ai desideri della natura.

    Il suo stile è tra lo stravagante e l’elegante. In giornate così non fa a meno di portare qualcosa di aperto, di arioso come ad esempio un ricamo a filo o uno spacco.

    Io a differenza sono tra il classico e il casual, un po' retró. Quando siamo vicini la dissonanza è evidente, ma questa differenza di look che abbiamo, non intacca in alcun modo la nostra ambiguia armonia.

    Tra le vie ogni uomo la guarda e questo mi crea imbarazzo, ancora di più quando lei passeggia tenendosi sottobraccio.

    Sono io difatti a non sentirmi mai al sicuro quando sono fuori al pubblico, lei  é piú non curante e riconduce sempre un po' tutto alla nostra amicizia; io ci leggo sempre molta piu malizia.

    I suoi atteggiamenti vanitosi fanno di tutto per ingannare la folla rispetto a quanto una donna sravagante, possa camminare con un uomo classico accanto; di questo contrasto lei si compiace, la diverte e me ne rende così partecipe senza trattenere alcun segreto.

    Io questa situazione invece la subisco un poco, forse perché mi imbarazza e un po’ perché i suoi gesti sono una recitazione che vede sempre lei come prima protagonista ed io come semplice comparsa sottoposta ad una sceneggiatura (sempre improvvisata)... Basta pensare a tutte le volte che mi chiede di aiutarla nel salire o scendere su un tragitto disagevole, dove sul fine corsa, con un’espressione di fatica conclusa – uff… finalmente! – si sbilancia con le sue protuberanze su di me, qualche volta anche atterrando per essere frenata, fino ad abbracciarmi, baciarmi sul viso, soddisfatta del mio aiuto premuroso  – …se non ci fossi tu Pierre…! –

    I suoi seni si schiacciano spesso su di me qualche volta sbuffo tra fastidio ed eccitazione. Nelle salite altre volte mi precedere mettendomi in una situazione di coprirle la rotondità posteriore, lei stessa mi dice –  stammi dietro, molto vicino, altrimenti mi guardano – e io le ubbidisco sottostando alla vicinanza lussuriosa del suo didietro che si muove al ritmo dei gradini, anche troppo davanti ai miei occhi, ma sempre molto lentamente come fosse una danza.

    Ma dove le riesce di più di esprimere questa sua vanità di possesso, davanti agli altri è nella fotografia. Questo è il suo spasso preferito, mettersi in una posa e chiedendomi di fotografarla. Nelle pose mi accorgo che mentre io la inquadro con la macchina fotografica, altri si soffermano a fotografarla con gli occhi che divengono teleobiettivi prolungati di desiderio.

    Quanto ci gioca in questo! Nelle sue performance da esibizionista, facendo sempre credere a tutti che quegli spacchi, quei ricami che spesso si intravedono siano solo una disattenzione.

    Allora il rituale è sempre il medesimo: le faccio un cenno, lei abbassa lo sguardo e poi porta una mano di scatto a ricoprirsi un dettaglio uscito sotto la stoffa alzata dal vento; esclama – oh accipicchia, mi si vede tutto! – io sorrido, lei mi fa la linguaccia dove fuoriesce evidente il piercing, poi strizza un occhio sorridendomi come per dirmi – L’ho fatto apposta – e quando mi volto allora vedo la faccia colpita di un qualche passante a cui ha voluto attirare la sua attenzione.

    Non posso che sentirmi allegro, la giornata comunque è magnifica...

    Da questo promontorio il panorama verso il lago è incantevole. Il senso di leggerezza di questa giornata è in equilibrio con tutto il senso di spensieratezza che vivo in questi momenti con lei.

    Il vento muove questa leggerezza, soffia attraverso le sue gambe e la rete delle calze, raccontando che non è di certo oggi il tempo dei 'se' dei 'ma' dei 'perchè o i 'percome'; questo è il tempo di una serenità di cui entrambi necessitiamo e su cui vogliamo che questa unione tra noi si fondi; fosse anche per distogliere qualche brutto pensiero che nel quotidiano ci turba.

    – Ancora uno scatto? –

     

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  4. Ogni volta che scrivi un incipit, mi metto a leggerlo e rileggerlo con attenzione per ricercare qualche assonanza di noi, dei nostri dialoghi, delle nostre fantasie.

    Certe volte mi accorgo di alcuni dettagli che possono sembrare i nostri, ma forse in realtà è solo una strana fatalità…

    Altre volte leggo qualcosa del tuo passato e penso che poteva appartenerci, ma forse è solo una mia invidia per qualcosa che non ho vissuto…

    Poi ci sono le parole scritte forse con leggerezza, sulle quali tu dici di non dare peso, ma sulle quali qualcuno un peso ce lo mette…  ...ed io finisco stupidamente per ingelosirmi….

    Ci sono quelle parole piene di desiderio, che anche se non lo sono, io le faccio mie, le rendo nostre, avidamente…

    ...perché mi piace pensare di poter essere all’interno di ogni tuo desiderio.

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  5. Questo uomo sul treno posa lo sguardo oltre il finestrino.
    E' qui davanti a me e finisco per studiarlo attraverso il suo riflesso.

    Ha un'aria nostalgica, forse malinconica.
    Fuori piove, a dirotto.

    Lo sguardo é perso nel grigio; me ne accorgo dal fatto che alberi, case, macchine sfrecciano davanti ai suoi occhi senza provocare distrazione alcuna.

    I suoi occhi sono quelli della mente.
    Varcano ogni possibile orizzonte, ogni cosa materiale.

    É lo sguardo dell'anima quello li.

    Quello sguardo che cerca nell'infinito l'inconsistenza di una realtá.

    Quest'uomo varca chilometri di etere per riuscire a raggiungere un pensiero profondo.

    Forse un pensiero caro, forse indispensabile alla sua vita, forse tanto inseguito e forse tanto illusorio.

    Che cosa sta cercando quest'uomo?

  6. Ritorno a quel tavolino, al Bar Tentazioni.

    Non è un modo per definirlo, l’insegna del bar riporta realmente questo nome; ironia della sorte.

    Mi siedo nello stesso luogo dove sedevo con te ormai una primavera fa. Non ci sentiamo più da mesi e qui sembra tutto cambiato. Il cielo non è lo stesso, non c’è sole, ci sono solo nuvole grigie.


    Io avevo preso un caffè shakerato, ordino invece uno normale, leggermente lungo.
    I miei sentimenti sono rimasti qui, ma so che per te non è andata così.
    Non mi servirebbe a nulla parlartene, raccontarteli, perché il nostro tempo è davvero finito.

    Sei altrove. Altrove con le tue smanie, altrove con i tuoi giochi, quelli ai quali non ho voluto giocare, altrove anche con quella poca sensibilità che poteva rimanerti e che non riservi di certo più per me. 

    Non ti chiamo perché so che mi farei male. Non ti chiamo perché voglio tenerti con un ricordo bello, dei momenti davvero piacevoli trascorsi a chiacchierare insieme.

    Allora mi stringo a me, mi stringo alle mie emozioni, sole, grandi.
    Mi stringo ai miei sentimenti mentre sorseggio questo caffè al quale non ho voglia neppure di aggiungere lo zucchero; il sapore così è amaro, amaro come qualche volta la vita è…

    Sembra che tutto si sia fermato in quel parcheggio.
    Mi chiedo se ho sbagliato.
    Forse non le avrei dovuto spendere tutte queste emozioni.
    Avrei dovuto trattenerle e regalarle a chi mi ama davvero.
    Sì, mi dico, non avrei dovuto sprecarle.

    Erano qualcosa di davvero prezioso per me, un valore che non doveva essere così distrutto.

    1. fleurdelys00

      fleurdelys00

      come dare torto a queste bellissime parole!

  7. Sentire che puoi colmare quel leggero senso di solitudine quotidiana in un'esistenza....

    ...e sentirsi comunque, sempre, anche nel profondo di una giornata di lungo silenzio...

  8. ...raccontami quali sono i tuoi peggior difetti, voglio vedere quanto riesco ad amarli....

  9. “…peccato che non mi ricordo dei sogni perché credo che in tutte queste notti tu stai accompagnando i miei...”

  10. Strano come delle volte avvertiamo di piú l'importanza della presenza quando ne viviamo la sua assenza....