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  1. Il buio

     

    – Ho notato che mi hai assecondato sull’indossare la mia camicia –

    – E’ vero, ero restia inizialmente, ma poi ho deciso di fare la ragazzina ubbidiente –

    – Mi chiedo fino a che punto tu possa essere così disponibile –

    – Dovremmo provare per saperlo entrambi, non trovi? –

    Il sussurro delle parole si perdevano nel buio, cosi intimo e cosi al riparo.

    Ti sentivi bene e ti sentivi mia. Quella sensazione di oscurità ti faceva pensare a tanti significati.

    Ti faceva pensare al mio lato nascosto, quello che forse non conoscevi ancora. Ti faceva pensare alla tua zona buia, quella che anche tu non comprendevi ancora, ma che sentivi emergere in te in quell’istante, ora che trovavi protezione nella condizione favorevole di un’ombra.

    Sì - quel buio in qualche modo ti intimidiva e ti proteggeva.

    L’oscurità ti facilitava lasciando emergere quella parte di te, quel tuo alter-ego, che non avevi mai liberato prima.

    – Cosa vuoi che faccia per te? Dimmi… –

    Nel momento che pronunciavi quelle parole, mi sentivo conferire un ruolo al quale non volevo in nessun modo rinunciare. Non ho impiegato molto tempo a pensare cosa volessi. Nell’immaginario volevo vivere, condividere con te, uno dei tanti momenti che ci tenevano durante la distanza vicini, uniti. Volevo lasciartelo fare in quel momento, dove potevo avvertire il tuo respiro, ascoltare le tue parole… e offrirti il vantaggio del buio.

    – Siediti sulla poltrona e allarga le gambe per me, in modo che io possa vedere –

    Non ti sei neppure domandata come avrei potuto vederti in assenza totale della luce. Non te lo sei chiesta perché intendevi qual era il mio gioco: pensare di osservarti, senza violare il tuo pudore e la tua timidezza.

    Sentivo il suono dei tuoi tacchi che con due passi indietro si allontanavano da me. Io intanto mi sedevo comodo sull’angolo del letto, cercando di capire attraverso i suoni la direzione verso la quale avrei dovuto guardarti.

    – Allarga le gambe per me e scosta gli slip, voglio guardartela… –

    Non parlavi, sottostavi… e sentivo il suono del cotone muoversi e il battere dell’elastico sulla pelle. Immaginavo quanto doveva essere bello pensarti li, distesa sulla poltrona morbida, con il lembo scostato delle tue mutandine e una gamba poggiata sul bracciolo e un’altra sospesa in aria. Potevo solo immaginarlo.

    – Va bene così? Mi stai guardando? –

    – Sì, ti sto guardando, mi sto godendo lo spettacolo… –

    – Sono brava? –

    Mi sono alzato nel buio per avvicinarmi alla tua voce e dopo un passo avvertivo premere la punta sospesa del tuo tacco sui miei jeans. In quel contatto, piantavi entrambi i piedi per trovare una posizione più comoda.

    – Continua così, lo sai che sei proprio brava e ubbidiente… –

    Dal movimento che calcavi su di me si poteva intuire che ti stavi frugando, coccolando con le mani la fenditura umida e rosea della tua carne. Lo capivo anche dal rumore; era un missaggio di suoni alternati, tra un tono umido di un succo spremuto e una vibrazione di un corpo pressato. Il suono era anche accompagnato dai tuoi spasimi che non contenevi per l’eccitazione.

    Anche l’odore era intrigante, tra la tua fragranza di Casmir e l’aroma dell’eccitazione.

    – Sono tutta un lago… guarda… sono tutta un lago per te… –

    Le tue gambe si dimenavano tra le contrazioni e la voglia di avvinghiarmi. Il suono del tuo piacere si faceva sempre più intenso; voleva pronunciarmi qualcosa che rimaneva trattenuto nelle labbra per il tuo insensato pudore.

    Il piacere viaggiava verso un limite osteggiato solo dalla tua intransigenza. Pensavo che ti piaceva andare oltre ogni violazione, verso la trasgressione, provare a varcare quei confini con me, che fino a quel momento ero riuscito ad accompagnarti distesa su quella poltrona. Ma io non avevo intnzione alcuna di sollecitare una decisione che volevo fosse solamente tua.

    E mentre con una mano accarezzavo con un gesto tenero e delicato le tue caviglie, un avviso inaspettato e complice accese il tuo cellulare poco distante.

    La luce debole lasciava intravedere appena i miei e i tuoi occhi. Si guardarono per la prima volta e per alcuni secondi. I tuoi erano spalancati e avidi. I miei rincuoranti e austeri. Nel momento successivo, mentre provavo a abbandonare la tua vista per contemplare l’amore tra le tue gambe, la luce si spense fatalmente.

    E io ricordo bene che in quel secondo non feci in tempo a guardarti, ma nell’istante dopo, tutto quello che mi sembrava ormai destinato, fu ridiretto dalla tua volontà, dal tuo coraggio e dalle tue parole:

    – Accendi la luce… ti prego… accendi la luce e guardami… –

     

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