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Era un viaggio nel caldo del Sud, dove la vegetazione è lussureggiante e Peter Pan conduce ancora magicamente il suo vascello fatato.
Lei disse: Ho inventato un mondo fatto a posta per me. Era meglio di quello che mi raccontavano gli altri – i soliti ragionevoli signori che hanno deciso che s’invecchia e si muore – perché ci si affatica troppo a vivere. E l’eco delle loro raccomandazioni rimbalzava ancora nel fondo della grotta.
Solo Jardy sapeva raccontare la storia dell’avventura umana con un po’ di brivido addosso. E, in quella circostanza, disse cose che ci obbligarono a fermarci a riflettere almeno un momento.
Lei disse: Oggi sono i ragazzini a capire quel che sta succedendo. Quegli altri – i grandi – sono troppo pieni di lardo inquinato per far uscire dal loro cervello pensieri che rinfrescano l’aria e accendono il sogno.
Ah!, com’è faticoso vivere! – dicono loro. E hanno messo già il culo sulla tavola in discesa che porta alla fossa nel cimitero. Nella fretta di morire, si adoperano per perdere vita, già oggi, giorno dopo giorno.
I ragazzini sanno che il mondo comincia oggi e sono pronti a giocare e mettersi in gioco. Per questo Peter Pan non voleva diventare mai grande.
E io navigo, su questo vascello, nell’Oceano dell’Essere.
E mi sento benedetta, per il fatto di esserci a guardare e trafficare. In questa sorta di avventura che chiamiamo vita.
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Come fai ad andare a dormire quando i pensieri ti accendono l’animo?
Vorresti fermare il tempo?
No, vorresti che questo tempo non finisse mai.
E temi che, addormentandoti, gli dai il permesso di cambiare.
So già che tratterrò le palpebre il più a lungo possibile e fantasticherò nuove esplorazioni e nuovi eventi.
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Non finivo più di sostare nella meraviglia, oggi.
È lì che lo stupore di essere al mondo si fa gratitudine intesa, mentre gli occhi si riempiono più che possono di cose.
E com’è bello avere più stimoli di quanti si riesca a digerire, più abbondanza di quel che si possa mettere in tasca!
La parola viene a mancare mentre il desiderio di dire si fa gigante.
E il cuore allarga i suoi confini, cimentandosi col Tutto.
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Le fedi, quando diventano bandiere e appartenenze, non significano più un cazzo. Il silenzio di Dio è un gran dono. Consente di abbandonare il senso di appartenenza e di giustificazione che deriva dal militare sotto uno stendardo. Consente di scoprire che la grandezza umana stà nella consapevolezza che il bene e il bello valgono la pena in se stessi. E che tu sei grande non perché hai un Dio Grande. Ma hai un Dio Grande perché hai sposato la grandezza.
Natale è questo: nascere alla Grandezza.
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Incapacità di accettare del tutto che le cose accadano? È possibile. Sono secoli che mi sto dando da fare per convincermi che accade quel che deve accadere e che è meglio così. Lo faccio perché mi sembra che una posizione del genere lasci più liberi di essere quel che si è, lasciando al mondo la libertà di andare per la sua strada. Ma il mio sforzo autopedagogico non è ancora stato coronato da un successo convincente. E nel frattempo vivo nella zona di mezzo. Quella tra i due confini: che è come dire nell’ignoranza.
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La giornata incomincia con il sole.
Amo il mondo. Ed esserci. Essere viva. E saper fare quello che so fare. Adoro le mani. Un bel regalo. E l’avventura di vivere facendo quello che amo e mi viene bene e facile.
Amo pensare che in questo modo darò il mio contributo. Come gli alberi da frutta che regalano mele e pere e pesche e cachi… senza sforzarsi di fare altro che quello che è nella loro natura.
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Quando sto male – come tutti – piango, prego, mi inquieto, dispero, mi abbandono, mi arrendo e mi do da fare.
Riuscire ad isolarmi nell’adesso è come rannicchiarmi attorno alle mie ferite. Aspetto che passi – se passerà – risparmiando le forze.
E riesco a trovare anche una certa pace. Mi accontento di essere. O di essere stata.
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Ed ecco la mia gioia.
Ora sembra ripristinata sul suo trono.
Trono di bambù, ovviamente.
La casa che mi fa da vascello.
E la navigazione – piccolo cabotaggio – che si alimenta di ciò che vedo fuori della finestra.
E l’audacia dei sorrisi, delle gentilezze…
E i colpi di testa delle sfide, per esplorare il possibile, inseguire la gioia, che ti bacia e si sottrae, come una fanciulla che t’inviti scappando…
Ora oso di nuovo aprire il cuore ai grandi sogni.
E soprattutto alla musica e alla danza di una vita che si solleva sopra i semplici fatti.
Una vita che si faccia!
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Da un lato non c’è altra via.
A meno che tu non ne abbia abbastanza.
Ma, dall’altro lato, è così bello!
E tu puoi colorare lo scenario della tua storia.
Non vuoi avere una tua storia?
Con lo scenario che sei capace di desiderare?
Manda affanculo gli invidiosi!
Ricordati di quando da bambino dentro la scatola della lavatrice eri in un’astronave!
Guarda il cielo di notte, o prima dell’alba.
Pensi davvero che i confini che tu conosci siano i confini dell’essere?
Evita gli invidiosi!
Vogliono solo annegare i tuoi sogni perché non riescono a credere nei loro.
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Troppo dolore, troppo grigio, troppa rinuncia sterile. Troppe ore inutili, prive di senso.
Bisogna fare qualcosa per accendere il sorriso della vita.
Per attrarre energia innocente e giovane nel cuore.
Per guardare il mattino come una promessa che il tramonto avrà mantenuto.
Per aprire quella porta che imprigiona.
Perché i sogni entrino dalla finestra con il canto degli uccelli.
Perché la giornata sia piena di colore. -
Molti lo stanno affermando. Molti esprimono timori catastrofici su dove ciò possa condurre. Non credo che il baratro dello smarrimento sia un destino ineluttabile. Ma conviene porsi la domanda. Essa può riguardare la vita delle persone anche più profondamente che il marketing. Ipotizzando che ci sentiamo tutti quanti sotto l’obiettivo della telecamera (che in tal senso ha sostituito l’Occhio di Dio di altri tempi), che effetti ha questo su la nostra “recita”? l’immagine che recitiamo è davvero la rappresentazione di ciò che siamo e dei sogni profondi che ci definiscono?
Il Dio severo ed asciutto dell’Antico Testamento – dicono – è morto. Morirà anche il dio dello share, perché anche questo dio nega qualcosa che ci appartiene di diritto: l’identità tra la nostra immagine-sogno e la nostra realtà. -
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In quei giorni io mi ritrovavo a fantasticare a lungo – soprattutto durante le mie camminate in campagna – di essere su un camper, a girare il mondo. Nomade, non restavo a lungo nello stesso posto, e osservavo la vita – la stessa vita – con l’occhio del nomade che non mette radici in qualche posto specifico e che s’illude di poter estendere la conoscenza dell’essere estendendo lo spazio percorso, lasciando entrare negli occhi le differenze e le sorprese del viaggio.
A volte stazionavo lungo la costa, altre volte ero sulle montagne, in prossimità di qualche valico alpino. Oppure nel grande parco che costeggia il Lago di Ginevra, o sulle alture da cui, provenendo dai Pirenei, avvisti Figueres, o lungo il Danubio alle porte di Regensburg…
Durante il viaggio mi lasciavo invadere dalle immagini, assorbivo il panorama, la meteorologia.
La sera mi fermavo a mangiare in qualche posto caratteristico, cucina locale, e attaccavo bottone con chiunque.
Immaginavo che lo spostamento del nomade e l’incontro fugace potessero fornire indizi insoliti al mistero della vita, meglio che una annosa residenza sedentaria e un lunga frequentazione.
E alla fine, trovato il posto dove trascorrere la notte, la scrittura. Il momento in cui le cose vissute, digerite, si fanno emozioni e pensieri e cercano il vestito delle parole per accomodarsi sulla scena. Per rappresentare lo spettacolo dell’essere!
Era così che andavo incontro al cambiamento. Era così che cercavo l’idea. E ascoltavo le mie emozioni durante il fantasticare. E mi pareva proprio di star bene, di essere io, che la vita fosse vera. Finalmente.
Dunque? Era quello il mio orizzonte?
Ritornata con i piedi per terra, vedevo chiaramente gli ostacoli alla concreta fattibilità dell’idea. Mi sembrava che fossero insuperabili.
Era possibile sollevare il macigno che trascinava a picco l’etereo palloncino del sogno? era possibile disintegrarlo?
Pensare a “come fare per”, poteva essere il modo iniziale di vivere quell’avventura? Uno spostarsi verso, un andare in quella direzione…
Era fattibile?
Come sarebbe stato fatto?
Senza risposte a queste domande tutto sarebbe rimasto fermo.
La piacevole evasione durante le passeggiate sarebbe restata una mera fantasticheria.
Questa la posta in gioco.
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Se non ci fossero le guerre, la corruzione, le dittature… il Male, cosa potrebbe mobilitare l’attenzione dei mezzi d’informazione, ispirare la letteratura, il teatro, l’arte in genere, motivare la nostra operosità, sollecitare il nostro entusiasmo nel contribuire?
C’è qualcosa che possa rendere la nostra esistenza una storia affascinante, eccitante e succulenta, che non sia inquinata dallo sdegno, dalla critica, dalla “lotta contro”?
È una domanda che m’intriga da tempo.
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Inutile dirlo, siamo creature limitate, eppure ci definiamo a immagine di dio, come se al di fuori di noi stessi e del dio che ci ha creato, nulla ci somiglia a questo mondo. Eppure non siamo affatto diversi da qualunque altra specie di questo mondo, l'istinto, per quanto siamo senzienti, domina buona parte del nostro comportamento, del nostro modo di essere. Anche quando diciamo che a guidarci è solo la logica, il buon senso alla fine a pensarci bene, è sempre e soltanto il nostro lato istintivo a muoversi, a darci l'impulso di fare, di pensare a una determinata azione.
In conclusione, per quanto ci determiniamo a essere civili e coscienziosi nell'agire, è sempre la bestia che è in noi a fare la prima mossa, L'istinto alla riproduzione, alla sopravvivenza, è sempre in base a questi bisogni che agiamo per quanto noi possiamo negarlo, la bestia in noi alla fine vince sempre
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C’è un luogo caldo dove abita il nostro desiderio e la nostra fede. La casa dove i nostri sogni trovano conforto e rinascita. Coltivati dalla carezza dolce della Vita. Noi ci torniamo ogni sera, quando il corpo è stanco e le viscere sentono la fatica. Quando il respiro si fa più pesante e lo sguardo si carica di stanchezza.
Sappiamo che lì il riposo ci rinnoverà. E chiudiamo gli occhi, affidati, abbracciando il morbido cuscino.
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Ed esci un po’ fuori strada – voglio dire: dalle strade più battute, quelle che fai di solito.
Perché?
Ti è venuta voglia di rallentare. Vuoi cominciare a guardarti attorno, vuoi godere un po’ del panorama, delle cose, ascoltando le emozioni dell’anima. Hai fatto questa strada mille volte, sempre pensando soltanto alla meta. E a correre…
E ti rendi conto che non puoi rallentare. Per quello che desideri non servono i limiti di velocità che sono disseminati lungo gran parte del percorso. Hai comunque sempre qualcuno attaccato al culo che sbraita e gesticola perché gli freni la corsa.
All'improvviso ti trovi su una strada tutta curve, stretta, ma ben asfaltata, che s’inerpica tra i monti, costeggiando i dossi e seguendo il movimento delle vallate.
Non incroci nessuno. Nessuno ti sta alle calcagna. E finalmente viaggi davvero. Rallenti quanto è necessario a vedere e lo spettacolo è straordinario. Ti lasci colmare il cuore dall’emozione della bellezza, la suggestione delle ombre dei boschi, gli squarci paesaggistici improvvisi alle curve, le case arrampicate su pendii incredibili…
E ti ritrovi a sognare di vivere diversamente. Un mondo alla rovescia, dove non è la vacanza a infilarsi nei buchi lasciati dal lavoro, ma il contrario. Dove non sono i giardini a sistemarsi attorno alla casa, ma la casa nel mezzo di un parco.
Il finestrino spalancato, ti rendi conto della potenza terapeutica straordinaria della natura e del bisogno che ne hai. E ti lasci incantare dalle suggestioni che ti evoca nell’anima e per il tempo dell’incanto sei uno che va per mare, o su una mongolfiera, o insegue il sole sulla carovana di gitani…
E quando sei arrivato, la magia continua ancora, e ti ritrovi rigenerato, almeno un po’, per affrontare i compiti e i doveri – … semmai un giorno tu possa spezzare totalmente le catene e andare…
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Alain De Botton sostiene una tesi che condivido largamente sul motivo per cui noi amiamo la natura e cerchiamo di rifugiarci in essa il più sovente possibile. Secondo questo pensatore noi cerchiamo la natura perché essa ci consente di sfuggire alla pesantezza e alla litigiosità, ai conflitti e allo stress dei rapporti umani. Insomma il mondo che abbiamo creato è pesante, stressante e non ce la facciamo più a sopportarlo. Allora ci rifugiamo, almeno per un po’ di tempo, nella camminate in montagna, nei fine settimana ai laghi o in campagna.