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Aggiornamenti di stato pubblicati da odessa1920

  1. Si diceva pessimismo della ragione e ottimismo della volontà.

     

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  2. Ma via!, siamo tutti uomini comuni.

    Voglio dire che ci stanchiamo, facciamo quel che possiamo, abbiamo le nostre fisime, delle volte leoni, altre volte coglioni.
    In qualche modo pensiamo. Cerchiamo di guidare la nostra vita con quella cosa che chiamiamo pensiero. Siamo consapevoli fino a un certo punto e siamo consapevoli che oltre questo limite è il buio.
    Cerchiamo di lottare contro le cose, ci diamo da fare.  E quando lo sforzo ci sembra eccessivo, al di là della nostra portata, semplicemente, ci arrendiamo.
    Personalmente, mi sono arresa tante volte. Quando ringalluzzisco tendo a strafare. Ma prima o poi arrivo al limite. E allora mi arrendo. E confesso che ho imparato che nella resa c’è una pace straordinaria, che non sospettavo quando ero più giovane. Allora mi sembrava un disonore. Ora no.
    Quando mi arrendo so che la vita è troppo al di là del mio controllo e del mio potere. Che altro potrei fare di più saggio?
    Però c’è una cosa nuova. Nella resa io mi affido. In un certo senso, mi abbandono come si abbandona un bimbo ai propri genitori. Ma a chi mi abbandono, io?  

     

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    1. vincent29264

      vincent29264

      beh, ci si abbandona ai propri pensieri, ai ricordi, a sé stessi praticamente; si è un po' troppo grandi per essere coccolati dai genitori.

  3. Dove il cavaliere con estrema audacia si getta nel fiume col cavallo per portar soccorso alla principessa..
     

     

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  4. La volontà impegnata a migliorare le cose ha bisogno di un pensiero che ne sostenga la fiducia e sappi vedere le occasioni. 

     

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  5. È la bellezza che ci salverà?

    Lo spero perché è la via che ho scelto. L’ho già scritto: la via del vero e del bene si sono rivelate troppo difficili per me. Forse sono solo figlia della società postindustriale. Forse il pensiero debole mi ha contagiato. (O rivelato). Certo la via della bellezza mi appare più intrigante e attraente. Diciamo più soft, meno aggressiva, meno polemica. Meno conflittuale. 



    Guardandomi attorno, tutto quello che di vitale mi si presenta è illuminato dalla gioia, dall’entusiasmo, dalla creatività. La percezione del bello è per me qualcosa di energico, vibrante, che accende la mente. E il sogno che sogno fa battere il cervello nella scatola cranica. Le idee guizzano come lampi e aprono orizzonti. Arrivano come un panorama imprevisto alla curva del sentiero. 



    Mi sono messa in testa che la gioia creativa si estenderà. Ci sto provando. E so che tanti spiriti affini fanno altrettanto. Il cuore dell’avventura è questo. In fondo è una sfida. 



    Non mi faccio ispirare dai telegiornali per questo. lo so che le notizie sono brutte per definizione (!). Cerco, piuttosto, intorno segnali promettenti. Per esempio questo: ricordate il Body Building? Dominio sul corpo, fino a scolpirlo. Molta aggressività. In definitiva brutto perché tutto fuori, sui muscoli. Senza sapere che cosa c’è dentro. Il passo successivo è stato il Fitness. Qui è già essere in forma. Obiettivo: prestazioni. In forma per migliori prestazioni. Ma c’è stato anche un passo successivo: il Wellness. Qui il movimento è per star bene, sentirsi bene, sviluppare la sensibilità. Siamo arrivati al bello fuori perché bello dentro. Sembra un percorso ineludibile. 



    Io non uso macchine Technogym. Cammino molto, cammino dappertutto. E ho capito che c’è un camminare giusto per me che consente di pensare in maniera bella, piacevole. E questo pensare piacevolmente camminando si estende al progettare, ideare, o studiare, immaginare, elaborare… 



    Avere scenari piacevoli per il proprio lavoro mentale è di una bellezza indicibile, fornisce stimoli unici. E tu comprendi che il territorio è anche questo. Che è soprattutto questo. Le bellezze del territorio entrano in circolo con i prodotti del tuo metabolismo. Per me è un motivo sufficiente per averne una cura maniacale. 

    

E così cerco in giro anche persone stimolanti, con una storia, con la loro avventura creativa. Perché queste persone sono innanzitutto belle, la loro storia è bella. E il contatto con questa bellezza fa sognare. Fa battere il cervello contro la cassa cranica. 



    E mi rendo conto che per credere nella bellezza non basta il quieto atteggiamento mieloso. Ci vuole audacia. Forse qualche esecrabile idea che smuova le acque. Perché, come sempre, arrivi un pensiero perverso capace di rinnovare il modo. 

     

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  6. Oggi mi sono preparata da mangiare, con questi pensieri. 

    Dentro, qualcosa è mutato.


    Ho pensato a quel che resta da realizzare, del mio Sogno.


    Per quel che riguarda l’amore, per quel che riguarda l’arte, per quel che riguarda la traccia che vorrei lasciare…
Ho pensato a tutto quello che pensavo prima.


    E mi son detta: Bene! Mettiamoci al lavoro!
     

     

     

     

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  7. La notte avvolge nel suo manto le nostre domande.

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  8. Pensavo, nel bosco, mentre adeguavo il ritmo dei passi alle richieste del corpo: se vai lenta non ti perdi metà della vita. E scopri la bellezza delle cose, che anche le cose che popolano la tua giornata hanno un’anima e che la lentezza consente loro di offriti il loro dono compiutamente…

     

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    1. vincent29264

      vincent29264

      si, è v ero, in una società frenetica come la nostra, non è male di tanto in tanto fermarsi e contemplare la realtà che ci circonda, apprezzando il bellezza della vita. Ce lo scordiamo avvolte persino quando andiamo in vacanza, con la fretta e la frenesia di scappare dal luogo in cui ci troviamo, con la speranza di trovare altrove  quella pace perduta, se solo ricordassimo come cercarla, soprattutto di che colore e forma è.

  9. “Quello”. Aspetto quello. Cerco quello. Prego per quello.

    Ricordo quando ho scoperto il potere del pronome dimostrativo. “Quello!” È il primo gesto. La prima mossa. Il primo orientamento del cuore. Anzi, della mente. La mente ancora vuota di parole, di occhiali, di dettagli importanti. Dice: “Quello”. E già la prua della nave punta in una direzione.

    “Quello” è freschezza, è letizia, è una sorta di innocenza riconquistata, o ricevuta nuovamente in dono. Una seconda innocenza. Quell’innocenza che ti visita da adulto o da vecchio. Ha tutto il sapore della consapevolezza. Ogni suo aspetto diventa piacevolmente esteso e tonificante. “Quello”.
    “Quello” è dove mi porta il desiderio prima ancora che diventi consapevole a se stesso. Dove sono destinato – si potrebbe dire – non senza cautela.
 Dove le cose e l’universo mi orientano. Veramente quello.

    “Quello” dice anche: no, no, no…
Tanti no a richiami o visite che non hanno il sapore delle bollicine. Le tipiche bollicine della freschezza.

    “Quello”: è là che voglio andare, che desidero, che prego.

    E mentre vado in quella direzione, m’interrogo anche e interrogo, acciocché quello si mostri e mi parli di sé. Che mi parli di sé perché io possa parlare di me.

    Non parlatemi solo di sesso, neanche tantrico.
 Non parlatemi solo di denaro, nemmeno come energia.
 Non parlatemi solo di mercato, neanche come comunicazione.
 “Quello” è molto di più. Anche se non vedo il suo volto chiaro, quello sa già che è molto di più.

    “Quello” è qui vicino. Non è lontano come la sua non visibilità potrebbe far pensare. È vicino come il Regno dei Cieli. Lo si potrebbe toccare allungando la mano. Un “da qui a lì” potrebbe bastare.
 È come il profumo del caprifoglio nel bosco, anche quando non vedi la pianta.

    Dicendo “Quello” io lo cerco servendomi della parola. E va bene per adesso. Così come sono. Dove sono e in risposta a questa domanda che mi abita così intimamente.
 E so che la parola non lo potrà mai imprigionare. Mai rinchiudere in una gabbia. Meglio tenere la mano aperta e allargata, come nell’acqua. Perché è solo lasciandolo scorrere che lo puoi sentire. Se stringi, è il nulla ciò con cui ti ritrovi.

    E io non stringo. Dico: “Quello” è ciò che desidero, che cerco, che prego. E lascio la mano allargata, la parola nella sua modestia – eppure tanto audace.

     

     

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  10. Ti scrivo solo ora perché gli avvenimenti incalzavano e non ho avuto il tempo…


    Il nostro mondo è diventato sempre più veloce e mutevole, e l'abbiamo voluto noi, perché così è più bello.

    
Ci siamo resi conto che ci sono infinite altre possibilità.


    E stiamo addestrando il nostro corpo e la nostra mente a intraprendere una nuova navigazione.

     

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  11. Le immagini vengono prima della parola, vengono anche senza parola, e spesso al posto della parola. C'è qualcosa di magico nel creare immagini.

     

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  12. Lo so che te lo sei fatto diverse volte questo discorso. Ora te lo riproduco. Ti ci riconoscerai. 
Ti sei detta quanto segue.


    Sono venuta al mondo senza averlo deciso. Non c’ero. Mi ci sono trovata. Un po’ per volta. Perché quando mi sono accorta di esserci c’ero già da tempo. E mi chiedo: che senso ha?


    Quando mi hanno detto che sono nata perché i miei genitori avevano fatto certe cose, beh, sì, qualcosa della mia venuta al mondo l’ho afferrata. Ma dal mio punto di vista, voglio dire dal punto di vista di una storia narrata dalla protagonista, all’inizio, quell’inizio in cui all’improvviso tu ci sei stata – e prima non c’eri – e non te ne sei nemmeno accorta – e che te ne sei accorta più tardi come se la consapevolezza fosse un frutto tardivo dell’essere – beh, voglio dire che all’inizio, se tu volessi raccontare la tua storia, c’è un vuoto, uno strapiombo oscuro che ti tronca il discorso.
Tu sei comparsa – te ne sei accorta dopo che questo era avvenuto – e non sai veramente perché, chi, cosa…

    Io ci ho pensato diverse volte. E rimango ogni volta senza parole. E a scriverci sopra ne uso tante proprio perché di fatto non ho le parole che ci vorrebbero. Questo mi batte in testa: mi sono trovata tante volte a raccontare di cose fatte, di avventure, di emozioni, di accidenti e di decisioni, insomma di cose che potrebbero riempire una storia…, ma a partire da un inizio in cui… io non c’ero e quindi che non saprei narrare.


    Io non posso finire di meravigliarmi del fatto che mi sono accorta di esserci e che potevo raccontare di me una storia quando già era successo che ci fossi, che venissi al mondo. Ma quella storia, quella che mi ha portato ad esserci, quella non avrei saputo davvero come raccontarla.
     

     

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    1. mimamima18

      mimamima18

      Considerazioni che fanno riflettere....

  13. Il fresco leggero dell'imbrunire, al termine di una giornata particolarmente calda. Il momento in cui i più anziani, un tempo, tiravano fuori dalla memoria storie che incantavano i piccini. Mentre le ragazzine lanciavano occhiate furtive dall'altra parte della strada.

     

     

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  14. E salire piu su, ogni tanto, a respirare il cielo.

     

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  15. A me la musica piace, mi pare che sia dappertutto, la musica, e che qualsiasi movimento del corpo, il respiro, il battito del cuore, le gambe mentre cammino o corro… Sia musica. 

    Se c’è una cosa che rimpiango, forse l’unica cosa, è di non aver ancora imparato a suonare, comporre, a mettere in moto i suoni in maniera soddisfacente…

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  16. Affido i miei umori ai pensieri più belli.
     

     

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  17. Le parole dell’interiorità hanno fatto una grande presa. Si sono allargate a macchia d’olio, assorbite dalle anime come l’olio dal panno carta. Le parole dell’interiorità hanno colmato una grande sete. Plurisecolare, credo.


    Ma ora sembra che il discorso si ripeta, che la ruota giri su se stessa.


    C’è un orizzonte in uscita? L’interiorità non è sufficiente a cambiare il mondo.
     

     

     

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  18. Qualcosa che spunta fuori. Una luce diversa. Una luce e unsoffio di vento. Con la musica di sottofondo e tu che cerchi di immaginare la colonna sonora del film. Mentre la scena scorre.

    La rive gauche…, che cosa stai vedendo? Parigi. La prima gita scolastica all’estero, ricordi? Era bello esplorare il mondo con la tua classe del liceo. Li ricordi? Perfettamente. Li ricordo quei ragazzi. Enzo ed Elena, allora fidanzatini,  si sono sposati poi. E Luca? Santo cielo! Con la macchina fotografica che faceva scatti a ripetizione. E le storie di Sara, che non arrivava al treno all’ora della partenza, per via di quel fidanzatino che si era trovata strada facendo…

    
Non piove più. Ora tornerà il bel tempo e il caldo e le nostre lamentele… Tutto questo e quella luce diversa.

    Ma ci sei Diego? Mi ascolti?
 Mi hai detto cose ragionevoli, ma la cosa carina è stata che me le dicessi. Hai tentato di provocarmi e di scuotermi un po’. Tu sembri rassicurato da tanto tempo, molto prima che io mi ponessi domande in proposito. Hai una bella faccia. Questo mi dice molto. E so che sei capace di mantenerla tale molto a lungo. Io … continuo ad essere piuttosto inquieta, ma…

    Quando è stato? ieri, mi sembra. Già fin dalle prime ore del mattino. È stato allora, sì, credo che sia avvenuto in quella fascia oraria, io andavo al bosco. In quel momento non pioveva. E io andavo a vedere gli effetti del temporale nella mia tenuta boschiva.

    Vogliamo rappresentarla come una scena dialogo?


    Ecco:

    Io: Che sta succedendo?


    Voce: Stai conoscendo un periodo nuovo. Il peso e la fatica della mente. E ti sei spaventata a morte?


    Io: E che altro potrei fare?


    Voce: Accetta tutto questo. Affidati. Abbandonati. Se sei furba, fa’ di più: di’ che hai la fortuna di esplorare una nuovo passo della vita e cerca di divertirti. Di scoprire. C’è ancora avventura nella tua vita.
     

    E Thomas? Che stai facendo? Perché non ti sento da tanto tempo? Ce l’hai una versione di La Vie en Rose? Lo so che tu suoni sempre orchestre celestiali. Scrivi una nota o due per me. Mi fa piacere sentire un po’ di melodia.

    E così, credo di essermi arresa. E anche con sollievo. Quanto è faticoso lottare per imporre alla vita, costantemente, il tuo volere.

    Forse dipende da quel che ci hanno messo addosso da piccoli, forse, non so… poi impariamo un linguaggio e molte cose sono già formate lì dentro. Quando pensi, pensi con il linguaggio che hai imparato e vedi quello che il linguaggio ha già visto. E diventa difficile rinnovare la percezione del mondo e della vita.

    Ma non è tutto qui. C’è anche qualcosa di selvaggio che si agita dentro. Quello che non ti fa accettare del tutto passivamente gli usi e costumi vigenti e neanche le dottrine e le chiese. Quello che protesta, rivendicando una presa genuina del senso del vivere. Che non si sa neanche cosa la possa fornire. Ma il selvaggio non demorde certo per questo.

    E io sono appesa a questo dilemma: tra la selvaggia che non osa accogliere una saggezza già confezionata e una pavida che diventa falsamente cedevole.
Sembra, comunque, che mi sia arresa in qualche modo. Vediamo… 

     

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  19. Vorrei affacciarmi alla finestra e vedere il mare.


    Vorrei scendere al porto, se ci fosse.


    Salire sulla barca e andare.


    Non in alto mare, ma lungo la costa. A distanza tranquilla.
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    l vento giusto. Il mare, agevole.
U

    na giornata di contemplazione e basta.


    Solo respirare, guardare, lasciare che la meraviglia della natura filtri dentro e diventi pensiero.

     

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  20. Nelle mie camminate ho ripreso a sognare. Fantastico, trasportata dal benessere che questo provoca dentro di me. E la fiducia si sviluppa attorno alle mie fantasticherie e a queste sensazioni.

    E rientro in casa lievitata, ripulita dalla pesantezza.


     

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  21. Adoro il mio balcone, anche la notte. 



    La notte d’agosto scavata tra le stelle cadenti in cerca di messaggi ai bordi del mistero. 

    

Perché vivo ai bordi del mistero. 

    

La notte, come la battigia che separa la spiaggia stretta del noto dall’oceano immenso dell’ignoto. 



    E guardo nel buio come si può guardare nell’altrove. 

    

E la vita stessa appare come la prua della nave che avanza nelle acque sconfinate navigando a vista. 



    E benedico il sapere, tutto il sapere che millenni hanno accumulato. Pur sapendo che è poco, è già immenso per la mia piccola mente. E vi posso accedere in qualche modo, per trarne conforto e indicazioni. 



    Ma la mia vita si accende sul balcone che guarda nella notte. E aguzza l’occhio per vedere ciò che non si vede e dare certezza a quello che spero, in attesa dell’alba. 



    Una grande fiducia invade l’animo che respira già le cose di oggi. E sembra che una musica accompagni la storia, dando ai piccoli gesti l’eco dell’impresa. 



    E anche stamani posso sentire gratitudine per poter progettare il modo, il come, in maniera che calzi non l’uomo in generale, ma proprio me, così come sono.


     

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  22. Il mondo cambia così rapidamente che non ci si può non sentire sempre dei ragazzini, che hanno ancora tutto da imparare. E anche a noi, come ai ragazzini, viene voglia di esplorare la vita in maniere non codificate. Perché il gusto delle avventure deriva anche da quel senso di mistero e trasgressione che le accompagna quando non si sa ancora niente di come funzionano le cose, e non si sa in fondo che cosa succederà, che cosa nascerà dai nostri tentativi.
     

    E allora mi sforzo di ritornare un po’ ragazzina anch’io, per trovare gusto in quell’approccio alla vita che chiamiamo avventura, perché l’emozione che ne deriva è certo legata al fatto di non sapere fino in fondo che cosa potrebbe capitare, che c’è un rischio, ma che ne potrebbe derivare anche qualcosa di particolarmente bello.
     

     

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  23. Appena fuori dal porto c’imbattemmo in una sterminata regione di cose inutili. Fu uno shock, sulle prime. Eravamo abituati al mondo dei numeri e dei profitti, al mondo in cui ciò che non ha prezzo non vale una cicca. E ora eravamo storditi dal cambiamento. Ci mettemmo un po’ per ritrovare il controllo delle navi. Ma il vento gonfiava le nostre vele, e comparve sui volti dell’equipaggio un sorriso diverso, una sorta di felicità intimidita.  Sembrava che le cose inutili, che avevamo accantonato e ignorato proprio per questo, le cose inutili che avevamo lasciato fuori dai moli, avessero un incantesimo strano, suadente, inatteso. Fu durante quel lungo viaggio che scoprimmo l’utilità dell’inutile.

     

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  24. Era la via del mare che cercavamo. E la stavamo percorrendo. Il mare era l’orizzonte aperto verso una vita avventurosa e interessante. Quella gioia intima e profonda che sa di possedere il senso dell’esistenza. Volevamo radunare lungo le strade tutti coloro che asfissiavano per il clima depressivo che contagiava le regioni della terraferma. Volevamo creare gruppi di ribellione, comitati di resistenza, campi di addestramento all’operosità creativa. Dovevamo contrastare quella visione che riduceva tutto alla dimensione dei conti, dei prezzi e degli utili. Volevamo riappropriarci di tutte quelle cose “inutili” che rendono la vita bella e significativa. Volevamo dare valore alle molte dimensioni dell’uomo. Sorridere con sincerità, esprimersi, condividere. Era necessario capire come operare una rivoluzione culturale capace di conquistare e sedurre, capace di accendere la fiamma dentro il petto delle persone.

     

     

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  25. Ogni giorno ci riproviamo. Ricominciamo daccapo.
Molti di noi non riescono proprio a rimanere intontiti 24 ore al giorno.
Pieni del lavoro d’azienda, pieni di televisione e di chiacchiere che non dicono gran che.
È come se avessero un tarlo dentro.
Qualcosa che rode e che dice più meno: così non va bene, così è troppo poco.

    Ma il mondo sembra una pasta densa che ti avvolge da ogni parte e ti rende i movimenti piuttosto impacciati.
Tutto quello che si fa e come lo si fa.
E se incontri gente, sembra di non riconoscersi.

    Eppure…

    Forse è sempre stato così, in qualche modo.
Non c’è da stupirsi.
Non c’è da stupirsi se i nostri sogni si rivestono di questa pasta che fuoriesce dai massa media e dalla logica dello spettacolo.

    La cosa più viva, nella grande recita, è proprio quel tarlo che sentiamo dentro e che non ci permette di restare intontiti 24 ore al giorno.

    Nei momenti di innocenza sentiamo che vogliamo integrità e verità e bellezza. Che il nostro cuore è bambino.  E che sono le orecchie piene di rumori. Ma la vocina è sempre desta.
E allora ricominciamo volentieri daccapo, ogni mattina.
E magari siamo anche pronti ad attraversare il guado.
Anche la noia è amica della fede.

    Se riuscissimo a chiudere l’interruttore. A staccare con il telecomando. A restare un po’ da soli con noi stessi. E ascoltare voci che vengono da lontano e che ci hanno accompagnato lungo tutto ilo cammino.
Voci deboli, ma penetranti.
La voce del tarlo, che senti solo quando smetti di far rumore.

    Un tempo c’era Samarcanda.
Andavamo a Samarcanda per incontrare il nostro destino.
Com’è bello avere un destino!
Vuol dire essere qualcuno – non l’anonimo nella grande massa amministrata.

    Ma se trovi il tasto che chiude i collegamenti, beh, se premi quel tasto, la voce del tarlo è lì presente. Dice: questo è troppo poco. Io desidero molto di più. E molto più vero.

    Ci si può liberare di tutta questa polvere con una doccia di un minuto.
La vocina è sempre lì. È tagliente come una lama. E sono le corde che ci imprigionano ad essere recise.

    E allora io sognai di riprendere il cammino per Samarcanda.
E ritrovatomi sulla strada sentii di nuovo la bellezza della vita.
Quell’itinerario che si muove verso Samarcanda.

    È la mia strada.
Ho un destino.
Sono io.

     

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    1. vitto071

      vitto071

      bellissime foto :)