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non la conoscevo, grazie per l'ottimo spunto musicale, è sempre bello scoprire altri artisti :)
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odessa1920 e chiaraoscura4 ha aggiunto una reazione
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Ma tu credi al ‘per sempre’?Il ‘per sempre’ è come credere in Dio. Credo ad un certo modo di stare insieme, ad uno stato mentale a tempo indeterminato, ad un ‘per sempre’ virtuale che poi magari nella realtà non si rivela tale ma in quel momento la tua testa ed il tuo cuore non si pongono limiti temporali. E questa sensazione è già tanto per me.
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Un testo assolutamente non scontato...
"People spend so much time
Every single day
Runnin' 'round all over town
Givin' their forever away
But no not me, I won't let my forever roam
And now I hope I can find my forever home
So give me your forever
Please your forever
Not a day less will do, from you."-
odessa1920 ha aggiunto una reazione
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«Ma allora, cos’è che ti conforta?» «La certezza della mia libertà interiore, » disse lui dopo aver riflettuto « questo bene prezioso, inalterabile, e che dipende solo da me perdere o conservare. La convinzione che le passioni spinte al parossismo come capita ora finiscano poi per placarsi. Che tutto ciò che ha un inizio avrà una fine. In poche parole, che le catastrofi passano e che bisogna cercare di non andarsene prima di loro, ecco tutto. Perciò prima di tutto vivere: Primum vivere. Giorno per giorno. Resistere, attendere, sperare». IrèneNémirovsky, “Suite francese”
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Concretezza...Un po' ce ne vuole, di concretezza. Quella concretezza un po' ovattata a forma di giaciglio dove scaldarsi e chiudere gli occhi senza nessuna paura.In fondo aspiro a questo. A un punto di riferimento con la giusta (ma non troppa) componente di concretezza ma anche con tanti satelliti che apportano quell'effimera e sospesa immaterialità necessaria ad una vita.Anche l'inaffidabilità però mi piace. Un'inaffidabilità complementare alla concretezza ma non meno necessaria.Non tutti però possono permettersi quell'inaffidabilità e allora scattano le frustrazioni e le mortificazioni dentro e fuori dal corpo.Com’è difficile raggiungere un equilibrio.
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odessa1920 ha aggiunto una reazione
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Dedica su Purity di J. Franzen che restituirò a M. se lo rivedrò:Ricordo di aver visto la costola bianca della copertina incuneata (questo termine non mi è nuovo… da un po’ mi gira in testa) nella tua libreria. Ho estratto il libro, delicatamente. Non mi piacciono i libri dalla copertina rigida. Tu avevi smesso di leggerlo comunque. Mi avevi parlato per la prima volta di Franzen mentre ero a Torino, io avevo appena finito La noia di Moravia, la storia di Dino e Cecilia. La noia non ha un felice epilogo: Cecilia parte per Ponza con un altro uomo e Dino si schianta con l’auto contro un platano. Non muore però, eh… ma non voglio divagare. Torno a Purity, tu ti eri scocciato e avevi smesso di leggerlo. In mezzo c’era una scheda punti della Conad (incompleta), come segnalibro (eri arrivato a poco meno di metà). Di solito si scrive la dedica su un libro che si regala, questo non so da dove sia uscito, magari ti è stato davvero regalato da una tua ex ma non mi interessa, me ne approprio io. In fondo pure io lo sono adesso (una ex, intendo). Quando stavamo insieme non riuscivo a leggere, tenevo il libro sul comodino come una forma di pegno tra noi, mi sembrava un blocco di granito, 500 pagine di sasso, quasi non riuscivo ad alzarlo la sera prima di dormire, dopo invece l’ho finito in un fiato, come per liberarmene e per dire a me stessa che ero anche capace di leggere. Questo è cambiato, adesso sono capace di leggere. Qui l’epilogo è positivo però in qualche modo: Pip e Jason si ritrovano dopo tanto tempo e iniziano a praticare il tennis. All’inizio lei è più brava di lui, fanno scambi brevi, istantanei… poi lui lentamente migliora, gli scambi si fanno sempre più complessi e lunghi, pure i ruoli si scambiano, prima attacca lei, lui si difende e viceversa, sottorete lui, fondo campo lei e viceversa. Iniziano a conoscere e a sondare le rispettive reazioni: attesa, rabbia, stress, stanchezza, entusiasmo, voglia di rivincita, sopportazione della sconfitta senza toccarsi, ognuno sta nella propria metà campo e la palla che ogni volta lei e lui rilanciano oltre la rete con sempre maggiore scioltezza fa da tramite. E mentre migliorano nel gioco del tennis pian piano si innamorano, quasi senza toccarsi, appunto. Questa storia di amore e tennis mi è piaciuta molto. Una delle poche cose che mi sono rimaste di questo libro. Oltre all’attimo in cui l’ho estratto dalla tua libreria, incuneato e pesante come un blocco di granito.Tornando a noi, è stato quasi tutto bello, epilogo escluso.
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Molti mi dicono che sembro più giovane.Confesso che un po' mi fa piacere ma non gli do troppa importanza.
In ogni caso da un po' mi sento addosso il tempo che passa.
Io non mi sento né più giovane, né più vecchia, non credo che sentirsi di una certa età abbia molto senso: la mente non ha un'età anagrafica.
La mente "è" e basta, esiste dentro di noi fuori dal tempo e quasi mai è in armonia con il corpo che possiede.-
Bellissima foto e bellissimo pensiero
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odessa1920 ha aggiunto una reazione
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Io: cosa pensi della mia vita?Alberto: che la prendi troppo sul serioIn effetti mi prendo troppo sul serio, come fosse una esigenza.
Adesso, una delle poche certezze che ho è che non ho davvero nessuna esigenza, non ho la pretesa o la presunzione di esigere nulla da me stessa. Devo prendere coscienza di non avere nessuna esigenza, non esigere nulla né da me, né dagli altri e vivere così, distillando ogni giorno nella sua essenza, felice di essermi liberata da tutto, con fatica e dolore.Questo era il mio percorso, evidentemente, la mia liberazione, il mio senso. -
Lei pretendeva che lui le leggesse nei pensieri. Abbozzava ogni gesto, ogni discorso in attesa che lui terminasse quanto già iniziato, pena il distacco, l’incomprensione e la freddezza. Non lo faceva per gioco o per distrazione ma era una esigenza profonda. Era il suo modo di intendere l’amore, l’intesa e la complicità. Nonostante manifestasse con orgoglio la propria indipendenza fisica e spirituale da lui, intimamente pendeva dalle sue labbra. Perché lui era il suo naturale completamento, sapeva leggere l’alfabeto delle sue emozioni.
A lei piaceva ascoltare, abbandonarsi alle sue parole, le piaceva perdersi tra le sue carezze come un gozzo in mare aperto nel corso di una tempesta impetuosa: uno sguardo, un respiro o un sospiro erano la stella polare, i punti cardinali.
Lui aveva i tutti i mezzi per capire la direzione da seguire, era stata lei a fornirglieli. Talvolta lo faceva con disinvoltura, con estrema naturalezza, quasi con facilità, altre volte non ci riusciva, non capiva dove era la meta, il fine da perseguire, e allora si apriva una voragine.
Inutile gridare: la terra tra i due continuava ad aprirsi lentamente ed inesorabilmente, senza tregua. E quando succedeva tra i due si innalzava un muro silenzioso.
Lei soffriva: una sofferenza senza spiragli, buia, chiusa e impenetrabile. Lui era incapace di attrarla nuovamente a sé: ogni parola, ogni gesto risultava banale, futile e inutile. Soffrivano entrambi.
Si promettevano che non sarebbe mai più accaduto ma poi sapevano che si sarebbero reciprocamente smentiti.
E nonostante tutto continuavano a cercarsi perché il territorio del non-detto li affascinava. Un territorio difficilmente accessibile, fuori dai luoghi comuni dei sentimenti. Ognuno aveva un proprio ruolo definito, nella loro inconsapevolezza sapevano dove volevano arrivare, “sbagliavano da professionisti”.-
Ottima interpretazione della tua arte, un'anima persa tra le mura della città. Dovresti proprio iniziare ad avere un blog!
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odessa1920 ha aggiunto una reazione
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wow! sembri parte dell'opera stessa! sei sempre fantastica!!
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odessa1920 ha aggiunto una reazione
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Non so se pensare a te, alla tua anima o alla tua pelle. O forse penso solo ai tuoi occhi grandi, alle tue gambe mentre cammini, a come ti muovi.
Penso a ciò che vuoi dire o a ciò che vorresti dire.
All’energia che manifesti, all’energia che vorresti ti investisse, che ti inebriasse, che ti riempisse.
Penso al vuoto a cui vorresti fuggire.
Alla nebbia che si confonde con la tua pelle.
A mani che vorresti sentire.
Al desiderio che qualcuno rompa e inchiodi quel tuo respiro così regolare che si ripete secondo dopo secondo.
Al tuo desiderio di silenzio, di silenzio pieno, quel silenzio caldo che ti avvolge come un cappotto d’inverno.
Ti penso. -
Una parte di me dice sottovoce: tutti o quasi gli uomini sono fungibili, posso desiderare uno che non conosco per strada senza neppure parlarci.
M’innamoro ogni cinque minuti, appena vedo in un uomo un qualcosa di intrigante. Basta solo quello, il resto non importa, è pleonastico.
Poi si va avanti. Chi se ne frega.
Solo la persona con cui si condividono spazi, oggetti, cose mobili, immobi, pareti, cibo, film, spiagge, malattia, dolore, morte non è fungibile.
Solo la condivisione crea infungibilità, non la persona.
Solo la condivisione.
E noi cerchiamo ossessivamente infungibilità e quindi condivisione. La condivisione crea dipendenza e intasa la memoria e si impara a memoria come quelle poesie delle elementari che rimangono impresse e non vanno più via. -
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Questo è il dolore della vita:che si può essere felici solo in due;e i nostri cuori corrispondono a stelleche non vogliono saperne di noi.Edgar Lee MastersNon so se si può essere felici solo in due. Io sono stata infelice in due. Sicuramente l'essere da soli non è uno stato di quiete ma uno stato di moto, verso il numero due. Adesso che sono in uno non sono felice, tendo al due, inconsapevolmente, continuamente, anche in modo ossessivo.Il numero due, il fantasma della condivisione, della completezza non mi lascia tregua. Ma è questa la verità!? La via da percorrere? Il senso di ogni vita? Della mia vita? Prima di stare bene in due e di trovare il due devo sbarazzarmi del pensiero del due, un po' come il musicista che prima deve studiare un brano nota per nota, memorizzare la diteggiatura e poi mentre suona deve dimenticare tutto.
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Oggi è il tempo in cui ognuno deve costruirsi i propri aquiloni per volare. E volare è necessario per alleggerire il peso del nostro cammino nel mondo. Se non hai il tuo aquilone è dura sopportare la vita.La letteratura si è spesa a lungo su “la fatica del vivere”. Sembra necessario stringere i denti e, al contempo, avere un aquilone che solleva l’animo. La mia vocazione è fabbricare aquiloni. Dopo l’uomo “mulo” che doveva sopportare il basto. E dopo l’uomo “leone” che ruggiva contro i limiti e lo sfruttamento, ora l’uomo “fanciullo” si domanda a cosa dire di sì. Per fare questo ha bisogno di leggerezza. E di aquiloni…
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- Sbagliato in pieno, se la foto l'hai scattata tu ovviamente il piede non è tuo, anche se magari rapita dalla scena ti sei amputata un piede per simbiosi. Comunque ti posso dire che jeans e scarpe sportive ti stanno molto bene; con gonnellina e scarpe da ballerina sei deliziosa ma forse troppo Alice.
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Peccato mi saresti piaciuta in stile psicopatico: nel quotidiano con jeans e maglietta, fresca, giovane, divertente, urbana. Ecco che poi in certi momenti, in giardini decadenti, in antiche ville abbandonate, fra viali dannunziani ti trasformi in Alice, un pò eterea, sognante e con risvolti misteriosi e un pò inquietanti in stile "Che fine ha fatto Baby Jeane" o " Viale del tramonto".
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Scena finale di “Gocce d’acqua su pietre roventi” di F. Ozon: il cadavere di Franz giace per terra con addosso solo il cappotto di Vera. Vera ha bisogno d’aria, cerca in ogni modo di aprire la finestra. Insiste. Vanamente. Non ce la fa. Sembra bloccata da qualche oscuro incantesimo. È un limite invalicabile."Io non ho bisogno di te. Tu hai bisogno di me"E allora rimane ansimante come un bestia in gabbia con i palmi delle mani appoggiati al vetro guardando fuori: occhi sciolti, vuoti e persi, nel buio.Poi, impotente e rassegnata, abbassa lo sguardo.La macchina da presa lentamente si allontana e lei diviene sempre più piccola ed insignificante, prigioniera di quell’elegante appartamento.Una devastante sensazione di claustrofobia mi assale.E quella finestra bloccata, quelle mura, quell’arredamento cosi ricercato non sono solo un luogo fisico ma un luogo mentale, una metafora di qualcos’altro.Indubbiamente è più facile fuggire da un luogo fisico piuttosto che da un luogo mentale che ti segue e ti persegue sempre, comunque e dovunque.Il mio luogo mentale ha mura molto spesse, porte blindate, finestre sigillate, il citofono rotto e non ho ancora trovato un varco, un passaggio segreto per uscire completamente fuori, una botola magica. Certe volte sento delle voci disarticolate e sconnesse, dei labili rumori all’esterno, sento il fischio di treni che passano ma non conosco gli orari e non li voglio conoscere, certe volte vorrei stabilirmi qui, crearmi i miei spazi, le mie comodità, ed uscire solo per fare frugali spese come i pastori che scendono dalla montagna per andare al paese una volta ogni tanto, certe volte… si, certe volte progetto la fuga da qui, sarebbe una grande impresa, tipo fuga da Alcatraz, non so… ma come dice E. De Luca “nelle imprese la grandezza sta nell’avere in mente tutt’altro”. E poi in fondo non mi piace neppure la parola “fuga”: ero e sono sempre io, e sono qui ed ora pure grazie a ciò che ero.E allora si, adesso me ne voglio stare così… “sotto le stelle sparse in cielo come un chilo di farina”.
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Settembre: il fresco, i cinema che riaprono, le lenzuola un po’ più pesanti, le felpe leggere la sera. Tutto ciò ci suggerisce che ogni cosa va avanti, che deve andare avanti in qualche modo. I rituali gesti estivi sono ormai conclusi. Settembre si apre a nuovi gesti e i nuovi gesti generano una strana forma di dimenticanza.In fondo l'essere felici serve ad un sacco di cose (alla nostra pelle, per dire… è più luminosa) ma soffrire non serve proprio a nulla. Un po’ come le zanzare, a che cosa servono? O le cimici, peggio ancora. Quindi perché ci ostiniamo a soffriggere nel soffrire!? Il soffritto fa pure male.Stanotte c’è una pioggia sottile che bagna ma non bagna, e camminare per i vicoli stretti senza ombrello non è male, pensando a tutte le persone che ci sono ma non ci sono, proprio come questa pioggia qui.
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C'era nella parte vecchia della città un quartiere pieno di luna, magnificamente inquadrato dalla mia finestra.Vi risiedevano artisti venuti da ogni dove, pittori della Provenza, musici irlandesi e scrittori del medio oriente d'ispirazione Sufi. Claudio mi convinse a cercare di mettere un po' d'ordine nella mia vita, regalandomi un paio di risme di carta.Mi disse che viene il momento in cui conviene impegnarsi in qualcosa del genere, non perché qualcuno leggerà il manoscritto ma perché è spaventosamente triste l'idea che milioni di persone vivano tutta una vita, scorrendo rapidamente sopra le cose che li riguardano, senza fissare qualche appunto, qualche considerazione.
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Ringrazio il giorno che hai deciso per la prima volta di scrivere, perché le tue parole sono arrivate a tutti noi che ti ascoltiamo. Forse qui sei sprecata; se non un libro, data la frammentarietà dei tuoi scritti, meriteresti almeno un blog fatto come si deve.
Musica toccante, tanto che sono qui contrito come un fagiano. Non so dove, come e perché questa mi sia familiare.-
odessa1920 ha aggiunto una reazione
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