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Gli esperti delle erbe che ho incontrato nelle mie “Passeggiate” parlano del mondo vegetale come di un universo in cui non regnerebbe l’individualità, come succede in quello umano. Piuttosto le piante si comporterebbero come un io collettivo, vale a dire un “Noi”. E questa mancanza di “io individuale” sarebbe la ragione della loro disponibilità generosa nei confronti di tutti i viventi, grazie alla quale si fanno nutrimento e medicina.Osservando con maggiore attenzione i prati in fiore - cosa che mi capita di fare quotidianamente di questi tempi - mi piange un po’ il cuore dover negare ai singoli fili d’erba, alle singole piantine, una sorta di individualità originale.Certamente questo sentimento è una proiezione del fatto che al mio “io” sono piuttosto attaccata. Ci tengo a distinguermi, ad essere originale, ad avere una mia storia, e così via. e mi dispiacerebbe molto dover sacrificare qualcosa di questa esigenza a un'entità collettiva coercitiva.E capisco anche, d'altra parte, che questo insistere che gli amici delle erbe fanno sul comportamento collettivo delle piante esprime l’esigenza di un “Noi” che viene dichiarata da più parti nella nostra società. Perché la nostra società sarebbe eccessivamente individualistica, chiusa all'altro, eccessivamente impegnata a contemplare il proprio ombelico. Una società di solitudine e spesso disperazione.Poter dire "Noi" è certamente nel cuore dell'uomo. Ascoltando bene il cuore sembra anche che il “Noi” che desideriamo non possa più essere del tipo di “Noi” che si sono conosciuti in passato, contrassegnati da un eccesso di chiusura, di rigidità, di conflittualità. Un “Noi” che aveva la necessità di contrapporsi aggressivamente a un “Loro” e che, parimenti, doveva reprimere in qualche misura – spesso moltissimo – la libertà individuale al suo interno.La creatività della nuova cultura si trova a dovere affrontare la sfida rappresentata dalla creazione di un “Noi” che sia non limitazione ma condizione della libera espressione degli individui e che non abbia necessità di contrapporsi a nessun “Loro” perché capace di viversi aperto a “Chiunque”. Sembra poco?