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La realtà intonava inni stonati.
Maurilia, seduta sullo scalone di fianco all’entrata del ristorante cinese, aspettava con ansia che il temporale annunciato da siti, display dissimulati, tg e vecchi pietosi e latranti arrivasse senza troppi indugi.
L’aria era scura, non nera, marrone, come se il temporale, di certo alle porte, fosse escrementizio, piuttosto che piovasco.
L’umidità puzzava di latrina. Forse era l’odore di qualche toilette oppure la grande porcilaia fuori città produceva in overdose.
La verità presunta dispensava liturgie, per via d’ogni segno d’attorno, come se la verità, appunto, fosse il casino di tutto l’intorno riempito da segni.
E Maurilia a dirsi: e vivere? Non basta vivere? Non basta più?
Amare: roba difficile. Forse inutile. E poi? Cosa c’è da fare ancora?
Io non so dimostrare niente a nessuno.
Dunque, aspetto il temporale.-
Un brano ( penso estratto da un racconto più lungo) molto bello per la sua intensità sospesa, realistica, decadente e per le sue note esistenziali. Anzi la prima metà dello scritto, forse per un rimando alla carnalità, la considero addirittura erotica ( lo so, sono un tipo strano). Complimenti.
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