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Elide sedeva sul prato vicino al fiume. Leggeva un intrigante thriller la cui protagonista femminile era una ragazza dalla a vita solitaria e indipendente, affascinata dal teorema di Fermat. Quando interrompeva la lettura, Elide pensava a quanto poco conoscesse del mondo là fuori, o come fosse digiuna di matematica, o di astronomia, o di fisica delle particelle. E di tutto il resto. Avrebbe desiderato una vita dal tempo illimitato per leggere tutto ciò che la interessava, per imparare a conoscere e pensare. Le sembrava che non ci fosse abbastanza tempo per gustare e sentire la ricchezza di tutto ciò che c’è e di tutto ciò che è stato. E immaginava che questo non fosse altro che l’introduzione a qualcosa di ancora più importante: la possibilità di contribuire in maniera feconda a costruire il futuro. L’orizzonte del desiderabile era talmente vasto da paralizzarla. Alla fine si doveva rassegnare, controvoglia. E si risolveva a concludere che, in qualche maniera piuttosto enigmatica, le cose potessero prendere un’altra piega. Perché altrimenti… E voleva resistere al senso di scoramento che questi pensieri suscitavano. Voleva credere che questa inquietudine, questa sete senza limiti, fosse destinata a qualcosa di positivo, di costruttivo, nell’economia della vita. E, intanto, vedeva come quella inquietudine la spingesse a non fermarsi mai, a non chiudere la partita per ritirarsi in santa pace. E questo era buono.
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Fosse questa la sete che ci animasse, che animasse tutta l'umanità, potrei sperare che potremmo vivere in una società che al pari di una paradiso terrestre, non lascerebbe nessuno indietro al proprio destino, nessuno soffrirebbe fame sete e freddo. ahi me, purtroppo non è così, quelle persone spronate da fame e da sete di conoscenza, non sono che una esigua parte di quei simili il cui unico pensiero, dettato dai loro istinti bestiali. Altro desiderio, altra fame e sete non hanno che possedere, opprime e soggiogare le vite altrui.
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