scovando e riscovando,,,,,mi e caduto l occhio su due lettere d amore del passato,,,,scritte da grandi della storia,,,,mi sono chiesta ma se oggi un uomo tornasse a scrivere una lettera d amore cosa scriverebbe ????? A VOI LARGA SENTENZA
La lettera romantica di Wolfgang Amadeus Mozart a Constanze Weber, 1785
Oh se avessi una tua lettera già! Se ti raccontassi tutto quello che faccio con il tuo ritratto, certo ti metteresti a ridere. Per esempio, quando lo tiro fuori dalla custodia dico “Buon giorno piccola Constanze, buongiorno birichina, micetta, nasino a punta, bagatella” e quando lo ripongo lo faccio scivolare piano e dico “Be’, be’ be’ be’” ma con l’espressione speciale che questa parola così significativa esige. E alla fine, in fretta, “Buonanotte topolino, dormi bene!”. Credo proprio di aver scritto delle stupidaggini, per gli altri almeno, ma per noi che ci amiamo tanto non è affatto stupido. Sono sei giorni che sono lontano e mi sembra già un anno. Ti bacio milioni di volte tenerissimamente e sono il tuo sposo che ti ama sempre teneramente.
Eternamente mio, eternamente tua, eternamente nostri; la lettera all’amata di Ludwig van Beethoven, Teplitz, 7 luglio 1812
Anche a letto i miei pensieri corrono a te, mia amata immortale, lieti talvolta, poi di nuovo tristi, in attesa di sapere se il destino ci esaudirà. Per affrontare la vita, io debbo vivere esclusivamente con te oppure non vederti mai. Sì, ho deciso di errare andando lontano, fino a quando potrò volare fra le tue braccia, dirmi davvero a casa mia da te e, circondato dalle tue braccia, lasciare che la mia anima sia trasportata nel regno degli spiriti beati…
Sii calma, soltanto considerando con calma la nostra esistenza possiamo raggiungere il nostro scopo che è di vivere assieme – Sii calma – amami – Oggi – ieri – che struggente desiderio, fino alle lacrime, di te – di te – te – vita mia – mio tutto – addio – Oh, continua, continua ad amarmi – non disconoscere mai il fedelissimo cuore del tuo amato.
Eternamente tuo
Eternamente mia
Eternamente uno dell’altro
VOGLIO DEDICARVI QUESTA SERA UN MONOLOGO DI EDUARDO DE FILIPPO,,,,,NELLA COMMEDIA TEATRALE LA MIA FAMIGLIA LA REPUTO PERFETTA PER I TEMPI CHE CORRONO,,,,,CHI CONOSCE L OPERA SAPRÀ DI SICURO A COSA IO FACCIA RIFERIMENTO,,,,,,un bacione a tutti
ALBERTO - E pure se parlavo, non era la stessa cosa? Avrei potuto proibire a lui di andare a Parigi? E con quali mezzi? Un padre di oggi, di fronte alla strafottenza dei figli, o parla o è muto, è ‘a stessa cosa. (Puntando l’indice prima verso sua moglie e poi verso i figli) Tu, tu, tu, poco per volta, siete riusciti a farmi rinunciare a qualsiasi diritto, e a farmi sentire libero da qualsiasi dovere. Questo è il momento di parlare! E non ho paura di sembrare uno che voglia infierire contro un disgraziato già caduto in una situazione tragica: le mie parole devono avere per lui il valore che hanno, soprattutto perché vengono da me, che song’ ‘o pate. Se è stato lui che ha commesso il reato, le mie parole, se gli è rimasto tanto di buon senso e di dignità, lo faranno soffrire di più; e peggio per lui! Ma se è innocente, come penso e spero che sia, gli serviranno per l’avvenire. (Un pensiero che lo amareggia gli attraversa la mente. Repentinamente si rivolge a sua figlia, e con durezza l’affronta) Per te no. Per te non ci sono argomenti da smaltire. (Indicando Beppe) Lui, dopo una quindicina d’anni di galera, può rifarsi una vita; tu no! E se te ne vai mi fai piacere. (Rosaria, intimamente ferita, china il capo e lentamente si apparta. Intanto Alberto, dopo un silenzio che gli è servito a mettere un po’ d’ordine nelle sue idee confuse, riprende il filo del suo discorso interrotto) Quando sposai tua madre… lei sta qua, lo può dire… ne parlavamo da fidanzati, anzi, io ne parlavo sempre, lei meno… Volevo dei figli. E infatti venisti tu: il maschio! Mi sentii un Dio. E pensai: “Nun moro cchiù”. Non vedevo più nessuno; non mi occupavo più di tante cose che mi erano sembrate indispensabili fino a quel momento. Dicevo: “Tengo nu figlio… che me mporta d’ ‘o riesto!” Mi sentivo felice perché capivo che, finalmente, potevo riversare su me stesso… perché un figlio è parte di te stesso… tutto l’affetto che mio padre e mia madre avevano riversato su di me, evidentemente con lo stesso sentimento mio. E faticavo, faticavo cu’ na forza e na capacità di resistenza che facevano meraviglia a me stesso. “Nun moro cchiu”. Cammenavo p’ ‘a strada, e parlando solo dicevo: “Nun moro cchiu”. Poi venne il periodo delle malattie; sciocchezze, si capisce, malattie che tutti i bambini devono avere; ma ogni volta avevo l’impressione di tornare a casa e di non trovarti più. E vuoi sapere quali erano i pensieri che mi venivano in mente in quei momenti? Uno dei pensieri che più mi torturava era quello che mi faceva credere che se tu morivi la colpa sarebbe stata mia. Non perché ti avevo fatto mancare qualche cura o qualche specialista; ma perché pensavo: “L’ho messo io al mondo, la colpa è mia!” Tu capisci, allora, che un padre, di fronte a un figlio, la responsabilità se la sente; per quello che deve fare, per come deve vivere quando sarà grande. Che Iddio mi fulmini se una sola volta pensai di fare qualche cosa per costringerti a farti prendere la mia stessa strada, e farti avere il mio stesso avvenire. Perché tu lo devi sapere, questo: nemmeno io sono contento di quello che sono! Io pure, da ragazzo, avevo delle aspirazioni superiori alle mie possibilità. Tua madre lo sa. Scrivevo poesie! Ma poi uno si piega, uno capisce che a certe altezze non ci può arrivare; e, secondo te, non sarebbe stata una gioia per me, di vederti emergere, come non era stato possibile a me? Ecco perché quando venisti al mondo, io dicevo: “Nun moro cchiu”. (Ora la sua espressione diventa amara) Poi venne la seconda: la femmina. Coppia perfetta: maschio e femmina. (Imitando il vocio confuso e festante di un gruppo di amici e parenti invitati nel giorno del battesimo di Rosaria) “Che fortuna! Bene! Bravo! Il maschio e la femmina! Auguri, auguri…” Ma io già mi ero disamorato; già l’entusiasmo non era più quello del primo figlio; già non intervenivo più quando vedevo una cosa sbagliata; già sentivo da molto tempo mia moglie che diceva: “Albe’, ma ti sembra il momento?” come ha detto poco fa. E invece voglio parla’. Può darsi che sono ancora in tempo. (Come per reclamare un suo diritto) Voglio parla’! E voglio dire tutti i luoghi comuni, le frasi più vecchie; non mi vergogno! Voglio citare i proverbi più antichi. L’arta ‘e tata è meza mparata. Chi va per questi mari questi pesci piglia. Chi te ne fa una te ne fa mille. Chi pratica con lo zoppo impara a zoppicare. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Meglio l’uovo oggi che la gallina domani. (Si ferma per un attimo scrutando l’impressione di ognuno, poi chiede bruscamente) E non ridete? Perché non ridete? Io sto dicendo le cose più antiche, e non ridete? Come vedete un passo lo abbiamo fatto: voi mi sentite dire queste cose rancide e non ridete. E io le dico e non mi vergogno… È importante… è importante assai. Questo significa che voi avete tentato di farmi diventare una cosa inutile; ma che non ci siete riusciti; e che io ho creduto di trovarmi di fronte a gente che vedeva con un occhio più aggiornato del mio e non era vero. È importante… è un miracolo!