“ Senso “
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La mattina seguente, prima delle nove, mi feci condurre nella mia carrozza al comando della fortezza.
L’erta mi pareva interminabile : gridavo a Giacomo di frustare i cavalli. Una folla di militari d’ogni colore, di
feriti, di popolani, ingombrava il piazzale innanzi al castello; ma giunsi senza ostacoli all’anticamera degli
uffici, dove un vecchio invalido pigliò il mio biglietto da visita. Dopo qualche minuto ritornò, dicendomi che
il generale Hauptmann mi pregava di passare nel suo quartiere privato, e che, appena sbrigati certi affari
urgentissimi, sarebbe venuto a presentarmi il suo omaggio. Fui condotta attraverso logge, corridoi e
terrazze in una sala, che dominava dalle tre larghe finestre la città intiera.
L’Adige, interrotto dai suoi ponti,
si torceva in una S, avente la prima delle sue pancie ai piedi del monticello su cui sorge Castel San Pietro,
e la seconda ai piedi di un altro bruno castello merlato; e sorgevano dalle case i culmini e le torri delle
vecchie basiliche; e in un largo spazio si vedeva l’ovale enorme dell’Arena antica. Il sole mattutino
rallegrava l’abitato ed i colli, e dall’una parte indorava le montagne, dall’altra gettava una luce placida
sull’interminabile pianura verde, sparsa di villaggi bianchi, di case, di chiese, di campanili. Entrarono nella
sala con gran fracasso di risa e salti due bimbe, le quali avevano il volto color di rosa e i capelli biondi
paglierini. Vedendomi, di primo botto rimasero impacciate, ma poi subito si fecero coraggio e mi vennero
accanto. La più grandicella disse : “ Signora, si accomodi. Vuole che vada a chiamare la mamma? “. “ No,
fanciulla mia, aspetto il tuo babbo “. “ Il babbo non l’abbiamo ancora visto stamane. Ha tanto da fare “. “ Lo
voglio vedere io il babbo”, gridò la più piccina. “ Gli voglio tanto bene io al
babbo “. In quella entrò il
generale,e le bimbe gli corsero incontro,gli si avviticchiarono alle gambe, tentavano di saltargli sulle spalle;
egli prendeva l’una e l’alzava e le dava un bacio, poi prendeva l’altra; e le due pazzerelle ridevano, e negli
occhi del generale spuntarono due lagrime di tenerezza beata. Si volse a me dicendo : “ Scusi, signora;
s’ella ha figliuoli, mi compatirà “. Si mise a sedere in faccia a me e soggiunse : “ Conosco di nome il signor
conte, e sarei lieto se potessi servire in qualcosa la signora contessa “. Feci un cenno al generale perché
allontanasse le bambine, ed egli disse loro con voce piena di dolcezza : “ Andate, figliuole mie, andate,
dobbiamo parlare con la signora”. Le bambine fecero un passo verso di me come per darmi un bacio;
voltai la testa; e se ne andarono finalmente un poco mortificate. “ Generale – mormorai – vengo a
compiere un dovere di suddita fedele “. “ La signora contessa è tedesca? “.
“ No, sono trentina “. “ Ah, va
bene “, esclamò, guardandomi con una cert’aria di stupore e di impazienza. “ Legga “ e gli porsi in atto
risoluto la lettera di Remigio, quella che avevo ritrovata nel taschino del portamonete. Il generale, dopo
avere letto : “ Non capisco; la lettera è indirizzata a lei? “. “ Sì, generale”. “ Dunque l’uomo che scrive è il
suo amante? “.
Non risposi. Il generale cavò di tasca un sigaro e lo accese; s’alzò da sedere e si pose a camminare su e giù
per la sala; tutt’a un tratto mi si piantò innanzi e, ficcandomi gli occhi in volto, disse : “ Dunque, ho fretta,
si sbrighi “. “ La lettera è di Remigio Ruiz, luogotenente del terzo reggimento granatieri “. “ E poi? “. “ La
lettera parla chiaro. S’è fatto credere malato, pagando i quattro medici – e aggiunsi con l’accento rapido
dell’odio : - è disertore dal campo di battaglia “. “ Ho inteso. Il tenente era l’amante suo e l’ha piantata. Ella
si vendica facendolo fucilare, e insieme con lui facendo fucilare i medici. E’
vero? “. “ Dei medici non
m’importa “. Il generale stette un poco meditando con le ciglia aggrottate, poi mi stese la lettera, che gli
avevo data : “ Signora, ci pensi : la delazione è un’infamia e l’opera sua è un assassinio “. “ Signor generale, -
esclamai, alzando il viso e guardandolo altera – compia il suo dovere “.
La sera, verso le nove, un soldato portò all’albergo della “ Torre di Londra “, dove finalmente mi avevano
trovata una camera, un biglietto che diceva : “ Domattina alle quattro e mezzo precise verranno fucilati nel
secondo cortile di Castel San Pietro il tenente Remigio Ruiz ed il medico del suo reggimento. Questo foglio
servirà per assistere all’esecuzione. Il sottoscritto chiede scusa alla signora contessa di non poterle offrire
anche lo spettacolo della fucilazione degli altri medici, i quali, per ragioni che qui è inutile riferire, vennero
rimandati ad un altro consiglio di guerra. ……………………..Generale Hauptmann “.
Alle tre e mezzo della notte buia uscivo a piedi dall’albergo,
accompagnata da Giacomo. Al basso del colle di
Castel San Pietro gli ordinai che mi lasciasse, e cominciai a salire sola la strada erta; avevo caldo, soffocavo;
non volevo togliermi il velo dalla faccia, bensì, sciolti i primi bottoni dell’abito, rivoltai i lembi dello scollo al
di dentro : quel po’ d’aria sul seno mi faceva respirare meglio. Le stelle impallidivano, si diffondeva intorno
un albore giallastro. Seguii dei soldati, che, girando il fianco del castello, entrarono in un cortile chiuso dagli
alti e cupi muri di cinta. Vi stavano già schierate due squadre di granatieri, immobili. Nessuno badava a me
in quel brulichio silenzioso di militari e in quelle mezze tenebre. Si sentivano le campane suonare giù nella
città, dalla quale salivano mille rumori confusi. Cigolò una porta bassa del castello, e ne uscirono due
uomini con le mani legate dietro la schiena; l’uno magro, bruno, camminava innanzi ritto,sicuro, con la
fronte alta; l’altro, fiancheggiato da due soldati, che lo reggevano con
molta fatica alle ascelle, si trascinava
singhiozzando. Non so che cosa seguisse; leggevano, credo; poi udii un gran frastuono,
e vidi il giovane bruno cadere, e nello stesso punto mi accorsi che Remigio era nudo fino alla cintura, e
quelle braccia, quelle spalle, quel collo, tutte quelle membra, che avevo tanto amato, m’abbagliarono. Mi
volò nella fantasia l’immagine del mio amante, quando a Venezia, nella “Sirena “, pieno d’ardore e di gioia,
m’aveva stretta per la prima volta fra le sue braccia d’acciaio. Un secondo frastuono mi scosse : sul torace
ancora palpitante e bianco più del marmo s’era slanciata una donna bionda, cui schizzavano addosso gli
zampilli di sangue. Alla vista di quella femmina turpe si ridestò in me tutto lo sdegno, e con lo sdegno la
dignità e la forza. Avevo la coscienza del mio diritto; m’avviai per uscire, tranquilla nell’orgoglio di un
difficile dovere compiuto.
Alla soglia del cancello mi sentii strappare il velo dal volto; mi girai e vidi
innanzi a me il grugno sporco
dell’ufficiale boemo. Cavò dalla bocca enorme il cannello della sua pipa, e, avvicinando al mio viso il suo
mustacchio, mi sputò sulla guancia…
Co ‘l raggio de l’april nuovo che inonda
roseo la stanza tu sorridi ancora
improvvisa al mio cuore, o Maria bionda;
e il cuor che t’obliò, dopo tant’ora
di tumulti oziosi in te riposa,
o amor mio primo, o d’amor dolce aurora.
Ove sei? Senza nozze e sospirosa
non passasti già tu; certo il natio
borgo ti accoglie lieta madre e sposa;
chè il fianco baldanzoso ed il restio
seno a i freni del vel promettean troppa
gioia d’amplessi al marital desio.
Forti figli pendean da la tua poppa
certo, ed or baldi un tuo sguardo cercando
al mal domo caval saltano in groppa.
Com’eri bella, o giovinetta, quando
tra l’ondeggiar de’ lunghi solchi uscivi
un tuo serto di fiori in man recando,
alta e ridente, e sotto i cigli vivi
di selvatico fuoco lampeggiante
grande e profondo l’occhio azzurro aprivi!
Come il cìano seren tra ‘l biondeggiante
or de le spighe, tra la chioma flava
fioria quell’occhio azzurro; e a te d’avante
la grande estate, e intorno, fiammeggiava;
sparso tra’ verdi rami il sol ridea
del melogran, che rosso scintillava.
Al tuo passar, siccome a la sua dea,
il bel pavon l’occhiuta coda apria,
guardando, e un rauco grido a te mettea.
Oh come fredda indi la vita mia,
come oscura e incresciosa è trapassata!
Meglio era sposar te, bionda Maria!
Cosa sei…tu per me?
Ecco cosa sei:
Sei la magìa del Natale.
Sei l’incanto
Dei cristalli di neve
Che lenti s’adagiano
Sulla bianca coltre
Della terra nera.
Sei il calore del ceppo
Che nel camino
Sprigiona faville di fuoco.
Sei lo stupore dell’Attesa
Che inebria il cuore
Dei bambini sognanti.
Sei la rosa che d’inverno
Profuma le mie notti.
Sei tutta…
La ragione della vita mia.
Sei la luce
Del mio faticoso cammino.
Sei tutte le cose belle
Che porta seco il Natale.
SAFFO
Fr.40-41D
Ti amavo, Attide, un tempo…mi sembravi una fanciulla piccola e senza grazie.
Fr.18D ( la poesia, “ rose della Pieria “)
(trad. di Manara Valgimigli)
Morta tu giacerai
né rimpianto; chè non cogliesti
le rose della Pieria:
e ombra ignota anche nell’Ade
ti aggirerai,
tra scure ombre di morti
sperduta.
Fr.61D (La rivale Andromeda)
Che rustica donna t’affascina l’animo (o Attide?), una donna che indossava una rustica stola
e non sa rialzare la veste sopra la caviglia?
Commiato Fr.96D (e nostalgìa)
“Vorrei proprio esser morta”. Ed ella mi lasciava tra molte lacrime;
e questo mi disse: “ Ahimè che gran dolore il nostro, o Saffo: con mia pena davvero t’abbandono!”. Ed
io a lei: “Addio, va! E ricordati di me; tu sai infatti quanto bene ti volevo. Ma se non sai, allora io voglio
ricordarti (quante dolci) e soavi cose godevamo; chè di viole e di rose
ed insieme di croco molte corone sul capo ti cingesti a me vicina e molte
ghirlande intrecciate intorno al tenero collo fatte di fiori… e con essenza
di fiori e regale ungesti…, e su morbidi letti…placavi il desiderio,
né v’era festa da cui mancavamo né bosco sacro…”.
Tinto qua e là
Di rosa
Il cielo saluta ormai
Il suo astro morente.
Vaga la mente e pensa
Al sole calante
Del nostro amore.
Vivo è ancora
Il mio sentimento per te,
e anche l’affetto di coniuge.
Perché – dimmi –
Ancora il desiderio e la passione
Mi spingono verso di te ,
Mentre tu sembri
Non provare più
Attrazione verso di me?
Eppure la giovinezza
Ancora ti arride
E la tua beltà
Non è affatto sfiorita.
Dimmi…perché
La mia mente è confusa.