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Aggiornamenti di stato pubblicati da fel55

  1. Divinamente gustosa

     

    Ogni pietanza

     

    Che approntano

     

    Le tue mani di fata.

     

    Novella Ebe,

     

    A tavola ci tratti da Immortali

     

    Che sperimentano

     

    I variegati e industriosi

     

    Frutti della tua arte.

     

     

     

    Doni preziosi

     

    Del tuo amore incondizionato.

     

    Piaceri che colorano d’azzurro

     

    La nostra vita.

     

    Ragione in più

     

    Per amarti,

     

    Se non bastassero

     

    La tua intramontabile bellezza

                                       

                                        E la grandezza del tuo cuore.

     

  2. Cosa sei…tu per me?

    Ecco cosa sei:

    Sei la magìa del Natale.

    Sei l’incanto

    Dei cristalli di neve

    Che lenti s’adagiano

    Sulla bianca coltre

    Della terra nera.

    Sei il calore del ceppo

    Che nel camino

    Sprigiona faville di fuoco.

    Sei lo stupore dell’Attesa

    Che inebria il cuore

    Dei bambini sognanti.

    Sei la rosa che d’inverno

    Profuma le mie notti.

    Sei tutta…

    La ragione della vita mia.

    Sei la luce

    Del mio faticoso cammino.

    Sei tutte le cose belle

    Che porta seco il Natale.

     

     

     

     

    1. fel55

      fel55

       

       

       

       

      A lungo andare

      Il sognare non basta.

      L’amore ha bisogno

      Del suo ossigeno.

      Che è il potersi guardare

      Con tenerezza negli occhi,

      Abbracciarsi, baciarsi

      A perdifiato.

      Con confidenza e complicità

      Dialogare al risveglio

      O prima di addormentarsi.

      E’ nel DNA dell’uomo

      E del mammifero,

      E’ il comandamento

      Del divino Amore.

      Ancor più bello se

      Nella magìa del Natale.

  3. Cosa sei…tu per me?

    Ecco cosa sei:

    Sei la magìa del Natale.

    Sei l’incanto

    Dei cristalli di neve

    Che lenti s’adagiano

    Sulla bianca coltre

    Della terra nera.

    Sei il calore del ceppo

    Che nel camino

    Sprigiona faville di fuoco.

    Sei lo stupore dell’Attesa

    Che inebria il cuore

    Dei bambini sognanti.

    Sei la rosa che d’inverno

    Profuma le mie notti.

    Sei tutta…

    La ragione della vita mia.

    Sei la luce

    Del mio faticoso cammino.

    Sei tutte le cose belle

    Che porta seco il Natale.

     

     

     

     

  4. Non invecchiano mai

    Le tue labbra

    Di caldo velluto.

    Che accendono i miei sensi

    Ogni volta che

    Si schiudono

    Ed effondono

    Il tuo spirito d’amore.

    Che riscaldano la mia anima

    Se d’impeto si posano

    Sulla mia bocca.

    Se come rugiada del mattino

    Placano l’ardore

    Della mia passione.

    Se emettono parole di miele

    Che toccano le corde

    Dei miei precordi.

     

     

     

  5. Riecheggia

    La tua voce melodiosa

    Nei miei orecchi.

    E riaffiora alla memoria

    Il tuo volto di madonnina

    Dei primordi della nostra storia.

    Felicità piena

    Nel tuo sorriso

    E nel mio cuore.

    1. chiaraoscura4

      chiaraoscura4

      pubblichi sempre bellissime parole

  6. BALDESAR  CASTIGLIONE

    Dalle “ Rime “

    III

    Ecco la bella fronte e il dolce nodo,

    gli occhi e le labbra formate in paradiso,

    e il mento dolcemente diviso in sé,

    per mano di Amore composto in dolce modo.

     

    O vivo mio bel sole, perché non odo

    le soavi parole e il dolce riso,

    come chiaro vedo il sacro viso

    per cui sempre pur piango e mai non godo?

     

     

    E voi, cari, beati  e dolci occhi,

    per fare più chiari gli oscuri miei giorni,

    avete passato tanti monti e fiumi;

     

    or qui nel duro esilio, in pianti amari

    sostenete che, ardendo, io mi consumi,

    più che mai scarsi e avari verso di me.

     

     

     

    IV

     

    Gentile Euro, che i crespi nodi d’oro

    fai  girare per il bel volto or di qui or di lì,

    fa’ in modo che, mentre spiri bramoso,

    non intrichi le ali nei capelli, né le snodi mai;

     

    chè se già tuo fratello Borea potè usare prodi

    per porre fine agli ardenti suoi desideri,

    il cielo non vuole che qui si aspiri per voi,

    né mai si goda di tanta bellezza.

     

    Potrai ben dire, se torni al tuo soggiorno,

    né brami restar preso , con mille altri,

    come il nostro levante fa scorno al tuo.

     

    Ahimè, che penso? Già ti sentivo acceso,

    chè aura non sei, ma fuoco, che d’intorno

    voli ai capelli che Amore mi ha teso come laccio.

     

     

     

     

     

    Dal “ Tirsi “

    Il lamento del pastore Iola

     

     

     

     

     

    VI – Fatto hanno ormai gli occhi miei una fontana

    col pianto, ove si può spegnere la sete.

    Venite, o fiere, giù da questo monte

    a bere senza timore di laccio o rete;

    e benché mi cada dalla fronte un fiume,

    pastori, avrete fuoco dal petto;

    chè neppure una piccolissima parte c’è del mio cuore

    che ormai non sia trasformata in fuoco e fiamma.

     

    VII – E tu, ninfa crudele, sei solo causa

    della mia trasformazione in così strana figura;

    chè così bella di fuori ti hanno fatta gli dei

    e dentro poi crudele, acerba e dura.

    Ma perché m’ingannassero i miei occhi,

    contro ragione ti fece tale la natura.

    Le fiere hanno un aspetto spaventoso e strano,

    e tu l’animo fiero e il volto umano.

     

    VIII – Umano è il volto tuo? Anzi divino,

    chè dentro vi sono anche due chiare stelle.

    Le fresche rose colte nel giardino

     

     

     

    fanno d’amore le guance tenerelle,

    la bocca sparge odor di gelsomino,

    due fiori vermigli son le labbra belle,

    la gola, il mento e il delicato petto

    sono di candida neve e latte coagulato.

     

    X – Le fiere ai boschi pur tornan la sera,

    dove hanno riposo dalle loro fatiche;

    i boschi a primavera si rivestono di foglie,

    mentre erano ignudi nel tempo nevoso.

    L’autunno fa l’uva matura e nera

    e ogni  albero coperto di novelli frutti;

    il mio dolore, invece, non muta mai la sua tempra,

    e le mie pene sono sempre acerbe.

     

    XI – Ma i giorni oscuri diverrebbero sereni,

    se la pietà ti pungesse un poco il cuore.

    Allora sarebbero ameni i boschi e le fonti,

    se tu fossi con me, o ninfa, in questo luogo.

    Andrebbero pieni di dolce latte i fiumi,

    se Amore per me ponesse in fuoco il tuo cuore;

     

     

     

    e così sonori i miei versi sarebbero,

    che invidia ne avrebbero ancora Orfeo e Lino.

     

    XII- Corrimi, dunque, in braccio, o Galatea,

    né ti sdegnar dei boschi, o d’esser mia.

    Venere nei boschi accompagnar soleva

    Il suo amante Adone, e lì spesso si addormentava.

    La luna, che è su in cielo così bella dea,

    seguiva un pastorello per amore;

    e venne da lui nel bosco a una fontana,

    perché le donò un velo di bianca lana.

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

  7. CAMILLO  BOITO

     

    “ Senso “

    …………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….

    La mattina seguente, prima delle nove, mi feci condurre nella mia carrozza al comando della fortezza.

    L’erta mi pareva interminabile : gridavo a Giacomo di frustare i cavalli. Una folla di militari d’ogni colore, di

    feriti, di popolani, ingombrava il piazzale innanzi al castello; ma giunsi senza ostacoli all’anticamera degli

    uffici, dove un vecchio invalido pigliò il mio biglietto da visita. Dopo qualche minuto ritornò, dicendomi che

    il generale Hauptmann mi pregava di passare nel suo quartiere privato, e che, appena sbrigati certi affari

    urgentissimi, sarebbe venuto a presentarmi il suo omaggio.  Fui condotta attraverso logge, corridoi e

    terrazze in una sala, che dominava dalle tre larghe finestre la città intiera.

     

     

     

     

     

    L’Adige, interrotto dai suoi ponti,

    si torceva in una S, avente la prima delle sue pancie ai piedi del monticello su cui sorge Castel San Pietro,

    e la seconda ai piedi di un altro bruno castello merlato; e sorgevano dalle case i culmini e le torri delle

    vecchie basiliche; e in un largo spazio si vedeva l’ovale enorme dell’Arena antica. Il sole mattutino

    rallegrava l’abitato ed i colli, e dall’una parte indorava le montagne, dall’altra gettava una luce placida

    sull’interminabile pianura verde, sparsa di villaggi bianchi, di case, di chiese, di campanili. Entrarono nella

    sala con gran fracasso di risa e salti due bimbe, le quali avevano il volto color di rosa e i capelli biondi

    paglierini. Vedendomi, di primo botto rimasero impacciate, ma poi subito si fecero coraggio e mi vennero

    accanto. La più grandicella disse : “ Signora, si accomodi. Vuole che vada a chiamare la mamma? “. “ No,

    fanciulla mia, aspetto il tuo babbo “. “ Il babbo non l’abbiamo ancora visto stamane. Ha tanto da fare “. “ Lo

    voglio vedere io il babbo”, gridò la più piccina. “ Gli voglio tanto bene io al

     

     

     

     

     

     

    babbo “. In  quella entrò il

    generale,e le bimbe gli corsero incontro,gli si avviticchiarono alle gambe, tentavano di saltargli sulle spalle;

    egli prendeva l’una e l’alzava e le dava un bacio, poi prendeva l’altra; e le due pazzerelle ridevano, e negli

    occhi del generale spuntarono due lagrime di tenerezza beata.  Si volse a me dicendo : “ Scusi, signora;

    s’ella ha figliuoli, mi compatirà “. Si mise a sedere in faccia a me e soggiunse : “ Conosco di nome il signor

    conte, e sarei lieto se potessi servire in qualcosa la signora contessa “. Feci un cenno al generale perché

    allontanasse le bambine, ed egli disse loro con voce piena di dolcezza : “ Andate, figliuole mie, andate,

    dobbiamo parlare con la signora”. Le bambine fecero un passo verso di me come per darmi un bacio;

    voltai la testa; e se ne andarono finalmente un poco mortificate. “ Generale – mormorai – vengo a

    compiere un dovere di suddita fedele “. “ La signora contessa è tedesca? “.

     

     

     

     

     

     

    “ No, sono trentina “. “ Ah, va

    bene “, esclamò, guardandomi con una cert’aria di stupore e di impazienza. “ Legga “ e gli porsi in atto

    risoluto la lettera di Remigio, quella che avevo ritrovata nel taschino del portamonete. Il generale, dopo

    avere letto : “ Non capisco; la lettera è indirizzata a lei? “. “ Sì, generale”. “ Dunque l’uomo che scrive è il

    suo amante? “.

    Non risposi. Il generale cavò di tasca un sigaro e lo accese; s’alzò da sedere e si pose a camminare su e giù

    per la sala; tutt’a un tratto mi si piantò innanzi e, ficcandomi gli occhi in volto, disse : “ Dunque, ho fretta,

    si sbrighi “. “ La lettera è di Remigio Ruiz, luogotenente del terzo reggimento granatieri “. “ E poi? “. “ La

    lettera parla chiaro. S’è fatto credere malato, pagando i quattro medici – e aggiunsi con l’accento rapido

    dell’odio : - è disertore dal campo di battaglia “.  “ Ho inteso. Il tenente era l’amante suo e l’ha piantata. Ella

    si vendica facendolo fucilare, e insieme con lui facendo fucilare i medici. E’

     

     

     

     

     

    vero? “. “ Dei medici non

    m’importa “. Il generale stette un poco meditando con le ciglia aggrottate, poi mi stese la lettera, che gli

    avevo data : “ Signora, ci pensi : la delazione è un’infamia e l’opera sua è un assassinio “. “ Signor generale, -

    esclamai, alzando il viso e guardandolo altera – compia il suo dovere “.

    La sera, verso le nove, un soldato portò all’albergo della “ Torre di  Londra “, dove finalmente mi avevano

    trovata una camera, un biglietto che diceva : “ Domattina alle quattro e mezzo precise verranno fucilati nel

    secondo cortile di Castel San Pietro il tenente Remigio Ruiz ed il medico del suo reggimento. Questo foglio

    servirà per assistere all’esecuzione. Il sottoscritto chiede scusa alla signora contessa di non poterle offrire

    anche lo spettacolo della fucilazione degli altri medici, i quali, per ragioni che qui è inutile riferire, vennero

    rimandati ad un altro consiglio di guerra. ……………………..Generale Hauptmann “.

    Alle tre e mezzo della notte buia uscivo a piedi dall’albergo,

     

     

     

     

     

    accompagnata da Giacomo. Al basso del colle di

    Castel  San Pietro gli ordinai che mi lasciasse, e cominciai a salire sola la strada erta; avevo caldo, soffocavo;

    non volevo togliermi  il velo dalla faccia, bensì, sciolti i primi bottoni dell’abito, rivoltai i lembi dello scollo al

    di dentro : quel po’ d’aria sul seno mi faceva respirare meglio. Le stelle impallidivano, si diffondeva intorno

    un albore giallastro. Seguii dei soldati, che, girando il fianco del castello, entrarono in un cortile chiuso dagli

    alti e cupi muri di cinta. Vi stavano già schierate due squadre di granatieri, immobili. Nessuno badava a me

    in quel brulichio silenzioso di militari e in quelle mezze tenebre. Si sentivano le campane suonare giù nella

    città, dalla quale salivano mille rumori confusi. Cigolò una porta bassa del castello, e ne uscirono due

    uomini con le mani legate dietro la schiena; l’uno magro, bruno, camminava innanzi ritto,sicuro, con la

    fronte alta; l’altro, fiancheggiato da due soldati, che lo reggevano con

     

     

     

     

     

     

    molta fatica alle ascelle, si trascinava

    singhiozzando.  Non so che cosa seguisse; leggevano, credo; poi udii un gran frastuono,

    e vidi il giovane bruno cadere, e nello stesso punto mi accorsi che Remigio era nudo fino alla cintura, e

    quelle braccia, quelle spalle, quel collo, tutte quelle membra, che avevo tanto amato, m’abbagliarono. Mi

    volò  nella fantasia l’immagine del mio amante, quando a Venezia, nella “Sirena “, pieno d’ardore e di gioia,

    m’aveva stretta per la prima volta fra le sue braccia d’acciaio. Un secondo frastuono mi scosse : sul torace

    ancora palpitante e bianco più del marmo s’era slanciata una donna bionda, cui schizzavano addosso gli

    zampilli di sangue. Alla vista di quella femmina turpe si ridestò in me tutto lo sdegno, e con lo sdegno la

    dignità e la forza. Avevo la coscienza del mio diritto; m’avviai per uscire, tranquilla nell’orgoglio di un

    difficile dovere compiuto.

    Alla soglia del cancello mi sentii strappare il velo dal volto; mi girai e vidi

     

     

     

     

     

    innanzi a me il grugno sporco

    dell’ufficiale boemo. Cavò dalla bocca enorme il cannello della sua pipa, e, avvicinando al mio viso il suo

    mustacchio, mi sputò sulla guancia…

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

    1. ghostnick0

      ghostnick0

      Non ho letto la novella ma ho visto il film. La figura di Livia mi aveva a suo tempo molto colpito....

    2. fel55

      fel55

      Mi fa piacere. Auguroni!

  8. SAFFO

    Fr.40-41D

    Ti amavo, Attide, un tempo…mi sembravi una fanciulla piccola e senza grazie.

     

     

    Fr.18D ( la poesia, “ rose della Pieria “)

    (trad. di Manara Valgimigli)

    Morta tu giacerai

     

    né rimpianto; chè non cogliesti

    le rose della Pieria:

    e ombra ignota anche nell’Ade

    ti aggirerai,

    tra scure ombre di morti

    sperduta.

     

     

     

    Fr.61D (La rivale Andromeda)

     

    Che rustica donna t’affascina l’animo (o Attide?), una donna che indossava una rustica stola

    e non sa rialzare la veste sopra la caviglia?

     

     

     

    Commiato Fr.96D (e nostalgìa)

     

    “Vorrei  proprio esser morta”. Ed ella mi lasciava tra molte lacrime;

    e questo mi disse: “ Ahimè che gran dolore il nostro, o Saffo: con mia pena davvero t’abbandono!”. Ed

    io a lei: “Addio, va! E ricordati di me; tu sai infatti quanto bene ti volevo. Ma se non sai, allora io voglio

    ricordarti  (quante dolci) e soavi cose godevamo; chè di viole e di rose

    ed insieme di croco molte corone sul capo ti cingesti a me vicina e molte

    ghirlande intrecciate intorno al tenero collo fatte di fiori… e con essenza

    di fiori e regale ungesti…, e su morbidi letti…placavi il desiderio,

    né v’era festa da cui mancavamo né bosco sacro…”.

    1. fromtheashes93
    2. fel55

      fel55

      Certo.

      Certo che può

      Succedere.

      Ch’io aneli a te

      Come a pura fonte

      Chi sente

      I morsi della sete.

      Che il bisogno di te

      Tenga desti

      I miei sensi

      E sempre caldo

      Il mio cuore.

  9. SEMONIDE  AMORGINO

     

    Fr. 7D (trad.di Ettore Bignone)

     

    Diversa Giove delle donne l’indole

    da principio creò. All’una origine

    dal porco irsuto diede. In terra giacciono,

    nella sua casa, tra sozzura lercia,

    a lei le cose; e qua e là si rotolano,

    in gran scompiglio: e sozza, in vesti sordide,

    in mezzo alla sporcizia essa s’impingua.

    Trasse il dio l’altra dall’ape subdola,

    chè tutto scruta e sa; a lei qualsiasi

    ottima cosa, od anco pur tristissima,

    celata non resta ;il buono pessimo

    dice spesso, ed invece ottimo il tristo.

    Sempre d’umore ad ora ad ora è varia.

     

    (Trad.di Filippo M. Pontani)

     

    Viene dal mare un’altra, e ha due nature

    opposte:   un giorno ride, tutta allegra,

    sì che a vederla in casa uno l’ammira:

    “ non c’è al mondo una donna più simpatica,

    non c’è donna migliore”. Un altro giorno

    non la sopporti neppure a vederla

    o ad andarle vicino: fa la pazza,

    e a chi s’accosti, guai! Pare la cagna

    coi cuccioli, implacabile: scoraggia

    nemici e amici alla stessa maniera.

    Come il mare che sta sovente calmo,

    non fa danno e rallegra i marinai

    nell’estate, e sovente in un fragore

    di cavalloni s’agita e s’infuria.

    Tale l’umore di una donna simile:

    anche il mare ha carattere cangiante.

     

    (Trad. di Ettore Romagnoli)

     

    Fu madre all’altra una cavalla morbida,

    di lungo crine. La fatica e le opere

    servili ha in gran fastidio, e staccio e macina

    non toccherebbe mai, né l’immondizia

    spazzerebbe da casa, o la fuliggine

    dal focolare, e t’ama sol per obbligo.

    Sta tutto quanto il santo giorno a tergersi,

    due volte e spesso tre s’unge di balsami,

    ravviata la chioma a fil di pettine,

    disciolta, ombrata di corolle floride.

    E’ questa donna, certo, uno spettacolo

    bello per gli altri; e pel marito un guaio,

    se pur non sia re di corona o principe,

    che di tali vaghezze allegri l’animo.

     

     

    Trad.di Giacomo Leopardi

     

    Ma la donna ch’a l’ape è somiglievole

    beato è chi l’ottien, che d’ogni biasimo

    sola è disciolta, e seco ride e prospera

    la mortal vita. In carità reciproca,

    poiché bella e gentil prole crearono,

    ambo i consorti dolcemente invecchiano.

    Splende fra tutte; e la circonda e seguita

    non so qual garbo; né con l’altre è solita

    goder di novellari osceni e fetidi.

    Questa, che delle donne è prima ed ottima,

    i numi alcuna volta ci largiscono.

     

     

  10. SEMONIDE  AMORGINO

     

    Fr. 7D (trad.di Ettore Bignone)

     

    Diversa Giove delle donne l’indole

    da principio creò. All’una origine

    dal porco irsuto diede. In terra giacciono,

    nella sua casa, tra sozzura lercia,

    a lei le cose; e qua e là si rotolano,

    in gran scompiglio: e sozza, in vesti sordide,

    in mezzo alla sporcizia essa s’impingua.

    Trasse il dio l’altra dall’ape subdola,

    chè tutto scruta e sa; a lei qualsiasi

    ottima cosa, od anco pur tristissima,

    celata non resta ;il buono pessimo

    dice spesso, ed invece ottimo il tristo.

    Sempre d’umore ad ora ad ora è varia.

     

    (Trad.di Filippo M. Pontani)

     

    Viene dal mare un’altra, e ha due nature

    opposte:   un giorno ride, tutta allegra,

    sì che a vederla in casa uno l’ammira:

    “ non c’è al mondo una donna più simpatica,

    non c’è donna migliore”. Un altro giorno

    non la sopporti neppure a vederla

    o ad andarle vicino: fa la pazza,

    e a chi s’accosti, guai! Pare la cagna

    coi cuccioli, implacabile: scoraggia

    nemici e amici alla stessa maniera.

    Come il mare che sta sovente calmo,

    non fa danno e rallegra i marinai

    nell’estate, e sovente in un fragore

    di cavalloni s’agita e s’infuria.

    Tale l’umore di una donna simile:

    anche il mare ha carattere cangiante.

     

    (Trad. di Ettore Romagnoli)

     

    Fu madre all’altra una cavalla morbida,

    di lungo crine. La fatica e le opere

    servili ha in gran fastidio, e staccio e macina

    non toccherebbe mai, né l’immondizia

    spazzerebbe da casa, o la fuliggine

    dal focolare, e t’ama sol per obbligo.

    Sta tutto quanto il santo giorno a tergersi,

    due volte e spesso tre s’unge di balsami,

    ravviata la chioma a fil di pettine,

    disciolta, ombrata di corolle floride.

    E’ questa donna, certo, uno spettacolo

    bello per gli altri; e pel marito un guaio,

    se pur non sia re di corona o principe,

    che di tali vaghezze allegri l’animo.

     

     

    1. iofiordiloto77
    2. fel55

      fel55

      V: MONTI

      Pel giorno onomastico della mia donna

      ( canzone libera )

       

      Donna, parte più cara dell’anima mia,

      perché mi guardi muta in atto pensoso,

      e le tue pupille si fanno rugiadose

      di segrete stille?

      Intendo, o mia diletta, la cagione

      di quel silenzio e di quel pianto.

      L’eccesso dei miei mali ti toglie la favella,

      e discioglie in lacrime furtive il tuo dolore.

      Ma datti pace, e solleva il cuore

      ad un pensiero più degno di me e, insieme,

      della tua forte anima. La stella del viver mio

      s’appressa al suo tramonto : ma ti giovi sperare

      che non morrò del tutto : pensa che un nome

      non oscuro ti lascio, e tale che un giorno

      fra le italiche donne ti sarà bel vanto il dire :

      “ Io fui l’amore del cantore di Basville,

      del cantore che vestì l’ira di Achille

      di care itale note”.

      Soave rimembranza ancora ti sarà

      che ogni spirito gentile compianse i miei casi

      ( tra i lombardi qual è lo spirito che non sia gentile? ).

      Ma con tutto ciò poni nella mente

      che cerca un lungo soffrire chi cerca

      lungo corso di vita. Oh Teresa mia,

      e tu parimenti sventurata e cara figlia mia!

      Oh voi che sole temperate il molto amaro

      della mia triste esistenza con qualche dolcezza,

      poco manca che, lacrimando, chiuderete

      i miei occhi nell’eterno sonno! Ma sia breve

      per causa mia il lacrimare : chè nulla,

      fuor che il vostro dolore, sarà che mi gravi

      nel partirmi da questo mortal soggiorno

      troppo funesto ai buoni, in cui corte

      vivono le gioie e così lunghe le pene;

      ove non è già bello rimanere per dura prova,

      ma bello l’uscirne e far presto tragitto

      a quello dei ben vissuti a cui aspiro.

      E quivi di te memore, e fatto cigno immortale

      ( chè l’arte dei poeti in cielo è pregio e non colpa ),

      il tuo fedele, adorata mia donna,

      ti aspetterà cantando le tue lodi,

      finchè non giunga; e molto dei tuoi cari

      costumi parlerò coi celesti, e dirò quanta

      fu la tua pietà verso il miserando tuo consorte;

      e le anime beate, innamorate della tua virtù,

      pregheranno Dio che lieti e sempre sereni

      siano i tuoi giorni e quelli dei dolci amici

      che ne faranno corona : principalmente i tuoi,

      mio generoso ospite amato,

      che fai verace fede del detto antico,

      che ritrova un tesoro chi ritrova un amico.

       

       

       

       

       

       

       

  11. OVIDIO

                                                                                                                                               Dall’” Ars amatoria “ : 1, 135- 166

     

    Né le corse dei nobili cavalli

    trascurar tu dovrai: con le sue dense

    folle molti vantaggi offre anche il Circo.

     

    Ivi non delle dita hai tu bisogno

    per dir l’animo tuo, non già per mezzo

    di cenni devi attendere risposte;

     

    ma ben vicino ( nulla ti trattenga )

    siedi alla bella; stringiti col fianco

    più presso che tu puoi contro il suo fianco.

     

    E ben potrai; chè, s’anche ella non voglia,

    tutto lo spazio ivi costringe; il luogo

    stesso là vuol che tu la donna tocchi.

     

    Cerca un motivo allor per avviare

     

     

     

     

    Il discorso con lei, e siano pure

    detti comuni le parole prime.

     

    Chiedile di chi siano i cavalli

    che si avanzano, e pronto il tuo favore

    a quello da’ ch’è favorito suo.

     

    E quando poi verrà la lunga pompa

    dei Numi eburni, a Venere tu plaudi,

    patrona tua, con fervorosa mano.

     

    Se, come avviene, alla fanciulla in seno

    è per caso un pulviscolo caduto,

    pronto col dito scuoterlo dovrai,

     

                                                                e se nessun pulviscolo vi cada,

    pur tu scuoti quel nulla; ogni pretesto

    buono ti sia per renderlo servigio.

     

    Se troppo le si strascica la veste,

     

     

     

     

    per terra, e tu sollevala, con pronta

    man che dal suolo immondo la preservi,

     

    e tosto allora, premio del tuo zelo,

    potranno gli occhi tuoi alla fanciulla

    consenziente rimirar le gambe.

     

    E bada poi, chiunque sia seduto

    dietro di lei, che il delicato dorso

    ei non le prema con le sue ginocchia.

     

    Piccoli offici adescano codeste

    anime lievi;  utile fu per molti

    disporre con sagace arte un cuscino;

     

                                                             anche agitar  giovò una tabelletta

    per un po’ di frescura, e sottoporre

    a due piedini un concavo sgabello.

     

    Codesti approcci spesso in tali arene il figlio

     

     

     

     

    di Venere, e colui che l’altrui piaghe

    stava a guardar piagato fu egli stesso.

    …………………………………………………………..

    ( Trad. di G. vitali )

     

    1. ciribi72

      ciribi72

      che lacrime <3

    2. tacchialti94

      tacchialti94

      ci tocchi sempre! bravo

  12. CARDUCCI

     

    Idillio maremmano

     

    Co  ‘l raggio de l’april nuovo che inonda

    roseo la stanza tu sorridi ancora

    improvvisa al mio cuore, o Maria bionda;

    e il cuor che t’obliò, dopo tant’ora

    di tumulti oziosi in te riposa,

    o amor mio primo, o d’amor dolce aurora.

    Ove sei? Senza nozze e sospirosa

    non passasti già tu; certo il natio

    borgo ti accoglie lieta madre e sposa;

    chè il fianco baldanzoso ed il restio

    seno a i freni del vel promettean troppa

    gioia d’amplessi al marital desio.

    Forti figli pendean da la tua poppa

    certo, ed or baldi un tuo sguardo cercando

    al mal domo caval saltano in groppa.

    Com’eri bella, o giovinetta, quando

    tra l’ondeggiar de’ lunghi solchi uscivi

    un tuo serto di fiori in man recando,

    alta e ridente, e sotto i cigli vivi

     

     

    di selvatico fuoco lampeggiante

    grande e profondo l’occhio azzurro aprivi!

    Come il cìano seren tra ‘l biondeggiante

    or de le spighe, tra la chioma flava

    fioria quell’occhio azzurro; e a te d’avante

    la grande estate, e intorno, fiammeggiava;

    sparso tra’ verdi rami il sol ridea

    del melogran, che rosso scintillava.

    Al tuo passar, siccome a la sua dea,

    il bel pavon l’occhiuta coda apria,

    guardando, e un rauco grido a te mettea.

    Oh come fredda indi la vita mia,

    come oscura e incresciosa è trapassata!

    Meglio era sposar te, bionda Maria!

     

     

     

     

  13. CARDUCCI

    Per le nozze di mia figlia ( 1880-81 )

     

    O nata quando su la mia povera

    casa passava come uccel profugo

    la speranza, e io disdegnoso

    battea le porte de l’avvenire;

     

    or che il piè fermai su ‘l termine

    cui combattendo valsi raggiungere

    e rauchi squittiscon da torno

    i pappagalli lusingatori;

     

    tu mia colomba t’involi, trepida

    il nuovo nido voli a contessere

    oltre Appennino, nel nativo

    aere dolce de’ colli tòschi.

     

     

    Va’ con l’amore, va’ con la gioia,

    va’ con la fede candida.  L’umide

    pupille fise al vel fuggente,

    la mia Camena tace e ripensa.

     

    Ripensa i giorni quando tu parvola

    coglievi fiori sotto le acacie,

    ed ella reggendoti a mano

    fantasmi e forme spiava in cielo.

     

    Ripensa i giorni quando a la morbida

    tua chioma intorno rozze strisciavano

    le strofe contro a gli oligarchi

    librate e al vulgo vile d’Italia.

     

    E tu crescevi pensosa vergine,

    quand’ella prese d’assalto intrepida

    i clivi de l’arte e piantovvi

    la sua bandiera garibaldina.

     

    Riguarda, e pensa. De gli anni il tramite

    teco fìa dolce forse ritessere,

     

     

    e risognare i cari sogni

    nel blando riso de’ figli tuoi?

     

    O forse meglio giova combattere

    fino a che l’ora sacra richiamine?

    Allora, o mia figlia, - nessuna

    me  Beatrice  ne’ cieli attende –

     

    allora al passo che Omèro ellenico

    e il cristiano Dante passarono

    mi sgorga il tuo sguardo soave

    la nota voce tua m’accompagni.

     

  14. G. UNGARETTI

     

    Da “ Sentimento del tempo “

     

    Scade flessuosa la pianura d’acqua.

     

    Nelle sue urne il sole

    Ancora segreto si bagna.

     

    Una carnagione lieve trascorre.

     

    Ed ella apre improvvisa ai seni

    La grande mitezza degli occhi.

     

    L’ombra sommersa delle rocce muore.

     

    Dolce sbocciata dalle anche ilari,

    Il vero amore è quiete accesa,

     

    E la godo diffusa

    Dall’ala alabastrina

    D’una mattina immobile.

     

    Ricordo d’Affrica   ( 1924 )

     

    Non più ora tra la piana sterminata

    E il largo mare m’apporterò, né umili

    Di remote età, udrò più sciogliersi, chiari,

     

     

    Nell’aria limpida, squilli; né più

    Le grazie acerbe andrà nudando

    E in forme favolose esalterà

    Folle la fantasia,

    Né dal rado palmeto Diana apparsa

    In agile abito di luce,

    Rincorrerò

    ( In un suo gelo altiera s’abbagliava,

    Ma le seguiva gli occhi nel posarli

    Arroventando disgraziate brame,

    Per sempre

    Infinito velluto ).

     

    E’ solo linea vaporosa il mare

    Che un giorno germogliò rapace,

    E nappo d’un miele, non più gustato

    Per non morire di sete, mi pare

    La piana, e a un seno casto, Diana vezzo

    D’opali, ma nemmeno d’invisibile

    Non palpita.

     

    Ah! Questa è l’ora che annuvola e smemora.

     

     

  15. MONTALE

     

                                                            Quasi un madrigale

     

    Il girasole piega a occidente

    e già precipita il giorno nel suo

    occhio in rovina e l’aria dell’estate

    s’addensa e già curva le foglie e il fumo

                                               dei cantieri. S’allontana con scorrere

    secco di nubi e stridere di fulmini

    quest’ultimo gioco del cielo. Ancora,

    e da anni, cara, ci ferma il mutarsi

    degli alberi stretti dentro la cerchia

    dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno

    e sempre quel sole che se ne va

    con il filo del suo raggio affettuoso.

     

    Non ho più ricordi,non voglio ricordare;

    la memoria risale dalla morte,

    la vita è senza fine. Ogni giorno

    è nostro. Uno si fermerà per sempre,

    e tu con me, quando ci sembri tardi.

    Qui sull’argine del canale, i piedi

                                                     in altalena, come di fanciulli,

    guardiamo l’acqua, i primi rami dentro

    il suo colore verde che s’oscura.

    E l’uomo che in silenzio s’avvicina

    non nasconde un coltello fra le mani,

    ma un fiore di geranio.

    Altra volta salimmo fino alla torre

                                                  dove sovente un passero solitario

                                                 modulava il motivo che Massenet

    imprestò al suo Des Grieux.

    Più tardi ne uccisi uno fermo sull’asta

    della bandiera : il solo mio delitto

    che non so perdonarmi. Ma ero pazzo

    e non di te, pazzo di gioventù,

    pazzo della stagione più ridicola

    della vita. Ora sto

    a chiedermi che posto tu hai avuto

    in quella mia stagione. Certo un senso

    allora inesprimibile, più tardi

    non l’oblio ma una punta che feriva

    quasi a sangue. Ma allora eri già morta

    e non ho mai saputo dove e come.

    Oggi penso che tu sei stata un genio

    di pura inesistenza, un’agnizione

    reale perché assurda. Lo stupore

    quando s’incarna è lampo che ti abbaglia

    e si spenge. Durare potrebbe essere

    l’effetto di una droga nel creato,

                                                in un medium di cui non si ebbe mai

    alcuna prova.

     

  16. MONTALE

     

                                                            Quasi un madrigale

     

    Il girasole piega a occidente

    e già precipita il giorno nel suo

    occhio in rovina e l’aria dell’estate

    s’addensa e già curva le foglie e il fumo

                                               dei cantieri. S’allontana con scorrere

    secco di nubi e stridere di fulmini

    quest’ultimo gioco del cielo. Ancora,

    e da anni, cara, ci ferma il mutarsi

    degli alberi stretti dentro la cerchia

    dei Navigli. Ma è sempre il nostro giorno

    e sempre quel sole che se ne va

    con il filo del suo raggio affettuoso.

     

    Non ho più ricordi,non voglio ricordare;

    la memoria risale dalla morte,

    la vita è senza fine. Ogni giorno

    è nostro. Uno si fermerà per sempre,

    e tu con me, quando ci sembri tardi.

    Qui sull’argine del canale, i piedi

                                                     in altalena, come di fanciulli,

    guardiamo l’acqua, i primi rami dentro

    il suo colore verde che s’oscura.

    E l’uomo che in silenzio s’avvicina

    non nasconde un coltello fra le mani,

    ma un fiore di geranio.

    Altra volta salimmo fino alla torre

                                                  dove sovente un passero solitario

                                                 modulava il motivo che Massenet

    imprestò al suo Des Grieux.

    Più tardi ne uccisi uno fermo sull’asta

    della bandiera : il solo mio delitto

    che non so perdonarmi. Ma ero pazzo

    e non di te, pazzo di gioventù,

    pazzo della stagione più ridicola

    della vita. Ora sto

    a chiedermi che posto tu hai avuto

    in quella mia stagione. Certo un senso

    allora inesprimibile, più tardi

    non l’oblio ma una punta che feriva

    quasi a sangue. Ma allora eri già morta

    e non ho mai saputo dove e come.

    Oggi penso che tu sei stata un genio

    di pura inesistenza, un’agnizione

    reale perché assurda. Lo stupore

    quando s’incarna è lampo che ti abbaglia

    e si spenge. Durare potrebbe essere

    l’effetto di una droga nel creato,

                                                in un medium di cui non si ebbe mai

    alcuna prova.

     

  17. MONTALE

    Sorapis, 40 anni fa

     

    Non ho mai amato molto la montagna

    e detesto le Alpi. Le Ande, le Cordigliere

    non le ho vedute mai. Pure la Sierra

    de Guadarrama mi ha rapito, dolce

    com’è l’ascesa e in vetta daini, cervi,

    secondo le notizie dei dèpliants turistici.

    Solo l’elettrica aria dellEngadina

    ci vinse, mio insettino, ma non si era

    tanto ricchi da dirci “ hic manebimus “.

    Tra i laghi solo quello di Sorapis

    fu la grande scoperta. C’era la solitudine

    delle marmotte più udite che intraviste

    e l’aria dei Celesti, ma quale strada

    per accedervi? Dapprima la percorsi

    da solo per vedere se i tuoi occhietti

    potevano addentrarsi tra cunicoli

    zigzaganti tra lastre alte di ghiaccio.

                                                     E così lunga! Confortata solo

    Nel primo tratto, in folti di conifere,

    dallo squillo d’allarme delle ghiandaie.

                                                   Poi ti guidai tenendoti per mano

    fino alla cima, una capanna vuota.

    Fu quello il nostro lago, poche spanne d’acqua,

    due vite troppo giovani per essere vecchie,

    e troppo vecchie per sentirsi giovani.

    Scoprimmo allora che cos’è l’età.

    Non ha nulla a che fare col tempo, è qualcosa che dice

    che ci fa dire siamo qui, è un miracolo

    che non si può ripetere. Al confronto

    la gioventù è il più vile degli inganni.

     

  18. QUASIMODO

     

    “ E la tua veste è bianca “

     

    Piegato hai il capo e mi guardi;

    e la tua veste è bianca,

    e un seno affiora dalla trina

    sciolta sull’omero sinistro.

     

    Mi  supera la luce, trema,

    e tocca le tue braccia ignude.

     

    Ti rivedo. Parole

    avevi chiuse e rapide,

    che mettevano cuore

    nel peso d’una vita

    che sapeva di circo.

     

     

     

    Profonda la strada

    su cui scendeva il vento

    certe notti di marzo,

    e ci svegliava ignoti,

    come la prima volta.

     

    “ Antico inverno “

     

    Desiderio delle tue mani chiare

    nella penombra della fiamma :

    sapevano di rovere e di rose;

    di morte. Antico inverno.

     

    Cercavano il miglio gli uccelli

    ed erano subito di neve;

    così le parole.

    Un po’ di sole, una raggera d’angelo,

    e poi la nebbia; e gli alberi,

    e noi fatti d’aria al mattino.

     

     

    1. fel55

      fel55

      QUASIMODO

       

      “ E la tua veste è bianca “

       

      Piegato hai il capo e mi guardi;

      e la tua veste è bianca,

      e un seno affiora dalla trina

      sciolta sull’omero sinistro.

       

      Mi  supera la luce, trema,

      e tocca le tue braccia ignude.

       

      Ti rivedo. Parole

      avevi chiuse e rapide,

      che mettevano cuore

      nel peso d’una vita

      che sapeva di circo.

       

       

       

      Profonda la strada

      su cui scendeva il vento

      certe notti di marzo,

      e ci svegliava ignoti,

      come la prima volta.

       

      “ Antico inverno “

       

      Desiderio delle tue mani chiare

      nella penombra della fiamma :

      sapevano di rovere e di rose;

      di morte. Antico inverno.

       

      Cercavano il miglio gli uccelli

      ed erano subito di neve;

      così le parole.

      Un po’ di sole, una raggera d’angelo,

      e poi la nebbia; e gli alberi,

      e noi fatti d’aria al mattino.

       

       

    2. scompaiomatorno
    3. fel55

      fel55

      Dalle stelle precipiterei

      Negli abissi,

      Se tu cessassi di amarmi

      Per tua o per mia colpa.

      Il cielo dell’anima mia

      Sarebbe sempre coperto di livore

      O in tutto simile a notte fonda.

      Buio sarebbe il futuro,

      Spenta ogni speranza di vita.

  19. SABA

     

    Carmen

     

    Torna la mia disperazione a te.

    Dopo aver tanto errato, oggi il mio amore

    torna al tuo fiero mutevole ardore,

    più nulla chiede che la tua onestà.

     

    In queste lunghe giornate d’affanno,

    che senza lotta e senza pace vanno,

    e senza la tua gaia crudeltà;

    con la mia solitaria anima invisa,

    ho sognato pur io d’averti uccisa,

    per l’ebbrezza di piangere su te.

     

    Incolpabile amica, austera figlia

    d’amore, se la vita oggi t’esiglia,

    con la musica ancora vieni a me.

    Geloso sono non di don josè,

    non d’Escamillo; di chi prima un canto

    sciolse alla tua purezza ed al tuo santo

    coraggio incontro alla tua verità.

     

     

    Né tu forse da me vivi lontana,

    da me che all’amor tuo faccio ritorno,

    e non cerco a Siviglia il tuo soggiorno.

    Solo vagavo il mattino di un giorno

    di festa, e tra la folla oscura e vana

    tu m’apparivi in una popolana

    di Firenze; la tua mano era stesa

    a sollevare le tende di una chiesa,

                                                 le gialle e rosse tende sull’entrata.

    Parevi stanca, parevi ammalata,

    ma t’ho riconosciuta io che t’ho amata.

     

    Io che a fatica ho rattenuto un grido,

    mi sono meritato un tuo sorriso,

    sabato

     

    1. chiaraoscura4

      chiaraoscura4

      mozzafiato, sei un talento

  20. SABA

    Dopo la tristezza

     

    Questo pane ha il sapore d’un ricordo,

    mangiato in questa povera osteria,

    dov’è più abbandonato e ingombro il porto.

     

    E della birra mi godo l’amaro,

    seduto del ritorno a mezza via,

    in faccia ai monti annuvolati e al faro.

     

    L’anima mia che una sua pena ha vinta,

    con occhi nuovi nell’antica sera

    guarda un pilota con la moglie incinta;

     

    E un bastimento, di che il vecchio legno

    luccica al sole, e con la ciminiera

    lunga quanto i due alberi, è un disegno

     

    fanciullesco, che ho fatto or son vent’anni:

    E chi mi avrebbe detto la mia vita

    così bella, con tanti dolci affanni,

     

    e tanta beatitudine romita!

     

  21. U. SABA

    La gatta

     

    La tua gattina è diventata magra.

    Altro male non è il suo che d’amore :

    male che alle tue cure la consacra.

     

    Non provi un’accorata tenerezza?

    Non la senti vibrare come un cuore

    sotto alla tua carezza?

    Ai miei occhi è perfetta

    come te questa tua selvaggia gatta,

    ma come te ragazza

    e innamorata, che sempre cercavi,

    che senza pace qua e là t’aggiravi,

    che tutti dicevano : “ E’ pazza “.

     

    E’ come te ragazza.

     

     

  22. MIMNERMO

     

    Dal poema elegiaco dedicato a  NANNO’

    Fr.1D – trad. di Salvatore Quasimodo

     

    Quale vita, che dolcezza senza Afrodite d’oro?

    Meglio morire quando non avrò più cari

    gli amori segreti e il letto e le dolcissime offerte,

    che di giovinezza sono i fiori fugaci

    per gli uomini e le donne.

    Quando viene la dolorosa vecchiaia

    che rende l’uomo bello simile al brutto,

    sempre nella mente lo consumano malvagi pensieri;

    ma è odioso ai fanciulli e sprezzato dalle donne:

    tanto grave Zeus volle la vecchiaia.

     

     

     

    Fr. 2D – trad. di Filippo M. Pontani

     

    Siamo come le foglie nate alla stagione florida

    • crescono così rapide nel sole - :

    godiamo per un gramo tempo i fiori dell’età,

    dagli dèi non sapendo il bene, il male.

    Rigide, accanto, stanno due parvenze brune:

    l’una ha un destino di vecchiezza atroce,

    l’altra di morte. E il frutto di giovinezza è un attimo,

    quanto dilaga sulla terra il sole.

    Ma come varca la stagione il suo confine, allora

    essere morti è meglio che la vita:

    il cuore sperimenta tanti guai; la casa a volte

    si strugge e viene la miseria amara;

    uno è privo di figli: li desidera, e scende

    nell’aldilà con quell’accoramento;

    un altro ha un morbo che lo strema. Non c’è uomo

    che da Zeus non riceva guai su guai.

     

     

    Fr. 10 D – trad. di Ettore Bignone

     

    Travaglio in sorte, assiduo, ebbe ogni giorno il Sole;

    né a lui, né ai suoi destrieri requie veruna mai

    non fu data, da quando l’Aurora che ha dita di rosa,

    sorgendo da l’Oceano, ascende lieve ai cieli;

    e lui, dormente, del mare sui flutti un bellissimo, alato,

    concavo letto d’oro, a fior de l’acque trae,

    prezioso, costrutto di mano di Efesto, veloce,

    ai versier delle Esperidi, degli Etiopi ai lidi;

    dove il rapido carro e i destrieri del Sole hanno posa,

    sin che, dell’Alba figlia, ritorni ancor, l’Aurora,

    e ancor sul cocchio ascenda il figlio d’Iperione.

     

     

    1. scompaiomatorno

      scompaiomatorno

      Grazie per la condivisione!

      Splendidi versi.

       

      Buona serata e a presto!

  23. MIMNERMO

     

    Dal poema elegiaco dedicato a  NANNO’

    Fr.1D – trad. di Salvatore Quasimodo

     

    Quale vita, che dolcezza senza Afrodite d’oro?

    Meglio morire quando non avrò più cari

    gli amori segreti e il letto e le dolcissime offerte,

    che di giovinezza sono i fiori fugaci

    per gli uomini e le donne.

    Quando viene la dolorosa vecchiaia

    che rende l’uomo bello simile al brutto,

    sempre nella mente lo consumano malvagi pensieri;

    ma è odioso ai fanciulli e sprezzato dalle donne:

    tanto grave Zeus volle la vecchiaia.

     

     

     

    Fr. 2D – trad. di Filippo M. Pontani

     

    Siamo come le foglie nate alla stagione florida

    • crescono così rapide nel sole - :

    godiamo per un gramo tempo i fiori dell’età,

    dagli dèi non sapendo il bene, il male.

    Rigide, accanto, stanno due parvenze brune:

    l’una ha un destino di vecchiezza atroce,

    l’altra di morte. E il frutto di giovinezza è un attimo,

    quanto dilaga sulla terra il sole.

    Ma come varca la stagione il suo confine, allora

    essere morti è meglio che la vita:

    il cuore sperimenta tanti guai; la casa a volte

    si strugge e viene la miseria amara;

    uno è privo di figli: li desidera, e scende

    nell’aldilà con quell’accoramento;

    un altro ha un morbo che lo strema. Non c’è uomo

    che da Zeus non riceva guai su guai.

     

     

    Fr. 10 D – trad. di Ettore Bignone

     

    Travaglio in sorte, assiduo, ebbe ogni giorno il Sole;

    né a lui, né ai suoi destrieri requie veruna mai

    non fu data, da quando l’Aurora che ha dita di rosa,

    sorgendo da l’Oceano, ascende lieve ai cieli;

    e lui, dormente, del mare sui flutti un bellissimo, alato,

    concavo letto d’oro, a fior de l’acque trae,

    prezioso, costrutto di mano di Efesto, veloce,

    ai versier delle Esperidi, degli Etiopi ai lidi;

    dove il rapido carro e i destrieri del Sole hanno posa,

    sin che, dell’Alba figlia, ritorni ancor, l’Aurora,

    e ancor sul cocchio ascenda il figlio d’Iperione.

     

     

  24.  

    S. Quasimodo

     

    Da “ Oboe sommerso “

    Parola

     

    Tu ridi che per sillabe mi scarno

    e curvo cieli e colli, azzurra siepe

    a me d’intorno, e stormir d’olmi

    e voci d’acque trepide; -

    che giovinezza inganno

    con nuvole e colori

    che la luce sprofonda.

     

    Ti so. In te tutta smarrita

    alza bellezza i seni,

    s’incava ai lombi e in soave moto

    s’allarga per il pube timoroso,

    e ridiscende in armonia di forme

    ai piedi belli con dieci conchiglie.

     

    Ma se ti prendo, ecco :

    parola tu pure mi sei e tristezza.

  25.  

     

    QUASIMODO

    Profonda la strada

    su cui scendeva il vento

    certe notti di marzo,

    e ci svegliava ignoti,

    come la prima volta.

     

    “ Antico inverno “

     

    Desiderio delle tue mani chiare

    nella penombra della fiamma :

    sapevano di rovere e di rose;

    di morte. Antico inverno.

     

    Cercavano il miglio gli uccelli

    ed erano subito di neve;

    così le parole.

    Un po’ di sole, una raggera d’angelo,

    e poi la nebbia; e gli alberi,

    e noi fatti d’aria al mattino.