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  1. L'AMANTE

    Nell’alto cielo ai limiti di sera
    l’inerzia che ogni giorno lo consuma
    si fa corposa.
    L’alta mancanza, spaziale frutto
    già consumato ai limiti del giorno,
    non lo riposa.
    Brevi in silenzio sono andati gli anni.

    Incomprensibile frutto di vita
    prigioniero dei molti anni,
    ora la carne è pronta a coglierti
    ma lo spirito è vecchio, vecchio, vecchio.

    Illuminazioni rapsodiche offendono
    il limite corposo delle cose
    che gli son care.
    Offesa resta l’incapacità di dire
    il tremendo profumo delle rose.

    Tremano i vetri delle grandi case
    carezzati dal sole del tramonto
    pallido e strano
    e sui prati si destano miriadi
    e aprono le orecchie della sera.
    Per questo stesso istante ti lasciavo
    molti anni fa, né più ti ho vista, amica,
    e ancora resta il tremore del futuro
    che incarnava i fantasmi che amavo.

    Come dell’usignolo il canto atroce
    si spande dagli alberi del fiume,
    così trapassa l’anima fugace
    velata dai residui della luce.
    E passa accanto il tuo ricordo, donna
    del tempo oscuro, della lontananza.

    Tace la stanza e tutto mi ricorda
    questa tua assenza, tu — sparita — amante.
    Sole riflesso su pareti bianche,
    voci di fuori, le mie membra stanche,
    l’anima vuota, vi filtrano bagliori
    di speranze e d’attese incenerite.
    E tanti libri, posati alle pareti,
    non hanno dato la felicità:
    l’angoscia nera qui stende le reti
    e vuol regnare e si pretende eterna.

    Tace la stanza e la piccola sapienza
    accattata negli anni è fatta esangue.
    L’idea finale ancora si presenta,
    solitario veleno, ghiaccia il sangue.
    A riscaldarlo manca il tuo calore.

    Ecco il vuoto fa corpo intorno a me
    e mi devasta l’attimo del sonno
    che più non viene: ti ho veduta e dunque
    s’incarna nel mio cuore il tuo fantasma.

    Turbinare d’immagini rifrante
    plasma il terrore della solitudine
    in una sempre più feroce danza.
    E tiene ancora l’anima sospesa
    il vano amore della tua sembianza.

    Canto di solitudine e di oblio
    nella notte affannata ci rimbalza
    il misterioso uccello che lontano
    lamenta la distanza della luna.
    E ancora in alto la lucente sfera
    illumina il tuo volto di fantasma
    nato da questo grembo della sera.

    Ma luce d'occidente non dilegua,
    anche se dolce la speranza muore
    desiderata, l’immagine del fiore
    che coltivavi una volta per me.
    E non so ancora se il frutto dell’assenza,
    la piaga, la piaga inespiabile,
    sia uno sterile seme del nulla
    o la speranza di una vita nuova.

    Tutta l’angoscia che la terra chiude
    mi hai rivelato in questo alef di pianto
    nascosto nel sorriso della donna.
    Ti ho qui davanti, il dio che tutti illude,
    e vorrei che l’uccello di Minerva
    rispiccasse il suo volo nell’aurora.

    AMANTE.jpg