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  1. ECHIDNA

    Si rinnova del caldo dell’estate 
    la nostalgia nei tempi senza nome 
    dolce fuggita, e poi sepolta in cuore 
    dalla polvere delle ere desolate.
    Potrei amare il vano infrangimento 
    d’ogni costante attesa in cui rivela 
    la tua potenza il solitario incanto. 
    In cui miriamo l’immagine riflessa 
    del desiderio folle e senza fine 
    che sia vero il tuo occhio di serpente.

    Delle nubi di latte che la luna 
    filtrano in cielo canta 
    il feroce usignolo che del cielo 
    ci fa tremare. 
    Ma sul ramo più basso che alla terra 
    sulla riva del fiume porge i fiori 
    si avvolge un dolcissimo serpente 
    e la sua pelle splende 
    più che la luna. 
    Momento che l’obliquo dio trascorre 
    della brezza lieve 
    e si placa per poco il turbamento 
    del finire del tempo così breve.

    Come risplende il tuo lucido fato 
    che io ti invidio, che ti fa sereno 
    come la luna, argento in faccia al dio! 
    Quando l’angoscia è diventata piena 
    in questa oscena, dura e vuota notte 
    te costruisco, mio fantasma amato. 
    E quando splende la tua lucida spoglia 
    della luce lunare, mio serpente 
    e quando cresce la tremante voglia 
    io ben conosco che il veleno scende.

    Quando cade degli occhi il tenue velo 
    che ti nasconde, che mi fa dolere 
    chiara risplende e dolce margherita 
    dove le nubi e il sole e il grande cielo 
    tu mi rifletti, mio serpente, vita 
    di ogni momento sognato di piacere.

    Frammentata la luce in scaglie 
    brulicanti essenze confondono 
    di vita, di luna le cose. 
    Come adeguare nell’anima 
    proteiforme misura del tempo
    i mille disegni dei fiori 
    tu potevi allora insegnarmi. 
    Ma le ansie e i terrori di fuori 
    hanno ucciso la vecchia sapienza. 
    E di te, mio serpente, rimane 
    qualche brano di pelle arida.

    Echidna.jpg